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Michele Pelacci
C'è un prima e un dopo Pogacar
06 lug 2022
06 lug 2022
Il dominio dello sloveno sul ciclismo sembra non avere limiti.
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Michele Pelacci
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È proprio così che decide di attaccare uno dei corridori più tragici del ciclismo contemporaneo: Mikel Landa – il cui stile ha trovato una nicchia di appassionati che lo chiamano, appunto,



 



 







 









 



 

Proprio dopo il traguardo di Bergamo, parlando dell’incapacità dello sloveno di indirizzare la narrazione, Leonardo Piccione



 





 

Sempre Piccione sostiene che «talvolta si può ovviare all’assenza di antagonisti con un surplus di motivazioni da parte del protagonista, impegnato in imprese che assumono per lui un valore quasi escatologico». Qualcosa di inevitabile (l’ultimo Tour de France si è sostanzialmente chiuso dopo una settimana) e spaventoso (350 watt medi per quasi un’ora e mezza nell’attacco decisivo alla Strade Bianche) si manifesta nelle vittorie di Pogacar, ma allo stesso tempo lui è il contrario dell’androide. Ama genuinamente il lavoro che fa, fuori stagione si diverte a giocare a calcio e sciare perché «tanto fermo non ci so stare», sembra un bambino per come si comporta. Nel sopracitato Giro dell’Emilia, accortosi che non era giornata, si è messo



 

I ciuffetti che gli escono dal casco, i soprannomi che gli ha dato Riccardo Magrini, “il bimbo” o “Pikachu”, che richiama un mostriciattolo di fantasia adorato dai più piccoli, il profilo basso, il sorriso fanciullesco: anche i pochi aneddoti sulla sua infanzia restituiscono un candore d’altri tempi. Un giorno venne ripreso dalla maestra perché guardava distratto fuori dalla finestra e all’insegnante rispose che stava pensando «alle strade da fare in allenamento oggi pomeriggio».

 




 

Pogacar è inattaccabile non solo da un punto di vista dell’indole (in questo ricorda un po’ quel punto della carriera di Lionel Messi in cui nessuno, neanche i più cinici e maligni, riuscivano a trovare qualcosa di negativo da dire su di lui), ma anche sul piano strettamente sportivo. Non è banale arrivare a ventitré anni sostanzialmente immacolato, libero dal peccato: basti pensare a com’è stato crocifisso, in patria e non, il più giovane Remco Evenepoel dopo il Giro 2021. È un momento particolare per osservare Tadej Pogacar perché non è ancora incappato in un fallimento. O forse sì.

 

Una decina di giorni dopo la Sanremo, Pogacar prende parte al suo primo Giro delle Fiandre. È ovviamente una corsa leggendaria, lunghissima e durissima, che negli ultimi 140 km va su e giù da muri in pavé. L’ultimo debuttante a vincere la



Pogacar affronta davanti entrambi i muri, mena a testa bassa, non si volta se non quando la salita spiana, in cima. Van der Poel è l’unico che gli sta dietro, anzi per diverse centinaia di metri gli sta a mezza ruota, sembra volerlo affiancare, come a dire “bè tutto qua?”. È una sfida tra fenomeni, un testa a testa tra i più attesi. Van der Poel ha un solo, piccolo momento di cedimento, quando sul punto al 20% del Paterberg perde lucidità e rischia di finire in una canalina a bordo strada. Pogacar lo sta tirando come la corda di un violino, ma non riesce a staccarlo.



























Alle prime tre tappe del Tour de France è andato – ovviamente, verrebbe da dire – molto bene. Nella cronometro iniziale è finito sul podio, facendo meglio di specialisti come Ganna o Kung. Pogacar è già terzo in classifica generale (primo tra gli uomini di classifica). Per dare un'idea delle aspettative che ormai ci sono nei suoi confronti basterà citare il fatto che, mentre sfrecciava tra le stradine di Copenaghen, qualcuno ha pensato che potesse replicare l’impresa di Ottavio Bottecchia, che nel 1924 vinse la prima tappa del Tour e rimase leader della corsa fino alla fine.





















































 



 

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