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Giuseppe Pastore
I 5 esoneri più spettacolari di Enrico Preziosi
11 ott 2018
11 ott 2018
D'altra parte agli italiani piace il cambiamento.
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Giuseppe Pastore
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I tempi cambiano e l'Italia, nel calcio e nella politica come nel contesto sociale, si trasforma lentamente, sin prisa pero sin pausa. Ma c'è un ultimo appiglio di Prima Repubblica che risiede in quei mangiafuoco del calcio che amano riprodurre in sedicesimo la ritualità e i cerimoniali dei governi democristiani degli anni Settanta e Ottanta, che duravano in media sette-otto mesi ma a ben vedere tutta la vita, nell'infinita e ciclica riproposizione di presidenti e ministri caratterizzati da numeri romani progressivi.

 

Non casualmente avellinese come Ciriaco De Mita, con pazienza certosina da fine giocattolaio Enrico Preziosi smonta e rimonta la sua creatura, passando da un De Canio II a un Ballardini IV con in mezzo l'inevitabile Juric III, e via così fino alla successiva giravolta gattopardesca. Sulla carta questo Genoa non sembra poter retrocedere, se non altro perché può vantare in attacco il capocannoniere del campionato: eppure nella schizofrenia di Preziosi sembra quasi albergare la speranza di un altro campionato tribolato, costellato di contestazioni, appostamenti sotto casa, psicodrammi assortiti, terzultimi posti che si avvicinano e infine l'apoteosi finale, la salvezza agguantata alla penultima giornata contro il Cagliari, le promesse di vendere la società e il ricominciare a metà luglio, con uno Iachini o un Mandorlini da esonerare in autunno.

 

Perciò niente di più ovvio che definire “scarso”, lo stesso allenatore di cui nel 2013, quando aveva salvato il Genoa, aveva detto che «solo uno sciocco potrebbe privarsene». Nella paziente attesa del quarto (!) incarico in corsa a Ballardini, previsto suppergiù per febbraio dopo la puntuale atomizzazione a gennaio della rosa precedente, ripercorriamo gli esoneri più spettacolari di Enrico Preziosi.

 



Dopo la positiva esperienza da presidente del Saronno, in cui ha portato il club quasi alle soglie della Serie B ma non si è comunque risparmiato un paio di esoneri dimostrativi del suo enorme potenziale, nella prima stagione a Como Preziosi piazza un numero che fa intravedere le stimmate del fuoriclasse, l'equivalente presidenziale del gol di Cassano in Bari-Inter. Siamo nel 1997-1998 e il tecnico del Como è un giovane Mario Beretta, che Preziosi si è portato da Saronno dopo che l'anno prima ha centrato i play-off da debuttante in C1, chiudendo la regular season addirittura al terzo posto. Il Como è partito bene, due vittorie e poi quattro pareggi consecutivi, e se ne sta comodo in zona-playoff in un campionato in cui il Livorno è partito fortissimo con nove vittorie di fila. Non c'è alcun motivo di mandare via l'allenatore di una squadra ancora imbattuta; o forse sì, secondo il pensiero laterale di Preziosi.

 

«È stata una decisione molto sofferta. Non si poteva aspettare. Stimo moltissimo Beretta, per me è come perdere un carissimo compagno di viaggio. Purtroppo i programmi del Como sono diversi: a Saronno la squadra è venuta fuori a distanza e ha fatto benissimo nel girone di ritorno. A Como non potevo concedere a Beretta lo stesso tempo e rischiare di dover cambiare quando sarebbe stato troppo tardi. In questo caso i sentimenti contano poco, contano solo i risultati e il gioco». L'esonero preventivo diventerà un grande classico di Preziosi, “ti mando via ora perché dopo potrebbe essere troppo tardi”, con l'ovvia conseguenza che i risultati peggiorano e dopo tre mesi Preziosi è costretto a richiamare l'allenatore precedente. Proprio come succede a Como: dopo sette partite Enrico Catuzzi viene esonerato e torna Beretta, che sarà a sua volta ri-esonerato a nove giornate dalla fine. La squadra eviterà i play-out solo all'ultima giornata. «Guardando il comportamento di Preziosi», osserva acutamente Nicola Binda sulla Gazzetta dello Sport, «si ha l'impressione che per lui il Como sia solo un giocattolo».

 



 



Loris Dominissini può comunque raccontare agli amici di essere imbattuto in carriera contro la Juventus.

 

Dopo un paio di giri a vuoto, Preziosi trova finalmente la guida ideale per il suo Como dei miracoli: il giovane friulano Loris Dominissini, che in due anni riesce nel doppio salto vincendo addirittura il campionato di B con il nuovo record di punti (74). La stella del Como 2001-2002 è un attaccante a fine carriera ma ancora capace di fare la differenza al piano inferiore, il belga Lulù Oliveira, capocannoniere di B con 23 reti. Con un sadismo da cattivo di Batman, Preziosi lo vende al Catania di Gaucci a due giorni dall'esordio in serie A, regalando al suo giovane mister un attacco composto da Bjelanovic, Godeas, De Cesare, Benny Carbone e dal colombiano Jorge Horacio Serna, presenze a fine stagione una.

 

L'accortezza tattica di Dominissini consente al Como di racimolare qualche pareggino qua e là, ma sorprendentemente (per Preziosi) il Como non vincerà neanche una partita fino a Natale, segnando cinque gol in undici partite, fino al capolinea di Perugia (0-3). Preziosi lo invita per sede e molto carinamente gli chiede di dimettersi; Dominissini rifiuta, e viene esonerato. «Mi aspettavo che Dominissini si assumesse di più le sue responsabilità, invece mi ha detto di avere la coscienza a posto. Sentiva di avere la squadra in mano e che sarebbe bastato dargli tempo. Si è appellato agli infortuni. Ma mi pare che il tempo rimasto sia pochissimo. Mi dispiace tantissimo, ma stavolta non mi ha convinto».

 

Con piglio da giudice di talent Preziosi annuncia il nome del successore: il 64enne Eugenio Fascetti, che non arriva con l'aria del trascinatore. «Il passo con cui il nuovo tecnico affronta gli otto gradini che conducono all'ingresso della società», scrivono i giornali, «non lascia intravedere molte energie». L'idea è di Antonino Imborgia, super-consulente di mercato molto ascoltato da Preziosi, che in quei mesi passa dalla cronaca alla leggenda perché, secondo Preziosi, sarebbe quello che ha scartato Messi dopo il famoso provino al Como (Imborgia ha sempre negato).

 

Fascetti, che in riva al lago concluderà la carriera di allenatore, accompagna docilmente il Como alla retrocessione e all'eutanasia così efficacemente programmata da Preziosi, che ha già investito voglia e denaro nella sua prossima avventura, il Genoa. La sua ex società finisce in malora: il fallimento e il crack economico costeranno a Preziosi un patteggiamento a 23 mesi di reclusione (pena indultata) per bancarotta fraudolenta e un'inibizione di cinque anni dalla Commissione Disciplinare della Lega Calcio. E anche il povero Dominissini scivolerà precocemente nell’oblio.

 

Genoa 2005-2006 – via Vavassori, dentro Perotti (e ritorno)

 


Il memorabile unico gol di Dante Lopez con la maglia del Genoa.


 

Per le note vicende post Genoa-Venezia, il Grifone inizia l'estate 2005 progettando grandi acquisti (già presi Guidolin, Abbiati, Parisi e il Pocho Lavezzi dall'Estudiantes) e la conclude nelle secche della serie C1, con Giovanni Vavassori in panchina e tre punti di penalizzazione. Che la gestione delle cose quotidiane sia leggerissimamente votata all'improvvisazione lo si capisce già alla seconda giornata, quando il Genoa vince 3-1 a Ravenna schierando il camerunense Ghomsi, che si porta dietro un turno di squalifica ancora da scontare, rimediato l'anno prima con la Primavera della Salernitana.

 

Dopo mesi di diatribe giuridiche arriverà il 3-0 a tavolino, ad appesantire un clima già teso per la promozione che “deve” arrivare a fine stagione. Il pragmatico Vavassori si barcamena da abile nocchiero, mantenendo il Genoa tra la prima e la seconda posizione. Tuttavia forse Preziosi soffre troppo il fatto di non riuscire a sbarazzarsi della compagnia dello Spezia, in quello che gli deve sembrare un fastidioso derby regionale, ma sta di fatto che il 3 marzo, dopo il sorpasso spezzino in testa alla classifica, il tecnico viene esonerato.

 

A Marassi torna Attilio Perotti, che al Genoa aveva fatto cose decorose circa un decennio prima. Ma il difetto è nel manico, per esempio in una campagna acquisti invernale che ha portato al Genoa una supposta stella internazionale come il paraguayano Dante Lopez, per una cifra che tuttora resta avvolta nel mistero (c'è chi dice tre milioni, c'è chi dice dieci), così come il tasso etilico di chi ha promosso e avallato l'acquisto. Alla penultima giornata una sconfitta in casa per 3-1 contro il Cittadella e la contestuale aritmetica promozione dello Spezia spinge il Genoa ai play-off e porta all'esonero di Perotti, alle dimissioni del direttore generale Fabiani, alla richiamata disperata di Vavassori, insomma al classico psicodramma irpino-genoano. Con classico finale incorporato a tarallucci e vino: il Genoa tornerà in Serie B dopo il doppio play-off con Salernitana e Monza (quando segnerà anche Igor Zaniolo, padre dell'attuale romanista Nicolò) e proprio contro i campani arriverà il primo e unico gol di Dante Lopez, appena prima di volare in Germania per partecipare – ebbene sì – ai Mondiali con il suo Paraguay (ventisette minuti contro la Svezia, zero gol).

 



 


“Ma quale mollo!”.


 

«È l'anno del mollo!», diranno i lettori più attenti. Sì, ma non proprio: la famosa conferenza-stampa, tuttora un cult su YouTube, in cui Malesani si sfoga contro i giornalisti genovesi risale al Malesani I, quando la squadra è tutto sommato in acque più che discrete: il “Male” viene esonerato a due giorni da Natale dopo un 6-1 subito a Napoli, quando però il Genoa è nono a 9 punti dal terzultimo posto. Diamogli anche atto che non si trattava di un lapsus: “mollo” è in effetti il modo genovese di definire qualcosa di insicuro, scarico, poco convinto, insomma molle.

 

Il suo Genoa procede dignitosamente nonostante l'assenza cronica di una punta di peso, di cui Malesani si lamenterà a più riprese: fino a dicembre il convento passa Caracciolo e il Cammello Lucas Pratto, solo con l'anno nuovo arriverà un Gilardino a dare manforte a Palacio e ad occupare l'area in maniera più convincente. Dopo la disfatta di Napoli lo sostituisce Pasquale Marino, desideroso di rivincita dopo la brutta stagione precedente a Parma, ma le cose precipitano: il suo Genoa infila prestazioni decorose in casa (batte Napoli e Lazio, fa 0-0 contro la prima Juve di Conte) ma imbarca acqua a ripetizione in trasferta, fino al pirotecnico 5-4 subito dall'Inter di Stramaccioni che è la goccia che fa traboccare il vaso.

 

Il cavallo di ritorno è un grande classico del preziosismo, almeno quanto “Tutto il resto è noia” cantata a squarciagola assieme all'amicone Galliani in un ritrovo estivo di quei mesi. Invece l'atmosfera del Malesani II è molto meno conviviale: due pareggini contro le retrocedende Novara e Cesena, prima della pagina più umiliante di 125 anni di storia del Grifone, Genoa-Siena 1-4 e i capi della Gradinata Nord che “invitano” i giocatori – alcuni dei quali fermi in lacrime a centrocampo - a togliersi la maglia. Nonostante (o forse grazie a) un turno in campo neutro a Brescia, la salvezza arriverà con il placido De Canio, uomo per tutte le stagioni, mentre del Malesani genoano rimarrà solo un'ultima diapositiva con le basette arruffate e i capelli alla Beethoven, una via di mezzo tra Napoleone a Sant'Elena e Alain Delon intabarrato ne

di Valerio Zurlini.

 



 


Il Genoa di Juric è una delle due sole squadre italiane capaci di battere la Juventus con almeno due gol di scarto negli ultimi due anni.


 

Se oggi tutti i tifosi del Genoa e migliaia di fanta-allenatori in tutta Italia guardano con sospetto al resto della stagione di Krzysztof Piatek, e in molti di loro sarebbero disposti a scommettere su un'eventuale partenza già a gennaio, è perché hanno numerose volte mangiato la foglia dei mercati di riparazione dell'era Preziosi. A volte – per esempio nel 2015, grazie anche alla sapiente guida di Gasperini – i ribaltoni sono stati finanche vantaggiosi; altre volte decisamente infelici. Fino a metà dicembre 2016 il Genoa di Ivan Juric è una delle rivelazioni del campionato: blocca il Napoli, batte 3-0 il Milan e supera persino la Juventus con tre gol nella prima incredibile mezz'ora.

 

A Preziosi non deve parer vero poter monetizzare, con le big che inseguono i gioielli Pavoletti e Rincon; il problema è che i loro sostituti sono una macedonia di bolliti (Pinilla, Taarabt) e incompiuti vari (Cataldi, Hiljemark) e anche a chi rimane – per esempio l'ottimo Giovanni Simeone – inizia a sfuggire il senso generale di un buon progetto che viene interrotto di punto in bianco per cause imprecisate. Così il bel Genoa di Juric inizia una caduta verticale che si arresta in modo traumatico in casa del cenerentolo Pescara, che vive l'ultimo pomeriggio di Zemanlandia con un incredibile 5-0. Dopo il rientro notturno a Genova tra insulti, sputi e uova, il tecnico croato viene esonerato quando è quintultimo, a 11 punti dalla retrocessione; tornerà dopo che la breve gestione Mandorlini avrà prodotto tre gol quattro punti in sei partite, più un derby perso senza mai tirare in porta.

 

Il tecnico romagnolo, rassicurato dopo uno 0-5 interno contro l'Atalanta del core 'ngrato Gasperini, viene puntualmente impallinato la settimana successiva, in un finale amaro in cui Mandorlini svuota l'armadietto di Pegli quando sono già arrivati i collaboratori di Juric a riempire nuovamente i loro. Naturalmente, ci si salverà anche stavolta: i Genoa di Enrico Preziosi sono spaghetti-western, in cui nessuno ci resta secco sul serio.

 

 

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