
Può suonare come una banalità ma la Premier League è meno prevedibile di quanto sembri. Un anno fa il dualismo Arsenal-Manchester City sembrava inscalfibile e invece ora siamo qui a parlare del Liverpool campione in carica. Nottingham Forest e Crystal Palace sembravano squadre candidate a salvarsi faticosamente e invece giocheranno le prossime coppe europee – quest’ultima addirittura con due trofei in bacheca.
Come ormai succede regolarmente, la Premier inonda il pubblico di novità al punto che è quasi impossibile tenere il passo con quello che succede. Ci abbiamo provato scegliendo i nove temi più interessanti della prossima stagione.
È ANCORA LA PREMIER LEAGUE DELLA CLASSE MEDIA
Nelle ultime stagioni alcune delle storie più interessanti della Premier League sono venute non tanto dalle grandi consolidate quanto da tutte quelle squadre che gravitano subito sotto di loro. Nel 2023 era stato il momento del Brighton di De Zerbi, nel 2024 dell’Aston Villa di Unai Emery, nel 2025 del Bournemouth di Iraola. Al tempo stesso in questo lasso di tempo abbiamo visto naufragare prima il Chelsea, e poi Tottenham e Manchester United.
Insomma, se in questo momento è ancora vero che le big six sono le uniche squadre che possono concedersi acquisti da centinaia di milioni, è altrettanto vero che ormai spendere tanto non è più sufficiente per costruire squadre competitive. I disastri compiuti da Tottenham e Manchester United nella scorsa Premier – conclusa rispettivamente al diciassettesimo e al quindicesimo posto – hanno radici nei soliti problemi societari di queste squadre ma anche nell’espansione della middle class. Nella scorsa stagione, oltre al già menzionato Bournemouth, abbiamo visto tante squadre – Crystal Palace, Nottingham Forest, Brighton, Brentford, Aston Villa – che oltre ad avere potere finanziario hanno avuto l’abilità e l’intelligenza necessarie a costruire dei progetti tecnici più solidi e strutturati.
È vero, in questa fase storica la Premier League sta rompendo il calciomercato – con le naturali polemiche che questo comporta – ma è anche vero che solo un sistema così ricco in modo così uniforme riesce a produrre così tante squadre in grado di fornire spunti tecnici e tattici sempre interessanti e sempre diversi tra loro, creando un campionato che, fatti salvi alcuni outlier, è stato equilibrato come non mai. Tutto questo è però arrivato a un prezzo.
CI SARÀ UNA LOTTA SALVEZZA?
Ora veniamo alle note meno liete. Nella Premier League 2023/24 Burnley, Luton e Sheffield United (ossia le tre neopromosse) sono retrocesse facendo in media 22 punti, il peggior dato dell’era Premier League. Nella stagione seguente Ipswich, Leicester e Southampton (ancora una volta le tre neopromosse) sono nuovamente retrocesse facendo in media addirittura 19.3 punti. In questo pacchetto abbiamo poi visto la peggior difesa – 104 gol subiti, dello Sheffield United 2023/24 – e il secondo peggior totale di punti – 12, del Southampton 2024/25 – della storia della Premier League.
In poche parole, nell’ultimo biennio il ricambio di squadre in Premier League non è esistito e, anzi, le squadre che hanno raggiunto la promozione non solo sono subito retrocesse, ma lo hanno fatto in modo disastroso, senza mai competere per salvarsi. Il prezzo da pagare per un campionato dal livello medio così alto, insomma.
Quest’anno il quadro potrebbe cambiare ma Leeds e Burnley sono arrivate in categoria con premesse non esaltanti. Il Leeds, che ha vinto la Championship con 100 punti e 95 gol segnati, ha in panchina Daniel Farke, un maestro delle promozioni ma che in Premier ha a referto solo una retrocessione e un esonero con il Norwich. Gli “Whites” hanno investito abbastanza sul mercato, confermando buona parte della rosa e aggiungendo alcuni profili interessanti come il mediano Anton Stach dall’Hoffenheim, il terzino Gabriel Gudmundsson dal Lille e Jaka Bijol dall’Udinese. Tre giocatori di categoria superiore a quelli che hanno trascinato la squadra in Premier ma forse troppo poco per pensare di difendere la categoria.
Non così migliore è la situazione del Burnley, che è stato promosso a sua volta con 100 punti e con 16 gol subiti e 29 clean sheet (due record per la Championship) in 46 partite. In panchina per i “Clarets” c’è però Scott Parker che, come Farke, in Premier ha totalizzato solo una retrocessione e un esonero. Il Burnley ha inoltre perso il suo portiere Trafford, tornato al Manchester City, e il suo secondo miglior marcatore, Josh Brownhill, rinforzando con qualche giocatore di livello, su tutti Kyle Walker e Quilindschy Hartman, ma anche in questo caso ben poco di esaltante.
In attesa di capire se ci saranno altri colpi interessanti viene da dire che per entrambe le prospettive sono negative. Sembrano un pochino migliori quelle del Sunderland, promosso solo all’ultimo minuto della finale play-off contro lo Sheffield United dopo aver ottenuto ben 24 punti meno di Burnley e Leeds e 14 meno dello stesso Sheffield United. Ci torneremo.
COME STANNO I CAMPIONI IN CARICA DEL LIVERPOOL?
La scorsa estate il Liverpool non sembrava in grado di poter sostenere una lotta al titolo estenuante come quelle degli ultimi anni. Poi però il lavoro di Arne Slot, unito ai simultanei crolli di Arsenal e Manchester City e alla stagione monumentale di Salah, hanno reso la scorsa stagione una marcia trionfale verso il ventesimo titolo, in cui il Liverpool ha conquistato la testa della classifica in autunno e non solo non l’ha più mollata, ma non ha mai neanche dato l’impressione di poterlo fare. Il titolo vinto lo scorso maggio è stato il primo festeggiato in un Anfield pieno e anche nelle celebrazioni c’è stata la sensazione che tutti volessero recuperare le emozioni che non erano riusciti a vivere nel 2020, o almeno questo possiamo dedurre dalla presenza di Klopp ed Henderson in tribuna per la partita della premiazione.
Ad accompagnare questa estasi c’è poi stato un mercato straordinario, aperto dai rinnovi di Salah e Van Dijk e che ha visto aggiungersi Mamardashvili, Frimpong, Kerkez, Wirtz ed Ekitiké. Questa estate, insomma, doveva essere quella dell’entusiasmo più puro per i “Reds”, salvo poi essere straziata dalla morte di Diogo Jota, da cui non sappiamo ancora se e come la squadra riuscirà a tirarsi fuori.
Al netto della reazione a una simile tragedia, un mercato così massiccio, unito alle cessioni di Nuñez, Quansah, Diaz e Alexander-Arnold, dovrà per forza portare a dei cambi radicali nel Liverpool. In particolare, l’inserimento di Frimpong al posto di Alexander-Arnold segnerà un cambio abbastanza profondo nel modo in cui si muoverà la catena destra del Liverpool.
Se infatti Alexander-Arnold è diventato un playmaker di altissimo livello, Frimpong è un giocatore che preferisce avere campo da attaccare in corsa e in generale tende a stare più largo rispetto all’inglese. Ha anche una capacità di coprire meglio la lunghezza del campo e questo, come sottolinea Daniele V. Morrone, può giocare a favore di Salah, permettendogli di giocare ancora più dentro il campo. Un’altra variabile è quella di impiegare Frimpong al posto di Salah stesso – una soluzione che potrebbe tornare utile quando Salah sarà impegnato in Coppa d’Africa a inizio 2026 – con un terzino più classico come Conor Bradley alle sue spalle.
Nel match di Community Shield perso contro il Palace, Slot ha proposto un 4-2-3-1 molto ambizioso, mettendo in campo simultaneamente Salah, Gakpo, Wirtz ed Ekitiké. Sul breve questa scelta ha prodotto ottimi risultati. Le combinazioni tra Gakpo, Kerkez, Ekitiké e Wirtz a sinistra hanno ovviato subito all’assenza di un dribblatore come Luis Diaz – ceduto al Bayern – producendo una serie di situazioni estremamente pericolose per il Palace, con continui interscambi di posizione, illeggibili anche per un blocco difensivo ben strutturato come quello di Glasner.
Certo, tutto questo è stato possibile grazie alla presenza di una mediana molto offensiva, con Szoboszlai e Jones – che nello scorso anno hanno giocato persino da falsi 9 – davanti alla difesa. I due hanno sicuramente una qualità superiore nella gestione del pallone ma hanno mostrato una mancanza di riferimenti preoccupante in fase di non possesso, venendo facilmente bucati dalle giocate dirette delle “Eagles”. E proprio a partire da due giocate dirette sulle corse di Mateta e Sarr il Liverpool ha concesso due gol e ha dato un generale senso di fragilità, tanto da costringere Slot a riproporre in campo Endo nel finale – Gravenberch era assente – sacrificando Ekitiké e proponendo una sorta su 4-3-3 con Wirtz ad agire da falso 9.
In attesa di vedere come si comporterà con Gravenberch a disposizione, appare chiaro che Slot dovrà ricostruire degli equilibri diversi per il suo Liverpool e sul lungo periodo è difficile credere, per esempio, che l’olandese potrà rinunciare a cuor leggero a un giocatore come Mac Allister, fondamentale già nella scorsa stagione.
Anche per Salah la situazione è da tenere d'occhio. L’egiziano viene da una stagione clamorosa – MVP, capocannoniere e miglior assistman della Premier – ma è anche alle soglie dei 33 anni, e dopo tanti anni di connessione telepatica con Alexander-Arnold, nella partita col Palace ha fatto molta più fatica a trovare la sua zona di comfort con un esterno più fisso in ampiezza come Frimpong. Inoltre, a gennaio c’è la Coppa d’Africa, una competizione che ha sempre drenato pesantemente le energie di Salah – 6 gol in quattro mesi dopo la coppa del 2024 addirittura 4 gol dopo quella del 2022.
Per il Liverpool, quindi, ci sono ancora dei pezzi da sistemare e, soprattutto, a differenza della scorsa stagione è verosimile che le principali contender ritornino su livelli più alti, per cui la lotta per il titolo sarà presumibilmente più difficile.
L'ARSENAL DEVE COMPLETARE IL SUO PERCORSO
Da ormai due anni Arteta ha intrapreso un processo di deidealizzazione – o di mourinhizzazione, come spiegava Daniele V. Morrone lo scorso novembre – del suo gioco, riempiendo l’Arsenal di giocatori molto bravi a gestire i duelli difensivi – Rice, Calafiori e Timber su tutti – anche a costo di perdere fluidità in possesso e produrre meno occasioni. Ora l’Arsenal ha una delle migliori fasi di non possesso in Europa ma è al contempo diventata una squadra che produce poco e converte male.
Anche per reagire a queste criticità il nuovo DS, Andrea Berta, è intervenuto massicciamente sul mercato, prendendo sei giocatori per un totale di più di 200 milioni di euro. Chiaramente tra questi i nomi più rilevanti sono quelli di Martin Zubimendi e Viktor Gyökeres, che dovrebbero migliorare la fase di possesso dell’Arsenal a due livelli.
Quello di Gyökeres è indubbiamente l’acquisto più significativo. Lo svedese viene da due stagioni con 97 gol in 102 partite nello Sporting e dovrebbe idealmente alzare il livello della finalizzazione. Il cambio vero che Gyökeres porta nell’Arsenal è principalmente di mentalità: è un centravanti verticale, che cerca sempre la profondità e che ha il tiro come prima soluzione in ogni situazione di gioco. Due cose che nessun giocatore dell’Arsenal attuale può dire di avere. L’incognita è chiaramente il suo incastro con le difese della Premier, il cui livello fisico, tattico e atletico è molto più alto di quello delle squadre portoghesi.
Paradossalmente però è Zubimendi l’acquisto più cruciale per Arteta, perché dovrebbe idealmente alzare il secondo livello, ossia quello della creazione delle occasioni. Il basco prende il posto di Thomas Partey nel ruolo di mediano e rispetto al ghanese – trasferitosi al Villarreal e su cui pende un processo per stupro – è un giocatore meno codificato ma ha una maggiore flessibilità posizionale, potendo partecipare stabilmente alla prima costruzione ma anche alzarsi per accompagnare l’azione fino alla trequarti. Questo in teoria dovrebbe aiutare a sciogliere la struttura ultra-rigida del centrocampo di Arteta, che di fatto aveva nel solo Ødegaard un giocatore in grado di collegare la fase di prima costruzione a quella di rifinitura.
Dietro a questi due nomi ci sono poi altre figure un po’ meno cool ma comunque importanti. Nella scorsa stagione infatti Arteta ha dovuto spremere i suoi titolari fino allo stremo, contribuendo anche agli infortuni di Saka, Gabriel e Havertz, e la sensazione è che quindi servissero delle seconde linee più affidabili. In quest’ottica va letto l’acquisto di Noni Madueke dal Chelsea, che dovrebbe essere il primo cambio come esterno alto a destra ma potrebbe anche tornare utile a sinistra, e anche quelli di Nørgaard, che dovrebbe alternarsi con Zubimendi, e Mosquera, che dovrebbe farlo con Saliba.
Da valutare c’è poi la situazione di Max Dowman, quindicenne esterno alto che ha già stuzzicato Arteta. Inglese e già discretamente strutturato, Dowman ha giocato spesso nelle amichevoli estive e sembra già pronto a giocare coi grandi. Certo, farlo in Premier League è più complesso ma gli exploit avuti da Nwaneri e Lewis-Skelly nella scorsa stagione potrebbero giocare a suo favore.
Al momento ad Arteta manca un upgrade di Martinelli e Trossard a sinistra ma già in questo momento il basco si trova nella situazione di dover legittimare il suo percorso con un trofeo importante, anche per evitare di perdere presa sui due uomini chiave – Saka e Saliba – che si stanno avvicinando alla scadenza del contratto.
IL CITY STA FACENDO UNA RIVOLUZIONE
In questo momento è difficile tracciare un quadro della situazione del Manchester City. Se l’anno scorso si poteva intravedere qualche crepa nella macchina perfetta di Guardiola, immaginarsi un simile tracollo – su cui ha pesato l’infortunio di Rodri – era veramente difficile. Questa stagione ha però contribuito significativamente ad accelerare il ricambio generazionale di cui il Manchester City aveva bisogno, come anche provato dagli 8 acquisti – per circa 350 milioni spesi – che Guardiola ha ottenuto da gennaio 2025.
In questo momento è ancora difficile avere un’idea definita di cosa farà il City nel corso della stagione. Dopo l’eliminazione dal Mondiale per Club la squadra non ha ancora giocato amichevoli, per cui l’unico riferimento reale che abbiamo è quello delle ultime partite negli Stati Uniti, dove Guardiola ha per esempio già inserito stabilmente Reijnders e Ait-Nouri, presi proprio nella finestra di mercato pre-mondiale.
Dall’infortunio di Rodri dello scorso settembre il Manchester City si è trasformato in un meccanismo molto lento e limitato quasi solo a muovere il pallone lateralmente con la speranza di isolare Savinho o Doku per creare caos. Una forma quasi paranoica di gioco di posizione che si è anche scontrata sia con il declino fisico di De Bruyne che con il fatto che lo stesso Rodri era l’unico reale distruttore di gioco su cui Pep poteva fare affidamento. Anche per questo l’acquisto di Reijnders sembra destinato a essere importante per la squadra di Guardiola. L’olandese, come visto al Milan, è un giocatore che gode nel tagliare le linee di pressione e cercare passaggi più ambiziosi, uno stile di gioco che al City ormai mancava dal prime di De Bruyne.
In modo simile Ait-Nouri dovrebbe portare di nuovo la catena sinistra del City a dei livelli accettabili di flessibilità: l’algerino è infatti un terzino che sa fare più o meno tutto, è in grado di agevolare la prima uscita affiancandosi ai centrali, di ricevere aperto per produrre cross e anche di riempire le zone centrali con tagli esterno-interno. Un upgrade importante considerando che Gvardiol sembra destinato a una stagione da difensore centrale e che al suo posto lo scorso anno ha giocato soprattutto Nico O’Reilly, che oltre a essere molto giovane in teoria sarebbe una mezzala, peraltro offensiva.
Ovviamente l’acquisto più cool del City è Rayan Cherki, preso per 30 milioni circa dal Lione. Abbiamo imparato a conoscere il francese per la sua totale entropia creativa in campo e il modo in cui tocca il pallone, cercandosi i suoi spazi in totale autonomia. Ora Cherki, che comunque non è detto che giocherà titolare, ha delle possibilità enormi per fare uno scatto in avanti nella sua carriera.
Certo, già in passato si è visto quanto giocatori così anarchici si siano dovuti meccanizzare per sopravvivere nel sistema di Guardiola – pensate a Foden e soprattutto a Grealish – ma è anche vero che Cherki si trova in un City diverso rispetto a quella degli ultimi anni. Rimane da capire se Guardiola sarà disposto a sacrificare il suo ordine per mettere a suo agio il francese o se sarà il francese a doversi piegare nel sistema di Guardiola per non essere sputato fuori.
Ritornando sul quadro generale, vale la pena notare come Guardiola stia lavorando in modo più radicale – oltre a Grealish e De Bruyne dovrebbero andare via anche Ederson e forse altro – ma anche meno chiacchierato rispetto agli scorsi anni. E, contando che già nel Mondiale per Club è tornato in campo Rodri, escluderli in partenza dalle favorite per il titolo rischia di essere un errore molto grave.
CHI PUO' INSERIRSI NELLA LOTTA AL TITOLO?
Il Chelsea ha fatto l’ennesimo mercato pazzo degli ultimi anni. In questo momento i Blues hanno nuovamente una rosa ipertrofica e ancora una volta non si capisce chi rimarrà nei piani di Maresca e chi no.
L’italiano ha mostrato di essere comunque un allenatore importante per un progetto così fragile. Ha raggiunto il quarto posto in Premier e vinto Conference League e Mondiale per Club, dando anche a tratti la sensazione di poter ottenere persino qualcosa in più. Il vero collo di bottiglia della scorsa stagione è stato lo stato di forma di Palmer, che ha fatto fuoco e fiamme per tutto il 2024 ma è calato fisicamente con l’inizio del nuovo anno, probabilmente logorato dall’enormità di partite giocate. Poi si è riacceso per la finale di Conference League e per la fase finale del Mondiale, confermandosi come un giocatore clutch come pochi altri. Il momento di calo del Chelsea, che ha rischiato di mancare la top 5 nel finale di stagione, è coinciso con il calo di Palmer e anche per questo la sensazione è che Maresca stia cercando di rendere, per quanto difficile, la squadra meno dipendente da lui.
Con gli arrivi di Gittens, Joao Pedro ed Estevao (più quello probabile di Xavi Simons), il Chelsea ha arricchito enormemente la qualità media della sua trequarti e con Delap ha inserito un cambio credibile di Nicolas Jackson – che nonostante un’ottima stagione è sul mercato – in attacco. Sulla carta i “Blues” sembrano destinati a una crescita organica, almeno a giudicare dalla maturazione di profili chiave come Cucurella, Caicedo ed Enzo Fernandez – i migliori insieme a Palmer della scorsa stagione – ma l’infortunio al crociato di Colwill potrebbe rimescolare molte carte nella coppia centrale, dove Maresca faceva già fatica a trovare dei profili affidabili già lo scorso anno. E parallelamente c’è un grande problema in porta, dove Sanchez non ha mai dato realmente sicurezze, il suo cambio, Jorgensen, ne ha datte addirittura di meno e l’unico portiere che sembrava avere margini, ossia Petrovic, è stato ceduto in estate al Bournemouth.
E naturalmente poi c’è la Champions. Lo scorso anno il Chelsea ha potuto gestire le sue energie in Conference – Palmer non era neanche nelle liste per la fase campionato – ma in questa stagione Maresca dovrà trovare molte più risorse dalla sua rosa. Se Maresca riuscirà a confermare il suo lavoro potremmo vedere un Chelsea più vicino al trio di testa ma la storia recente del club legittima qualche dubbio.
Nel discorso titolo si sarebbe potuto inserire anche il Newcastle ma il mercato molto fiacco dei “Magpies” non sembra promettere molto bene. L’acquisto di Elanga dal Nottingham Forest ha aggiunto un’opzione importante atleticamente e tecnicamente in attacco e quello di Thiaw dal Milan dovrebbe allungare le rotazioni nella speranza di un recupero al top di Botman, ma a centrocampo l’unica garanzia è data dal trio Tonali-Joelinton-Bruno Guimaraes, un pacchetto di altissimo livello ma con troppe poche alternative per reggere 50 partite. Se a questo dovesse sommarsi anche la cessione di Isak, il Newcastle, più che di avvicinarsi alle prime, rischia addirittura di perdere terreno per la lotta Champions.
L'ETERNO RITORNO DI MANCHESTER UNITED E TOTTENHAM
Un anno fa lo United vinceva la FA Cup contro il City, Ten Hag veniva confermato in panchina e gli venivano messi in mano Yoro, De Ligt, Zirkzee e Ugarte e insieme a loro erano emersi due giovani brillanti come Garnacho e Mainoo. In un universo parallelo magari questi giocatori avrebbero riportato lo United in Champions League o addirittura a un titolo. In questo invece è tutto finito nel solito disastro: Ten Hag è stato esonerato, Zirkzee è diventato un reietto, Mainoo ha perso il posto da titolare e Garnacho è sul mercato ormai da diversi mesi.
Insomma, quanto possiamo credere nello United ancora? Probabilmente poco. Amorim è stato confermato nonostante la sconfitta in finale di Europa League, il club ha speso 150 milioni per prendere Mbeumo e Matheus Cunha (40 gol stagionali complessivi) ed entrambi sulla carta dovrebbero essere dei fit più adatti per il 3-4-2-1 del portoghese ma la sensazione è sempre che il margine tra un acquisto intelligente e un disastro annunciato sia molto sottile. Un discorso simile si può applicare a Benjamin Sesko che, ricalcando il solco di Hojlund e Zirkzee, si trova in un momento importante del suo sviluppo a giocare per una squadra che attende invano un grande centravanti ormai da dieci anni e che in lui riporrà aspettative verosimilmente fuori scala.
Con lo United si ha sempre la sensazione di essere davanti a un fenomeno completamente incomprensibile con i nostri canoni. Le qualità individuali di tanti singoli, così come quelle di Ruben Amorim, sono abbastanza indiscutibili ma ogni anno questo club sembra essere un esempio pratico delle teorie di Schrödinger: una squadra seria, un meme o entrambe. L’unico modo per scoprirlo è vedere cosa succederà in campo.
Per il Tottenham la situazione è forse più incoraggiante per quanto più bizzarra: il biennio Postecoglou è iniziato con una squadra divertente, che pressava a meraviglia e con momenti anche iconici come la linea del fuorigioco sulla metà campo contro il Chelsea, è passato per un anno di totale disfacimento ed è finito con una squadra che ha rinnegato ogni principio ma vincente per la prima volta in 18 anni. Tutti gli estremi della Tottenham experience, insomma.
Postecoglou era con un piede fuori dagli Spurs già prima della finale di Europa League e, nonostante la vittoria, la dirigenza non ci ha mai veramente ripensato. Ora al suo posto c’è un allenatore come Thomas Frank che ha fatto la storia del Brentford, che ha una base di pressing simile ma più diluite di quella di Postecoglou e che si troverà una squadra reduce da un diciassettesimo posto ma che giocherà la Champions.
Come per lo United, è difficile capire cosa non funzioni nel Tottenham: Postecoglou ha saputo valorizzare molti singoli nel suo sistema – Udogie, Porro, van de Ven, Maddison, Johnson e Kulusevski – ma non ha mai trovato un modo per renderlo stabile, finendo vittima dell’isteria della società. Frank al Brentford è stato fenomenale sia nel produrre singoli di altissimo livello – Raya, Mbeumo, Watkins, Wissa, Toney per dirne alcuni – e anche nel mettere in piedi dei sistemi molto solidi, in grado di mantenere una buona intensità in pressing e una buona produzione di occasioni senza sacrificare troppo la loro solidità. La sua, sulla carta, sembra una scelta di compromesso anche intelligente, ma ovviamente nel Tottenham le cose non seguono quasi mai un percorso lineare.
Intanto la squadra si sta rinforzando: sono arrivati due acquisti pesanti come Kudus dal West Ham e Joao Palhinha dal Bayern, due aggiunte che dovrebbero offrire a Frank qualche variabile in più soprattutto nella gestione del pallone, un aspetto gravemente carente nel gruppo di Postecoglou, che ha sempre dovuto scegliere tra trovare una squadra solida in non possesso e una produttiva in modo regolare. Inoltre, la cessione di Son e l’infortunio al crociato di Maddison priveranno gli Spurs di due leader del gruppo e forse per alzare il livello servirebbe ancora qualche inserimento, come quelli, per ora solo vociferati, di Eze e Savinho, ma qualche prospettiva interessante si può cogliere già adesso.
SQUADRE FETICCIO: SUNDERLAND
Monchi è diventato il DS dell’Aston Villa nel 2022, Tiago Pinto del Bournemouth nel 2024 e Ghisolfi del Sunderland qualche settimana fa. Insomma, “se avessi un centesimo per ogni ex DS della Roma che ha costruito una squadra feticcio in Premier League avrei tre centesimi, che non è molto ma è strano che sia successo tre volte”.
Il Sunderland forse ha meno titolo a essere considerato una squadra feticcio rispetto a Villa e Bournemouth ma già negli scorsi anni, i “Black Cats” hanno lavorato in modo molto interessante, costruendo squadre imperniate su molti giovani.
Il mercato che Ghisolfi ha messo in piedi a Sunderland è uno di quelli ambiziosi: sono arrivati tanti giovani – Habib Diarra, Noah Sadiki, Chemsedine Talbi, Simon Adingra e Robin Roefs – ma anche profili più noti al pubblico, come Reinildo, Le Fée (che era in prestito dalla Roma ed è stato riscattato) e soprattutto Granit Xhaka. L’idea dell’ex DS della Roma sembra quella di aggiungere pezzi di qualità a una rosa che in Championship, guidata da Regis Le Bris, ha fatto vedere delle idee di gioco molto ambiziose. Idee che non è facile esprimere altrettanto bene in un campionato fisicamente devastante come la Premier.
In Championship Le Bris ha proposto un 4-4-2 molto simile a quello storico di Unai Emery, costruendo con un 4+2 in cui Jobe Bellingham e Neil costituivano spesso la seconda linea di costruzione e i due esterni – solitamente Le Fée e Roberts – chiamati a giocare molto nel mezzo spazio. Nelle amichevoli la struttura è rimasta simile ma, invece di due numeri 9 come Mayenda e Isidor, Le Bris ha impiegato solo uno di questi, affiancato da due esterni più autosufficienti come Talbi e Adingra con l’idea di aggiungere giocatori in grado di cambiare velocità all’azione negli ultimi 30 metri.
In generale il mercato fatto da Ghisolfi sembra avere l’intenzione specifica di arricchire le opzioni a disposizione di Le Bris, come anche suggerisce l’inserimento di una mezzala più strettamente offensiva come Habib Diarra e di un attaccante molto strutturato come Marc Guiu. Alla base c’è però anche un progetto pensato per il lungo periodo. Nonostante i 9 acquisti, solo tre (Le Fée, Reinildo e Xhaka) superano i 25 anni, e in generale si innestano su una rosa che già lo scorso anno aveva un’età media molto bassa. Un rischio importante visto come sono naufragati progetti similmente giovani e ambiziosi, come quello del Burnley di Kompany o del Sunderland di Russell Martin.
Più nello specifico, la vera variabile del Sunderland sembra risiedere proprio nell’impatto che avrà Xhaka su questo gruppo. Se lo svizzero dovesse dimostrare di avere ancora energie sufficienti a sostenere il livello della Premier, allora questa potrebbe diventare una squadra molto credibile per la salvezza. Altrimenti dovremo accontentarci di qualche bella partita per una squadra di culto ma niente di più.
TRE GIOCATORI DA SEGUIRE
Oltre a tutti i nomi già citati, ecco altri tre giocatori, uno per reparto che vale la pena seguire in quelle che potrebbero le stagioni della loro consacrazione.
-TERZINO SINISTRO: MYLES LEWIS-SKELLY – ARSENAL
Lo scorso anno Lewis-Skelly ha iniziato la stagione entrando come mossa disperata di Arteta per gli infortuni dei suoi difensori e l’ha finita come terzino sinistro titolare, per altro con una partita gloriosa contro il Real Madrid.
Lewis-Skelly è un giocatore che sembra costruito in laboratorio: da terzino sinistro tende spesso a invertire e ad affiancarsi al mediano in prima costruzione, gioca contro la pressione senza battere ciglio e sfrutta benissimo i duelli fisici con i suoi avversari, tanto che Declan Rice lo ha paragonato a un maestro dei duelli come Moussa Dembélé. Un’investitura importante per un giocatore di 19 anni che è appena comparso nel professionismo ma che rispecchia bene quanto il suo talento sia riconosciuto anche dai suoi stessi compagni.
Al netto di qualche ingenuità – si è fatto espellere due volte, contro Wolverhampton e West Ham – Lewis-Skelly ha mostrato di non soffrire minimamente il salto di categoria e il suo modo di interpretare il gioco, soprattutto in possesso, è stato forgiato alla perfezione per le idee di Arteta, che infatti non si è fatto problemi a mettere in panchina tre giocatori molto più affermati come Zinchenko, Calafiori e Tierney.
Ora per l’inglese servirà una stagione di conferma, sia per difendere il posto da titolare che per cementare il suo posto nella Nazionale inglese, con cui ha già tre presenze e un gol.
-MEDIANO: YASIN AYARI – BRIGHTON
Quello di Yasin Ayari è un nome già abbastanza noto in Premier League. Lo svedese è al Brighton già da qualche anno ma solo nella scorsa stagione ha cominciato a giocare con regolarità. Nel Brighton Ayari gioca solitamente in un centrocampo a due con compiti meno definiti rispetto a quelli del suo compagno – nello specifico un mediano come Carlos Baleba – potendo ricevere palla e avendo più libertà di avanzare sia in conduzione che con i suoi passaggi.
Per la sua struttura fisica – è circa 1.70 – e per i suoi 21 anni Ayari ha un uso del fisico decisamente raffinato. Anche per questo motivo è sorprendente notare quante volte lo svedese giochi con le spalle al diretto avversario, usando il suo fisico come leva per girarsi e avanzare. Quando poi si trova fronte porta poi il suo gioco aderisce meglio al suo stereotipo. Ayari apprezza il rischio: cerca senza paura filtranti e laser pass molto ambiziosi o addirittura si infila tra i suoi avversari con dei dribbling leggeri in cui sembra smaterializzarsi. Il suo limite reale è probabilmente quello del suo contributo negli ultimi 25 metri; in 2000’ nella scorsa Premier ha totalizzato appena un gol e due assist ma soprattutto in rifinitura sembra avere dei margini veramente interessanti, almeno basandoci sugli 1.37 passaggi chiave e gli 0.46 filtranti provati per 90’ (dati FbRef) nella scorsa stagione.
Questa sarà con ogni probabilità la stagione in cui Ayari si prenderà definitivamente un posto da titolare e non sarebbe strano vederlo poi lanciarsi in una grande squadra già la prossima estate.
PUNTA: JØRGEN STRAND LARSEN - WOLVERHAMPTON
Il Wolverhampton ha venduto Matheus Cunha dopo una stagione da quasi 20 gol in campionato e sembra una seria candidata alla retrocessione ma già lo scorso anno aveva trovato in Strand Larsen un attaccante molto solido per la categoria.
Nella scorsa stagione il norvegese ha segnato 14 gol in Premier League, di cui metà nelle ultime 9 partite stagionali. Rispetto a Cunha è un attaccante più tradizionale: un 9 strutturato, alto 1.90 e con le spalle molto larghe ma che, a dispetto della sua fisicità, preferisce smarcarsi in modi più sottili e raffinati, senza cercare il duello fisico con i centrali ma con tagli diretti, in cui sembra quasi nascondersi sotto i fili d’erba. Anche nella tecnica di calcio Strand Larsen ha mostrato qualche limite ma al tempo stesso ha trovato qualche bel gol da fuori area.
In generale il norvegese non è uno di quegli attaccanti che ruba l’occhio e può anche migliorare nelle sue qualità associative e nella gestione del pallone ma rimane un finalizzatore molto solido e in questa stagione, anche proprio in virtù della cessione di Cunha, gli spetteranno molte più responsabilità per salvare nuovamente i “Wolves”.