
È un inizio di lunedì come gli altri: controlli sonnacchioso i risultati del fantacalcio, ripeschi gli highlights delle partite di Serie A che non hai visto nel fine settimana e, facendo un bilancio di quello che vedi, ti senti un po’ così.
Anzi, questa volta ti sembra già una conquista che, dopo il filotto di 0-0 del sabato pomeriggio, la domenica non ce ne sia stato nemmeno uno. Ma è un campionato stanco e, in fondo, ne sei stanco pure tu. In questo desolante contesto, un video postato da La Ragione di Stato arriva a squarciarti la mattinata: un gol in rovesciata incredibile in un campo tutto bianco. Vuoi saperne di più, corri su YouTube.
«Signore e signori - annuncia raggiante il telecronista - benvenuti allo Snow Globe, noto un tempo come TD Place Stadium, per quella che sicuramente sarà una finale di Premier League canadese che non dimenticheremo mai».
Nella capitale è già buio, e i campioni in carica del Cavalry FC - squadra dei sobborghi di Calgary - arrivano sul campo di casa dell’Atlético Ottawa, filiale canadese dei colchoneros madrileni. Il loro stadio non ha cambiato nome né sponsor: è la voce di One Soccer che lo racconta come uno snow globe, una di quelle sfere di vetro natalizie che ruotandole ricoprono di bianco i paesaggi in miniatura al loro interno.La neve inizia a brizzolare i capelli dei giocatori già dai saluti iniziali, sul campo non si vede un filo d’erba, ma a Ottawa si gioca.
I cumuli di neve appena oltre la linea di fondo, il pallone arancione fosforescente. Il campo è bianco, non verde, e questo basta a cambiare radicalmente l’estetica.
Vedendo Vermiglio al cinema, l’anno scorso, avevo avuto delle sensazioni simili: nella sala di Testaccio in cui ero capitato, provinciale meravigliato dalla crème de la crème di attori romani presenti alla proiezione, il candore dell’inverno sulle montagne trentine riempiva gli occhi, trasportava in un luogo totalmente altro rispetto alle abitudini del nostro cinema. La sola cornice, insomma, era talmente interessante da riconfigurare il senso della storia raccontata. Certamente il prato sepolto di Ottawa non ha la bellezza dei paesaggi alpini del film, ma allo stesso modo, dentro i suoi incerti confini, sembra rimandare a un calcio più semplice, più primordiale. Mi chiedo anche perché penso questo. Cosa c’è di più autentico in una partita sulla neve? Il calcio non è fatto per giocare sulla neve, non si gioca mai sulla neve.
Allora deve essere altro. Forse vedere quella partita tocca una parte sepolta del nostro cervello in cui risiede la nostra conoscenza ancestrale. Quando eravamo cacciatori-raccoglitori completamente in balia degli elementi naturali, dei cambiamenti climatici. Forse la durezza climatica della neve ci ricorda l’illusione del controllo sulla natura.
È la finale di un campionato nazionale e le partite di questo livello siamo ormai abituati a vederle in stadi con l’erba curata al millimetro: gli allenatori ne discutono il taglio con i giardinieri per far risaltare o nascondere le componenti tecniche delle proprie squadre. Qui invece ogni quindici minuti il match si interrompe per ripulire le linee, con alcuni giocatori che prendono la pala in mano per dare manforte agli addetti ai lavori.
Se Conte, nell’intervallo di una Galatasaray-Juventus del 2013 in cui la neve era diventata fanghiglia, protestò con l’arbitro tuonando «This is not football», qui verrebbe da dire il contrario. «This is football» (o, meglio, soccer, siamo pur sempre in Nord America), perché anche in cima al professionismo vale la legge universale che se c’è un pallone, a calcio si può giocare ovunque.
Al secondo minuto un lancio in avanti dell’Ottawa chiama fuori dai pali il portiere ospite. È Marco Carducci, inconfondibili origini geografiche, ma nato e cresciuto nella Calgary in cui è tornato a giocare e a essere bandiera da quando, nel 2019, prese vita la Canadian Premier League e nacque la franchigia del Cavalry FC.
La palla rimbalza verso di lui, ma più lentamente di quanto si aspetti, motivo per cui strozza il rinvio indirizzandolo verso i piedi del numero 7 avversario. David Rodriguez, messicano di San Luis Potosí ma di formazione statunitense, è al suo primo anno in Canada, nell’ennesimo prestito della sua pur giovane carriera. Controlla col destro, se la porta sul sinistro e, da quaranta metri, prova a tracciare la parabola giusta per inquadrare la porta sguarnita.
La conclusione esce di poco, ma non sarà l’ultimo tentativo. In pochi secondi abbiamo già la sfida che caratterizzerà il match e un’indicazione, scontata, sul suo andamento: del campo ci si può fidare fino a un certo punto. Al 22’ è il Cavalry ad avere la prima occasione, ma Warschewski - analizza il telecronista - «colpisce più che altro neve» e conclude debolmente.
Quella della fiducia sembra una regola di buon senso che vale per tutti, tranne che per Goteh Ntignee. Le telecamere lo inquadrano quando ha già la palla incollata al piede destro. Mentre la porta avanti a piccoli tocchi sul fronte sinistro del campo, la difesa avversaria esita un attimo di troppo per capire con chi andare a chiudere: l’ala del Cavalry vede spazio davanti a sé, ci si infila in serpentina, dribbla secco il braccetto Mbomio entrando in area e, con il quarto di centrocampo che rinviene su di lui, se la tocca un’ultima volta con l’esterno per togliergli la possibilità di intervenire sul pallone. Fallo, calcio di rigore, luce per i miei occhi. Nella bufera di Ottawa dovevo venire a cercarlo, il coraggio di un dribblatore!
Sul dischetto va Aird, che spiazza il portiere Nathan Ingham e porta gli ospiti in vantaggio. In panchina, mister Tommy Wheeldon Jr, coppola a coprire il lungo capello grigio, sciarpa chilometrica e coccarda rossa sul cappotto nero, non scompone la sua posa e si limita a scaldare il braccio scuotendo il pugnetto.
Sugli spalti la situazione è opposta e, talvolta senza maglietta, si esulta tirando palle di neve nel cielo. Subito dopo l’annunciatore dello stadio chiede «gentilmente» di non lanciare palle di neve verso il campo. Esiste qualcosa di più canadese al mondo?
LA LEGGENDA DEL MESSICANO NELLA NEVE
È il quarantesimo quando la difesa ospite allontana un corner dell’Ottawa calciato da Dos Santos. Il primo tentativo di controcross viene sporcato, la palla si alza e arriva nella zona del numero 11 Antinoro, che si coordina per battere al volo. Non è dato sapere quali siano le sue reali intenzioni, ma quello che esce dal suo destro è un campanile svirgolato che, in qualche modo, si dirige verso l’area; il centrale biancorosso Abatneh liscia il colpo di testa, la palla rimbalza alta superando anche il difensore del Cavalry.
Dietro di lui c’è David Rodriguez, che non ha nemmeno il tempo di pensare che un’occasione così non gli ricapiterà mai: va di puro istinto, come si addice a un classe 2002 con la faccia da eterno bambino. È tempo di volare, di colpire in rovesciata più forte che può. Parte bassa della traversa, rete.
Il piccolo Peter Pan messicano si ritrova schiena a terra, nella neve, a contemplare un capolavoro più grande di lui. Un gol che i canadesi coccoleranno nei loro ricordi per sempre, come gli appassionati di ciclismo italiani fanno con l’immagine di Vincenzo Nibali a braccia alzate in maglia rosa, nella bianca bufera sulle Tre Cime di Lavaredo. Si rialza e corre in scivolata, circondato dai compagni, mentre parallelamente va in scivolata nell’area tecnica anche il suo allenatore Diego Mejia: le telecamere lo pescheranno, paonazzo, pochi secondi dopo, ma non c’è contegno che tenga.
Poi inquadrano in alto, con la neve che viene giù che è uno spettacolo. Non è finita, siamo sull’1-1 e ci sono almeno altri cinquanta minuti da giocare.
Il secondo tempo si apre esattamente come si era aperto il primo: al secondo minuto un difensore del Cavalry, anticipando un avversario, allontana sgangheratamente con Carducci - uscito dai pali - subito dietro di lui. Sfera che finisce a Rodriguez, altro tentativo di pallonetto mancino, altra conclusione al lato.
I minuti passano, la coltre nevosa cresce. Al 72’, sulla fascia destra, non affondano più solo gli scarpini: i calciatori che si avventurano lì assomigliano sempre più, con la neve a mezza gamba, ai noncuranti cosacchi dello Zar che immaginavamo da bambini ascoltando Popoff. Ci sono un paio di parate di Carducci, ma è il Cavalry ad avere l’occasione più grossa. Su una punizione di Warschewski inizia a regnare il caos. Il difensore Klomp si allunga in scivolata all’interno dell’area piccola, ma Ingham ci arriva e respinge con la mano salda. Sulla ribattuta il Cavalry crossa di nuovo, Kobza gira verso la porta a colpo sicuro; ma lo fa debolmente e addosso a Sissoko, che salva l’Ottawa sulla linea di porta. Warschewski calcia alto, i biancorossi respirano dopo 15 secondi in apnea. Si va ai supplementari.
La partita, stavolta, si interrompe più a lungo, per permettere di spalare tutto il terreno di gioco, ormai impraticabile. Al rientro in campo, nel primo tempo solo una punizione del solito Warschewski crea qualche pericolo all’Ottawa.
Nel secondo tempo, invece, subito scintille. Passano pochi secondi e David Rodriguez è lanciato in campo aperto sulla fascia sinistra, con il difensore che ha appena bucato l’intervento. Controlla, si prende la linea di fondo e converge verso l’area. Il suo suggerimento rasoterra sarebbe perfetto per il centravanti, ma Carducci si allunga e con la punta delle dita toglie il tempo al numero 9 Salter. Batti e ribatti, poi Dos Santos svirgola ed è rinvio dal fondo.
Il portiere calcia lungo verso Warschewski, che però è circondato da tre biancorossi e perde palla. Manny Aparicio mostra perché ha il numero 10 sulle spalle e, col mancino, lancia ancora una volta Rodriguez in campo aperto. Carducci esita un attimo di troppo a uscire e il messicano arriva per primo sulla sfera arancione. Non possono esserci dubbi su cosa succederà: scavetto col piede sinistro e portiere scavalcato. Al terzo tentativo, finalmente, il pallone cade dentro la porta.
Il numero sette guarda il suo tocco morbido mentre corre a braccia aperte e, non appena è sicuro che è dentro, si lascia cadere pure lui, per un attimo, nel cumulo di neve oltre la linea di fondo.
Dopo la partita racconterà: «Ho visto che nevicava, ho pensato che sarebbe stata una grande giornata». La cosa più naturale, per un messicano di San Luis Potosí che non ha mai fronteggiato un clima così in vita sua. Entrare nello spogliatoio, parlare coi compagni e convincerli che «sarà pazzesco».
«Vivrò un’esperienza completa - ha pensato, con l’adrenalina e l’incoscienza delle prime volte - a full Canadian experience». Non aveva ancora calcolato, però, che sarebbe stato il miglior giocatore. Che avrebbe sfoggiato il suo sorriso da tredicenne in pantaloncini, seduto sulla neve, con la medaglia al collo e la coppa al fianco, degli occhialoni da snowboard in testa, stringendo nelle mani il premio di Mvp.
Un narvalo intento a dare un colpo di coda al pallone, adesso sì, a full Canadian experience. Niente di meglio di questa foto, e di questa partita, per fare pace con uno sport che si ama.