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Redazione

Guida alla Premier League 2019/20

14 domande per presentare la nuova stagione in Inghilterra.

1. Il mercato estivo ha modificato i rapporti di forza tra le “big six”, o City e Liverpool partono sempre un passo davanti alle altre?

 

Alfredo Giacobbe

Non solo credo che la distanza tra City e Liverpool e le altre non sia stata colmata, ma credo anche che la squadra di Guardiola abbia fatto uno scatto in avanti rispetto a quella di Klopp. L’allenatore tedesco non ha avuto il precampionato che si aspettava: alla fine della pre-season il Liverpool lascia sul campo 6 infortunati e 3 sconfitte da avversari di livello. In 6 partite amichevoli su 7 la difesa dei Reds ha incassato almeno un gol, anche dal modesto Norwich. Dal mercato non è arrivata alcuna risorsa aggiuntiva, eccezion fatta per il portiere Adrian, che ha sostituito nella rosa Mignolet – e che ha già avuto il suo momento di gloria nella finale di Supercoppa Europea.

 

Intanto il Liverpool ha ricominciato da dove aveva finito.

 

Il City invece, con una squadra che era già forte, giovane e in crescita, ha aggiunto solo i tasselli necessari: il mediano Rodri, che contenderà la titolarità al finora imprescindibile Fernandinho; il terzino sinistro Angeliño, più di un backup se consideriamo i frequenti problemi fisici di Mendy; l’ex juventino Cancelo, i cui margini di crescita sotto Guardiola saranno uno dei temi della stagione.

 

Alle loro spalle, solo il Tottenham sembra aver accorciato le distanze dalle prime due, con tre innesti di qualità su un impianto più che collaudato. Sono arrivati Tanguy Ndombele, che è stato forse il miglior giocatore della passata Ligue 1; Giovani Lo Celso, la rivelazione della Liga 2018/19; Ryan Sessegnon, il più promettente Under-19 inglese.

 

Il Manchester United ha avuto l’ormai consueto approccio erratico al mercato: ha reso Harry Maguire il difensore più pagato della storia, chiudendo dopo l’interessamento del City (confermato da Guardiola); dei due obiettivi dichiarati a giugno, il terzino Wan-Bissaka e il mediano Rice, ha portato a casa solo il primo; Woodward, il manager plenipotenziario dei Red Devils, è passato, nel giro di 48 ore, dal trattare profili completamente diversi tra loro, come Paulo Dybala e Christian Eriksen, salvo poi rinunciare a entrambi.

 

L’Arsenal ha fatto all-in per aggiudicarsi Nicolas Pépé, completando uno degli attacchi più eccitanti della lega, e a centrocampo ha preso il ball-player che mancava, ovvero Dani Ceballos, reduce ancora una volta dalle faville all’Europeo Under-21. Convincono meno gli innesti difensivi, per ora, ma almeno per una volta qualcosa nel reparto in casa Arsenal si è mosso.

 

Invece la più grande incognita alla vigilia era il Chelsea, più dell’impossibilità di fare mercato e del passaggio alla linea verde, per me è proprio Frank Lampard: il suo Derby County, secondo tanti indicatori statistici, avrebbe dovuto fermarsi ben prima della finale del playoff, a un passo dalla promozione in Premier League. E se la stagione comincia con 4 gol subiti dallo United, be’ non proprio ben augurante…

 

Marco D’Ottavi

A guardare i punti messi a tabellone nell’ultima Premier sembra quasi impossibile trattare City e Liverpool insieme alle altre “magnifiche” quattro, distaccate di oltre 25 punti.

 

Il Tottenham, dopo la finale di Champions, proverà il massimo sforzo per avvicinarsi alla testa della Premier. Non è solo il mercato, che comunque è stato di livello, ma anche il naturale sviluppo del progetto di Pochettino, che può raggiungere il suo picco in questa stagione (questo soprattutto se riusciranno a risolvere la grana con Eriksen).

 

United e Arsenal sono due squadre su cui fare previsioni è sempre azzardato: un giorno sono la miglior squadra del mondo, l’altro c’è da mettersi le mani dei capelli. Se almeno una delle due trova una stabilità le gerarchi in alto saranno meno scontate.

 

Emanuele Atturo

È stato un mercato più di basso profilo del solito e le gerarchie non mi sembrano cambiate granché nella distanza fra le prime due e le altre. Gli innesti del Tottenham sono interessanti e bisognerà capire se riusciranno da soli a mettere energie nuove in un ciclo che ogni anno sembra esaurito. Nel caso il Tottenham sarebbe l’unica squadra che potrebbe provare a entrare nel duopolio. Il Chelsea ha perso il suo miglior giocatore e oggi sembra indietro rispetto a United e Arsenal. La Premier League degli ultimi anni è stata caratterizzata da un equilibrio nelle prime posizioni inesistente negli altri campionati. Un aspetto che forse sta scomparendo.

2. Dopo aver vinto tutte e tre le coppe nazionali lo scorso anno, e due Premier League consecutive, pensate che Guardiola privilegerà la Champions League?

Daniele V. Morrone

A questa domanda ha risposto proprio Guardiola nel precampionato: «Ovviamente dobbiamo vincere in Europa perché è un torneo importante e difficile da vincere, ma non vado al casinò a scommettere tutto quello che ho in tasca solo per sette partite. Voglio essere felice per 11 mesi e vincere la Premier League mi rende felice. Perché dovrei aspettare fino a febbraio per sette partite e puntare tutto sul nero? Dal mio punto di vista è troppo rischioso. Mantenere la forma e la concentrazione della squadra sempre nella Premier League. La Premier League è sempre la cosa più importante, la competizione su cui focalizzarsi, perché si gioca ogni settimana. Penso che saremo più vicini a vincere in Europa quando avremo più titoli della Premier League, questo è il giusto processo di crescita per il City».

 

Sembra quindi che lo stesso Guardiola abbia fatto pace con l’idea che per vincere la Champions League servono talmente tante variabili fuori dal suo controllo, la fortuna su tutte, come visto ai quarti col Tottenham la scorsa stagione, e che l’unico modo per affrontare lo spettro del fallimento europeo (che lo perseguita da quando ha lasciato la Catalogna) sia non pensarci.

 

Guardiola ci pensa eccome, e il City ambisce a conquistare il mondo (non solo metaforicamente). Però, per come lavora l’allenatore catalano, la squadra è costruita per mantenere la supremazia anche in Premier League, non per rilassarsi in autunno per provare l’exploit in primavera.

3. Il record di punti e la Champions vinta possono togliere un po’ di fame al Liverpool di Klopp? Come può migliorare ancora?

Emanuele Atturo

Siamo naturalmente portati a pensare che mentre il Manchester City si concentrerà sulla Champions League, mentre il Liverpool di Klopp si dedicherà a provare a vincere un titolo in Premier League che non ha mai vinto – e se invece consideriamo la vittoria del campionato inglese l’ultima risale al 1990, di cui quest’anno ricorrerà il trentennale.

 

L’anno scorso, il Liverpool è arrivato secondo con una quota punti che sarebbe bastata a vincere il campionato in 116 delle 119 edizioni. È quindi comprensibile il discorso di Klopp quando dice che questa squadra è difficilmente migliorabile senza grossi investimenti; ma, dall’altra parte, in queste parole è nascosta una traccia di sconforto.

 

Perché se il Manchester City ha comunque messo in rosa Rodri – cioè uno dei pochi mediani in grado di migliorare, almeno in prospettiva, Fernandinho – e Joao Cancelo – un terzino dalle potenzialità ancora inesplorate nel gioco di Guardiola – il Liverpool non si è mosso sul mercato. Persino lo scorso anno, in cui la squadra è migliorata moltissimo in fase di non possesso e nell’aprire difese chiuse, il Liverpool è sembrato una squadra strutturalmente dipendente dal suo tridente offensivo. Basta un’unica defezione, o un calo di forma di uno tra Firmino, Salah e Mané per rendere la squadra di Klopp meno in grado di condizionare gli avversari.

 

Il Liverpool, insomma, aveva bisogno di allungare la rosa e innestare energie nuove, se proprio non c’erano le risorse per acquistare un altro difensore di livello da affiancare a van Dijk. Se il Liverpool era difficile migliorare andando sul mercato, figuriamoci senza andarci.

 

Ora ci sono tre modi per migliorare ulteriormente la squadra:

 

– Il rientro degli infortunati: Brewster, Joe Gomez e Oxlade-Chamberlain. Il giovane attaccante sembra più un’alternativa tattica simile a Sturridge lo scorso anno. Un finalizzatore in più quando ci sarà da attaccare l’area di rigore con più uomini. Più interessante invece il rientro di Oxlade-Chamberlain, che aggiungerà creatività a un centrocampo che a volte sembra mancare di qualità individuale.

 

– Il miglioramento di Naby Keita, che lo scorso anno ha avuto un rendimento incostante e ha confermato solo in parte i motivi per cui il Liverpool aveva speso più di 50 milioni di sterline per acquistarlo.

 

– Infine: per migliorare il Liverpool ci sarà bisogno del lavoro sul campo di Klopp, che anche lo scorso anno era riuscito a modificare leggermente l’interpretazione alle partite del suo Liverpool, rivelandone potenzialità ancora inespresse.

 

Al momento però il Liverpool sembra partire più indietro rispetto al City di Guardiola, e potenzialmente potrebbe doversi guardare dal Tottenham, come ammesso anche da Klopp.

 

Foto di Michael Regan / Getty Images.

 

4. Invece il Tottenham come sta cambiando?

Francesco Lisanti

Come sempre, non era necessario che cambiasse troppo. Pochettino ha confessato che è stato difficilissimo recuperare le forze dopo la delusione per la finale di Champions League persa, ma la storia recente del calcio europeo insegna che non è così. Bayern e Liverpool sono inciampate a un passo dal traguardo e hanno trionfato nella stagione successiva, Juventus e Atlético sono riuscite ad arrivare in finale due volte nell’arco di tre stagioni.

 

Allo stesso modo, l’approdo in finale di Champions del Tottenham ci ha restituito la misura della forza di questo gruppo di giocatori, rimasto pressoché invariato nelle ultime due stagioni. Dietro le grandi vittorie e le dolorose sconfitte di una squadra tipicamente imprevedibile, iniziavano però a intravedersi alcuni segnali di declino che la dirigenza ha provato a tamponare con il mercato estivo, caratterizzato da poche ma significative acquisizioni.

 

Il reparto più rinforzato è il centrocampo, impoverito dalla cessione di Moussa Dembélé dello scorso gennaio. Privato del belga, il Tottenham aveva perso la sua tradizionale brillantezza nel gioco di transizione, declinando verso una fase di possesso più lenta e più orizzontale, e verso un baricentro più basso nella fase di recupero palla.

 

Ora che possiamo immaginare Lo Celso e Ndombele nelle posizioni occupate da Winks e Sissoko nella finale di Madrid, è naturale pensare a un Tottenham più aggressivo, con più ritmo e più qualità nella gestione del pallone. L’altro volto nuovo portato in dote dal mercato è Ryan Sessegnon, esterno mancino classe 2000, unica nota lieta dell’ultima stagione del Fulham. Con Kyle Walker-Peters, su cui Pochettino punta moltissimo, tanto da liberare Trippier verso l’Atlético, rappresenterà la più esaltante coppia di giovani terzini in Europa.

 

Specialmente quando il Tottenham si dispone con il rombo, come ha iniziato a fare stabilmente a partire dalla scorsa stagione, i terzini sono indispensabili per dare ampiezza agli attacchi e portare la squadra nell’ultimo terzo di campo, dovendo allo stesso tempo preoccuparsi dello spazio alle loro spalle. In questo Rose e Aurier non hanno mai convinto pienamente, ma adesso Pochettino ha la profondità necessaria per sperimentare alla ricerca degli equilibri ideali. In tutti i reparti.

 

Walker-Peters è già calato perfettamente nel sistema di Pochettino, vedremo come procederà l’ambientamento di Sessegnon.

5. Qual è l’acquisto che più vi ha colpito?

Daniele V. Morrone

È vero che viene da una stagione complicata con il Villarreal, in cui è crollato tutto il suo output statistico (ad esempio è passato da 13 a 6 assist rispetto alla stagione precedente), ma con i prezzi che girano in Premier League, i 28 milioni spesi per il ventitreenne Pablo Fornals sono sulla carta un vero affare. Soprattutto per una squadra che cerca disperatamente di uscire dalla mediocrità come il West Ham.

 

Fornals è un rifinitore con una tecnica e delle letture di altissimo livello, le due caratteristiche che mancano alla squadra di Pellegrini una volta appurato il fallimento degli esperimenti Nasri e Wilshere, che hanno evidenziato le grandi difficoltà nel giocare il pallone in zona di rifinitura, e portato la squadra a dipendere da Lanzini. Fornals ha un talento di livello superiore, spendibile anche in squadre come l’Arsenal o il Tottenham, invece sarà chiamato a portare il salto di qualità tra le linee del West Ham, e questo è effettivamente sorprendente.

 

 

Alfredo Giacobbe

L’acquisto di Joelinton da parte del Newcastle è rilevante di per sé. Il brasiliano è stato uno dei giocatori più interessanti dell’ultima Bundesliga e i pochi punti di contatto con Roberto Firmino, anche lui attaccante verdeoro dell’Hoffenheim prima dello sbarco in Inghilterra, rendono il tutto più eccitante.

 

Quello che mi ha sorpreso, però, è il contesto in cui è maturato il suo acquisto. L’estate del Newcastle è stata monopolizzata dalla separazione con Rafa Benitez, ormai in rotta con la dirigenza, da lui accusata a più riprese di non investire abbastanza sul mercato. A lungo senza un manager, i programmi del Newcastle hanno subito un inevitabile rallentamento. Poi, dopo l’ingaggio di Steve Bruce, ormai un parìa almeno a livello di Premier League, il mercato del Newcastle ha avuto un’impennata, con un investimento totale da 70 milioni di euro.

 

La preoccupazione principale, ora, è quanto e con che velocità Joelinton possa ambientarsi ora che è fuori dal contesto iper-organizzato messo in piedi da Nagelsmann all’Hoffenheim. Joelinton si è mosso meglio quando ha giocato in un attacco a due, al fianco di un giocatore con caratteristiche da prima punta. Per Bruce sarà una bella sfida integrare le qualità del brasiliano con quelle di Carroll, di Muto o di Saint-Maximin.

 

Daniele Manusia

Negli anni sono rimasto sensibile al fascino degli acquisti dell’ultimo momento. Anche se so bene come quell’entusiasmo momentaneo possa trasformarsi in una delusione destinata invece a durare, sono ancora pronto a seguire il count-down finale con una certa aspettativa. Questo per dire che sarebbe bastato Ryan Sessegnon, acquistato nell’ultimo giorno di mercato dal Fulham retrocesso. Dopo non aver speso niente l’anno prima, ed essere arrivato a giocare la finale di Champions League con il Liverpool, mi sembra comprensibile che il Tottenham quest’anno (con lo stadio nuovo, per giunta) voglia fare di tutto per provare a vincere qualcosa, e già l’acquisto di Ndombele dal Lione aveva fatto capire che “fare di tutto” non significava che avrebbero fatto le cose a caso.

 

Eppure l’entusiasmo dell’ultimo giorno non è stato catalizzato da Sessegnon, un’ala/terzino dribblomane che esattamente un anno fa arrivava in Premier con 8 gol e 16 assist, ma dall’arrivo più o meno improvviso di Giovani Lo Celso, che in questo modo in 3 anni avrà giocato in 3 campionati diversi (francese, spagnolo e, appunto, inglese).

 

Pare che il Tottenham per sostituire Eriksen (che per ora è rimasto, seppur con il contratto in scadenza) volesse Coutinho, oppure Dybala, ma che alla fine abbia dovuto puntare sull’argentino del Betis: che viene dalla stagione della vita, con 16 gol tra campionato e coppe nella passata stagione, giocando un po’ in tutti i ruoli, compreso quello di falso nove.

 

Sarà interessante vedere come lo userà Pochettino, se proverà a tenerlo più vicino alla costruzione del gioco (come ha fatto Unai Emery a Parigi) o se proverà a sfruttarne le qualità offensive da trequartista (come Setién a Siviglia) ma cambia poco perché in realtà sarà la fluidità di Lo Celso e la sua tecnica negli spazi stretti e incasinati della Premier a fare (o meno) la differenza.

 

Come Ndombele, anche Lo Celso è un tipo di giocatore con qualità fisiche e creative peculiari, una risposta creativa all’intensità e all’entropia della Premier League. Se il campionato inglese rende impossibile un vero e proprio controllo tecnico dei tempi e degli spazi, forse i giocatori più utili tatticamente sono quelli in grado di essere creativi anche improvvisando. Sarà interessante vederlo in mano a Pochettino, che colleziona giocatori unici per il gusto di riuscire a farli giocare bene, anche se non sarà semplice fare meglio di Quique Setién (né per Lo Celso sarà semplice superare la scorsa stagione). Ma se le cose vanno bene potrebbe essere la definitiva consacrazione di uno dei talenti argentini più interessanti delle ultime generazioni.

 

Emanuele Atturo

Dobbiamo parlare del centrocampo del Leicester, una squadra che siamo abituati a immaginare come totalmente reattiva e appoggiata sulle corse in transizione di Vardy e che il prossimo giocherà con uno dei reparti di centrocampo più tecnici del campionato: Ndidi, Maddison e Tielemans, a cui negli ultimi giorni hanno aggiunto anche Praet (dalla Sampdoria).

 

Tielemans è stato l’acquisto più costoso della storia del club, ma dopo il prestito dello scorso anno ha perfettamente senso: nel girone di ritorno della passata stagione ha dimostrato di associarsi alla perfezione col dinamismo di Ndidi, la qualità in rifinitura di Maddison e la verticalità di Vardy. Tielemans rimane uno dei centrocampisti più belli da veder giocare, con una tecnica minimale ma efficace, calibrata sulle cose utili e semplici. Può giocare a due tocchi, resistere al pressing con i cambi di direzione o sfruttare il suo gioco di passaggi per andare in verticale. Lo diciamo da anni ma questo potrebbe davvero essere il momento di Tielemans.

 

Francesco Lisanti

Tanguy Ndombele, l’acquisto più costoso della storia del Tottenham, si è presentato al campionato inglese con un piatto destro di straordinaria potenza e precisione che ha permesso agli Spurs di ribaltare il risultato nella gara d’esordio. Se già le sue caratteristiche sembravano perfette per sposare ed esaltare il gioco di Pochettino, il biglietto da visita ha contribuito ad alimentare l’entusiasmo intorno al suo trasferimento.

 

Flavio Fusi ha utilizzato il termine “unicorno” all’interno di un paragone tra Dembelé e Ndombele, che ne rappresenta idealmente il sostituto. Il francese è uno dei pochi centrocampisti veramente totali, dominanti nei contrasti e creativi nei passaggi, intelligenti nel posizionamento e pericolosi nelle conclusioni. Nella scorsa stagione è stato contemporaneamente il giocatore con più contrasti vinti e più dribbling completati del Lione.

 

Il francese non avrà la stessa pulizia tecnica del predecessore belga, e già nella gara d’esordio ha commesso diversi errori in fase di rifinitura, ma non ha paura di prendersi responsabilità e gioca il pallone sempre in verticale, spesso in diagonale, senza mai far mancare il suo contributo nell’aggressione in avanti. Esattamente quello che è mancato nella sterile performance nella finale di Champions, persa con il 64,6% di possesso palla.

 

Marco D’Ottavi

L’acquisto di Nicolas Pépé da parte dell’Arsenal è interessante su più livelli: simbolico, tattico e di intrattenimento.

 

Simbolico per i tifosi dell’Arsenal: Pépé era uno dei prospetti offensivi più interessanti del mercato e la squadra di Londra ne ha fatto il quinto giocatore costato di più nella storia della Premier pagandolo 80 milioni di euro, una scelta che va in controtendenza con le ultime sessioni di mercato, riaccendendo un po’ di aspettative sul futuro della squadra che tutti un po’ tifano.

 

Tattico perché non è immediato capire dove Emery riuscirà a infilarlo all’interno di un attacco dove Lacazette e Aubameyang sembrano perfetti l’uno per l’altro dentro e fuori dal campo e dove Pépé potrebbe agire da agente sabotatore. Al Lille Pepé aveva la libertà di muoversi tra le linee partendo da destra, cercando di essere decisivo con ogni giocata, un privilegio che all’Arsenal non troverà con la stessa continuità.

 

Di intrattenimento perché Pépé è è un calciatore che sembra giocare in sella a una moto invisibile, ed è sempre bello vedere questo tipo di atleti approdare in moto per scoprire quanto possano continuare ad andare forte in un campionato pieno di moto invisibili.

 

 

6. Con la nuova regola della rimessa corta dal fondo vedremo più squadre provare a impostare dal basso in Premier League?

Federico Aquè

Michael Cox ha scritto che gli effetti sullo sviluppo del gioco della nuova regola sulle rimesse dal fondo si potranno apprezzare pienamente tra qualche anno. Probabilmente è vero, ma gli allenatori stanno già prendendo le misure e non mancano gli esempi significativi.

 

Nella prima giornata l’Aston Villa ha segnato al Tottenham costruendo l’azione con una rimessa corta, provando a uscire a sinistra e trovando poi con uno splendido lancio di Mings l’inserimento di McGinn dietro la difesa degli “Spurs”.

 

 

Non so quanto fosse preparato quel lancio, probabilmente è stata solo una scelta improvvisa dopo che Grealish è stato costretto a scaricare la palla all’indietro per la pressione di Winks, però va sottolineata l’idea di provare a uscire in palleggio dalla propria metà campo, in trasferta contro il Tottenham, e la velocità con cui Mings e McGinn hanno reagito all’impossibilità di risalire il campo manovrando. Anche se è stata una combinazione trovata in quel momento, a creare le premesse per il lancio era stata comunque la disposizione intelligente dell’Aston Villa sulla rimessa dal fondo, studiata per allungare lo schieramento del Tottenham e abbassare la sua linea difensiva, sorpresa dall’inserimento di McGinn.

 

Quei meccanismi non hanno funzionato sempre. Nella stessa partita l’Aston Villa ha subito il 3-1 sugli sviluppi di un’altra rimessa, perdendo la palla dopo aver scelto di nuovo di lanciare lungo e innescando la ripartenza del Tottenham, finalizzata da Kane.

 

Insomma, anche se viene preparata con cura, gli esiti di una rimessa dal fondo sono imprevedibili, e se è vero che ora la soluzione più comoda per il portiere è il passaggio corto al difensore centrale che gli sta vicino, quello che succede dopo è influenzato da diversi fattori e dipende innanzitutto dai principi di gioco dell’allenatore, dalla qualità dei giocatori coinvolti nella costruzione, dalla strategia difensiva avversaria.

 

Non è detto che la risalita manovrata del campo partendo dall’area di rigore sia sempre la soluzione migliore, e anzi il particolare regolamento sulle rimesse dal fondo permette di allungare le distanze dello schieramento avversario e può favorire, di conseguenza, giocate lunghe. In questo senso, con la nuova regola è forse più semplice consolidare il primo possesso, ma poi la risalita del campo può proseguire in diversi modi.

 

Non sorprende che la squadra che ha mostrato finora più idee su come sfruttare a proprio vantaggio la nuova regola sia il Manchester City, di cui ho parlato in maniera più approfondita in questo pezzo. Forse può essere proprio la presenza di Pep Guardiola, con le sue creazioni e le sfide che pone agli allenatori avversari, a fare della Premier League il campionato di riferimento per studiare l’evoluzione delle rimesse dal fondo.

7. Il Chelsea ha sofferto il blocco del mercato? Cosa cambia con Lampard in panchina?

Federico Aqué

Il blocco del mercato ha ovviamente creato dei problemi, e a dimostrarlo sono arrivati i quattro gol presi dal Manchester United alla prima giornata, seguiti poi dalla sconfitta contro il Liverpool nella Supercoppa europea. La situazione sembra comunque meno negativa di quanto lasciano intravedere questi risultati.

 

A Istanbul il Chelsea ha giocato meglio del Liverpool, e anche contro lo United non avrebbe meritato di andare all’intervallo in svantaggio per 1-0, stava giocando meglio dello United e aveva avuto diverse buone occasioni per segnare (i pali di Abraham ed Emerson, il tiro ravvicinato di Barkley). Però la squadra di Frank Lampard sembra ancora fragile in difesa (Zouma all’Old Trafford era parecchio in difficoltà) e disorganizzato sulle ripartenze avversarie, una debolezza che ha originato i tre gol subiti dallo United nel secondo tempo.

 

Parlando della sua filosofia di gioco prima della partita contro i “Red Devils”, Lampard aveva sottolineato quanto fosse importante per lui organizzare la fase difensiva, costruire una squadra aggressiva e difficile da affrontare per le avversarie. Il Chelsea però tende ancora ad allungarsi troppo quando pressa e soprattutto fa molta fatica a riorganizzarsi quando perde la palla, un aspetto messo già in evidenza dalle amichevoli precampionato.

 

Lampard vuole una squadra che esca in palleggio dalle zone arretrate e che risalga il campo velocemente con triangoli soprattutto sulle fasce. Contro lo United aveva scelto di attaccare soprattutto lo spazio dietro Shaw e si sono anche viste buone combinazioni, ma a palla persa i “Red Devils” avevano praterie in cui ripartire.

 

I rientri di un paio di titolari possono migliorare la situazione. Contro il Liverpool si è visto quanto sia in grado di cambiare la squadra Kanté, tra i migliori in campo nella Supercoppa europea, mentre manca ancora il difensore più affidabile, Rüdiger, che sta recuperando dall’infortunio al ginocchio.

 

Nella trequarti avversaria, però, sembra mancare la qualità con cui Hazard riusciva ad attirare il possesso, conservare la palla e trovare la giocata finale. Il passaggio alla zona di rifinitura, soprattutto sotto la pressione avversaria, non è sempre pulito e diverse buone azioni all’Old Trafford si sono perse per decisioni sbagliate nell’ultima giocata.

 

Il blocco del mercato e la cessione di Hazard hanno spinto il Chelsea a riposizionarsi, magari abbassando un po’ le aspettative, puntando su un allenatore inesperto come Lampard e sullo sviluppo del talento, se possibile del proprio settore giovanile (Abraham e Mount erano entrambi titolari contro lo United). José Mourinho ha sintetizzato così il momento dei “Blues”: «Non hanno comprato giocatori, ma hanno comprato tempo». Il Chelsea resta però una delle squadre più esigenti d’Europa ed è abituata a non dare molto tempo ai suoi allenatori. Non è detto, quindi, che lo status di Lampard basti a proteggerlo se i risultati non miglioreranno presto.

8. Che dobbiamo pensare del mercato del Manchester United?

Emanuele Atturo

Con Josè Mourinho il Manchester United si è distinto per comprare giocatori giganteschi, che potessero dominare fisicamente anche il campionato più fisico di tutti. Con Solskjaer la musica non sembra troppo cambiata, se i primi due acquisti importanti del tecnico sono stati un terzino che può fare le olimpiadi in quasi tutte le discipline (Wan-Bissaka) e un difensore centrale di 194 cm (Maguire). Poi va menzionato l’arrivo di Daniel James dallo Swansea, un’ala sinistra che affolla però una posizione dove lo United ha già teoricamente Martial e Rashford.

 

Per questi tre giocatori Solskjaer ha speso 159 milioni di euro, una follia, ma ha se non altro coperto due falle nella rosa con due elementi nel “prime” della carriera e già testati in Premier League. Maguire è un difensore dai pregi e difetti molto marcati, e forse – in coppia con Lindelöf – costringerà lo United a giocare con un baricentro basso, che magari però è proprio nelle idee della squadra reattiva che immagina Solskjaer.

 

In generale va detto che il Manchester United arriva da così tante stagioni di errori sul mercato che le cose non si possono sistemare in una sola sessione estiva.

 

Tuttora le falle rimangono tante. Manca un mediano solido davanti alla difesa, visto che Matic sembra in calo, e Solskjaer avrebbe bisogno di recuperare Fred, le cui potenzialità, specie difensive, finora non sono state sfruttate. Manca forse anche un’altra mezzala di qualità, calcolando che Ander Herrera è stato ceduto. In avanti manca un’ala destra e per questo probabilmente lo United ha provato a fare lo scambio Lukaku-Dybala – considerando Rashford e Martial nel ruolo di centravanti.

 

Va detto che riuscire a trattenere Pogba e De Gea rimangono forse le migliori mosse sul mercato di Solskjaer, che ha lavorato con una diplomazia che ad esempio non hanno avuto Conte e Zidane nella gestione dei giocatori che volevano andar via.

 

Lo United non ha colmato il gap con City e Liverpool neanche in questo mercato e dovrà di nuovo lottare per una qualificazione in Champions per niente scontata – sebbene il fatturato del club dovrebbe far sperare il contrario. In fondo, più che dal mercato, tutto dipenderà dallo spessore di Solskjaer come manager, su cui la scorsa stagione ha dato risposte contrastanti.

9. Come procede il lavoro di Emery all’Arsenal? Sarà l’anno giusto per tornare a competere ai vertici?

Daniele V Morrone

Se con “vertici” si intende il titolo della Premier League allora no, lo ha detto lo stesso Emery nel precampionato. Se però si intende rientrare nelle prime 4 e tornare in Champions League allora il discorso cambia, perché non solo è possibile, ma è proprio il metro con cui verrà giudicato l’operato di Emery dopo la prima stagione di insediamento.

 

Per dare a Emery una squadra più attrezzata all’obiettivo, l’Arsenal ha provato a coprire le lacune emerse la scorsa stagione, in cui lo scarso livello della linea difensiva aveva costretto l’allenatore spagnolo a cambiare in corsa il sistema di gioco, passando alla difesa a 3 e a un calcio più reattivo.

 

L’arrivo di un centrale bravo a impostare come David Luiz, di un terzino sinistro in grado di arrivare al cross (Tierney), di un centrocampista tecnico in grado di tenere il pallone sotto pressione (Ceballos) e di un’ala destra veloce e tecnica (Pépé), permetteranno a Emery di tornare al piano originario di un Arsenal che parte dal basso per sviluppare una manovra avvolgente.

 

L’ampiezza dei terzini, Tierney e Bellerín (quando tornerà al 100% dopo il grave infortunio), insieme alla profondità degli esterni (idealmente Aubameyang a sinistra e Pépé a destra) e alla fascia centrale del campo sfruttata su più altezze dai centrocampisti e dalla punta (Lacazette): dovrebbe essere un Arsenal più vicino alle idee di Emery.

 

Ci sono ancora dubbi sulla tenuta di una linea difensiva che non è stata rivoluzionata forse abbastanza, ma non ci sono sul potenziale offensivo della squadra. Immaginando un tridente fluido nelle posizioni, l’Arsenal rischia di essere devastante soprattutto quando potrà attaccare in velocità in transizione offensiva (visto che ha anche ottimi lanciatori come David Luiz e Xhaka), con un professore degli appoggi come Lacazette (idealmente al centro) a servire due frecce intelligentissime nei movimenti e in grado di attaccare l’area dall’esterno (Aubameyang prevalentemente a sinistra e Pépé a destra).

 

Un tridente anche meglio attrezzato nell’attaccare le difese schierate rispetto alla versione a due punte della scorsa stagione, un aspetto che potrebbe rendere l’attacco dell’Arsenal sostanzialmente autosufficiente, e abbastanza camaleontico da adattarsi a qualsiasi contesto.

10. Chi vedete meglio tra le squadre della parte centrale del tabellone, per fare breccia nel muro delle "big six"?

Emanuele Atturo

Il Leicester ha ceduto Maguire senza rimpiazzarlo e dovrà sperare che Çağlar Söyüncü mantenga le promesse. Tra centrocampo e attacco ha una qualità complessiva che potrebbe permettergli di diventare una mina vagante nella classifica di Premier. I principi di Brendan Rodgers sembrano sposarsi bene con le caratteristiche dei giocatori, molti dei quali giovani e con margini di miglioramento.

 

Forse l’attacco dipende un po’ troppo dal rendimento di Vardy, e Ayoze Perez non sembra portare in dote un gran numero di gol. Bisogna però considerare che dopo la vittoria del campionato il Leicester si è consolidato a metà della classifica di Premier (un dodicesimo posto e due noni posti) e ha instaurato un circolo virtuoso, riuscendo a valorizzare diversi giocatori anche grazie a guide tecniche azzeccate. Questa potrebbe essere una stagione di ulteriore miglioramento.

 

Alfredo Giacobbe

Sul finire della scorsa stagione il West Ham sembrava aver finalmente elaborato il lutto per la perdita dello storico impianto di Upton Park. Ora che gli scatoloni sono stati tutti sistemati, per gli Hammers sarebbe potuto iniziare il momento di godersi a pieno la loro nuova casa, e invece è arrivato il peggior avvio di stagione possibile – i 5 gol subiti in casa dal Man City – contro un avversario che è sembrato realmente inaffrontabile, almeno per il West Ham di oggi.

 

Il mercato estivo è stato meno caotico rispetto agli anni precedenti: il manager Pellegrini ha puntato a rafforzare una struttura che ritiene evidentemente già soddisfacente. In attacco è arrivato il centravanti francese Sebastien Haller, e a centrocampo quel Pablo Fornals a lungo corteggiato dal Napoli. E proprio intorno a Fornals si stringe il “busillis” tattico di Pellegrini.

 

È probabile che in principio lo spagnolo sia un’alternativa a Lanzini nel 4-2-3-1, che prevederebbe il capitano Noble e Rice davanti alla difesa; o che al più uno dei due trequartisti venga dirottato sulla fascia, come è già avvenuto nel secondo tempo contro il City.

 

Ma perché non pensare, persino desiderare, che più avanti in stagione Pellegrini possa proporci una versione iper-offensiva del suo West Ham? Sistemato con il 4-1-4-1, con il solo Rice lasciato davanti alla difesa, il tecnico cileno potrebbe contare su una batteria di centrocampisti dotati di tecnica e di gamba come Antonio, Felipe Anderson, Lanzini e Fornals per l’appunto. Preparate le bolle di sapone.

 

Marco D’Ottavi

Qualche settimana fa è stato presentato il progetto per il nuovo futuristico stadio dell’Everton: un impianto da 52000 posti da costruire lungo un molo abbandonato per un costo stimato di circa 500 milioni di sterline. Una mossa che il proprietario Farhad Moshiri sta mettendo in piedi con l’aspettativa di vedere progressi nell’Everton, dopo gli investimenti nella squadra.

 

Il tentativo disperato di ingaggiare Zaha negli ultimi giorni di mercato (poi dirottato su Iwobi) lascia intendere che Marco Silva non ritiene la squadra completa al 100%, tuttavia dopo una stagione di alti e bassi, l’Everton per la prima volta sembra aver trovato una base su cui costruire, soprattutto dopo il finale in crescendo della scorsa stagione (5 vittorie e 2 pareggi nelle ultime 8). Dal City è arrivato anche Delph a portare esperienza in una squadra molto giovane.

 

Come dimostrato già alla prima giornata contro il Crystal Palace, l’Everton è una squadra che riesce a creare molto, ma conclude poco. Digne, Bernard, Sigurdsson e Richarlison sono tutti giocatori in grado di creare occasioni, ma non sono grandi finalizzatori. Per risolvere questo problema è arrivato Kean, che pur avendo fatto vedere delle qualità sotto rete molto interessanti è pur sempre un 19enne in un campionato nuovo.

 

Se l’attaccante italiano riuscirà a essere un fattore fin da subito (o magari Carter-Lewin al suo posto), l’Everton potrà seriamente puntare ad uno dei primi 6 posti.

11. Giocatori feticcio in squadre minori, da tenere d’occhio anche in vista di un possibile salto di qualità quest’anno?

Daniele V. Morrone

Con in tasca i 90 milioni di euro ricevuti per Harry Maguire si dice che il Leicester sia andato diretto dal Bournemouth per chiedere Nathan Aké. Gli è stato risposto che il prezzo era di almeno 70 milioni. Il Leicester ha deciso di non continuare la trattativa, ma rende bene l’idea della considerazione di cui gode Aké nella sua squadra.

 

Certo, ha fatto parte di una delle difese più vulnerabili della scorsa stagione, ma in questi casi bisogna sempre ragionare sulla squadra più che sui singoli e lui è un giocatore che ha ancora margini di crescita, che potrebbero portarlo tra i migliori difensori di tutta la Premier League.

 

A 24 anni Aké è ormai un difensore centrale maturo, che sotto la guida di Eddie Howe ha affinato le sue doti migliori: la capacità di impostare, l’anticipo e il colpo di testa. Caratteristiche che ne fanno il perfetto centrale contemporaneo e questa sembra veramente l’ultima stagione prima di vederlo in una squadra di alto livello.

 

Emanuele Atturo

Fino all’ultimo giorno di mercato Wilfried Zaha sembrava poter cambiare squadra per un sacco di soldi. Alla fine invece è rimasto al Crystal Palace, dove ormai da cinque anni sta mettendo a ferro e fuoco le fasce della Premier. Zaha è un profilo di calciatore unico, fra i pochi al mondo in grado di saltare l’uomo con continuità. Anche l’anno scorso è stato il giocatore di Premier con più dribbling riusciti, alle spalle del solo Hazard (sebbene con una percentuale di riuscita inferiore). In più ci ha aggiunto 10 gol e 5 assist.

 

 

Probabilmente le grandi squadre non se la sono sentita di soddisfare le ambiziose richieste del Crystal Palace, per un giocatore che brilla per alcune statistiche che proprio alla sua età – 27 anni – sono destinate a declinare. Zaha rimane però uno dei calciatori più unici e divertenti della Premier League.

 

Daniele Manusia

Di Jack Grealish ho scritto già, ma vale la pena ripetere un paio di cose se qualcuno non lo ha ancora sentito. Capitano dell’Aston Villa, cresciuto a Birmingham, lo scorso anno ha segnato il gol decisivo del derby in cui un tifoso è entrato in campo per dargli un pugno alle spalle. Gioca con i calzettoni bassi per scaramanzia, anche se la scorsa stagione gli sono costati una frattura allo stinco che lo ha tenuto fuori tre mesi. È un 10 che gioca a centrocampo, con un grande tocco di palla, una tecnica di tiro da tennista, ma che deve dimostrare tutto.

 

Intanto, con la sconfitta alla prima giornata è diventato il giocatore della storia della Premier League ad aver perso più partite consecutive: 19 (contando ovviamente la fine della stagione 2015/16, in cui il Villa è retrocesso).

 

Sempre dalla Championship, faccio anche il nome di Teemu Pukki del Norwich. Viene da una stagione in cui ha segnato 29 gol in campionato e ha esordito in Premier League segnando al Liverpool (il solo gol nella sconfitta per 4-1 del Norwich, ma tant’è). Quella passata è stata la stagione della sua vita, un evento bizzarro in una carriera un po’ noiosa? Sappiate comunque che Pukki in finlandese significa GOAT.

 

12. Allenatori di cui si parla poco?

Alfredo Giacobbe

Eddie Howe non è più una novità nel panorama degli allenatori della Premier League. Ma la sua prolungata permanenza al Bournemouth, forse, sta penalizzando il suo appeal mediatico. Il valore di questo manager, che sta per affrontare la sua quinta stagione nella lega più competitiva al mondo in sella a un club piccolissimo per risorse e tradizione, è ormai acclarato e indiscutibile.

 

Howe ha tenuto a galla il Bournemouth grazie a un player trading attento, che non ha mai sacrificato più di una pedina per ogni estate e che ha quasi sempre sostituito in rosa con giovani prospetti. Ma più di ogni cosa, Howe è rimasto coerente ai principi di gioco in cui crede, pur dovendo riadattare il modulo e i compiti assegnati in campo a giocatori diversi anno dopo anno, anche in corso d’opera. Il Bournemouth è un gioiellino nel panorama della Premier League, dove la caoticità provocata dal gioco e dalla compressione del calendario, a volte, finisce per confondere le idee anche ai manager più esperti.

 

Daniele Manusia

Uno di cui in Italia non si è parlato per niente, ma che lo scorso anno ha vinto il premio di allenatore dell’anno della League Managers Association (votato quindi da altri allenatori, in competizione con Guardiola, Klopp e Pochettino), e che ha riportato lo Sheffield United in Premier League dopo più di 10 anni di assenza, è Chris Wilder.

 

Lo Sheffield gioca con una difesa a tre (3-4-1-2) incredibilmente propositiva, con i due centrali-laterali (Basham e O’Connel) che si sovrappongono sulle fasce per andare al cross. Wilder a quanto pare cura ossessivamente i dettagli per preparare la partita ma è soprattutto abile nel creare spirito di gruppo. In tre anni ha portato lo Sheffield dalla League One alla Premier, iniziata con un pareggio a Bournemouth (1-1) ben augurante. In un campionato che ha avuto bisogno di allenatori stranieri per rinnovarsi, Wilder insieme a Sean Dyche può rappresentare la nouvelle vague di tecnici inglesi.

 

Marco D’Ottavi

Marco Silva sta iniziando la sua quarta stagione in Premier League e se i bassi sono stati più degli alti nelle varie esperienze tra Hull City, Watford ed Everton, per la prima volta allenerà la stessa squadra per il secondo anno. In generale sono 7 anni che cambia panchina ogni anno, quasi sempre per motivi personali o rapporti difficili con la società.

 

L’Everton gli ha dato fiducia dopo un momento di difficoltà e ora l’allenatore portoghese sembra pronto a fare il salto di qualità. In un contesto spesso caotico è riuscito a portare un po’ di calma, lavorando anche sul mercato per bilanciare le partenze e migliorare la squadra.

 

Sulla carta il suo calcio aggressivo e ampio si sposa bene con la Premier League e la rosa a sua disposizione ha buona qualità, Richarlison su tutti. Penso quindi che quest’anno possa essere l’anno in cui Marco Silva potrà dimostrare veramente che allenatore è.

 

Federico Aqué

L’anno scorso l’abilità di Nuno Espírito Santo nel preparare le partite si è mostrata soprattutto nelle sfide con le “big six”. Il Wolverhampton ne ha vinte 4, battendo il Chelsea, l’Arsenal, il Tottenham e il Manchester United. Il suo gioco verticale si è esaltato contro le migliori squadre della Premier, ma ha anche mostrato dei limiti contro le formazioni meno attrezzate: i “Wolves” hanno perso due volte contro l’Huddersfield, arrivato ultimo e capace di vincere appena tre partite in tutto il campionato.

 

Nuno si è adattato in fretta al calcio inglese. Nella sua prima stagione, la 2017/18, ha vinto la Championship con 99 punti, l’anno scorso ha conquistato il settimo posto in Premier e in questa stagione punta a tenere il Wolverhampton nella parte medio-alta della classifica. L’allenatore portoghese è uno dei pochi in Premier a utilizzare il 3-5-2 e propone un calcio diretto che si prende pochi rischi nella propria metà campo (i “Wolves” ricorrono spesso ai lanci lunghi) e avanza con giocate ricorrenti, soprattutto dalle fasce.

 

Nuno si è insomma imposto come uno degli allenatori tatticamente più scaltri della Premier, vedremo se anche quest’anno riuscirà a dimostrarlo contro le grandi squadre del campionato.

 

Francesco Lisanti

Daniel Farke aveva ricevuto i complimenti di Klopp già nella passata stagione («Non l’ho mai incontrato ma lo rispetto molto, sta facendo un lavoro incredibile e molti dei giocatori del Norwich hanno giocato anche per me, tra l’altro!»). Alla fine lo ha incontrato, già nella prima giornata, dove il Norwich ha tenuto testa al Liverpool sul piano degli xG e dei tiri in porta (7 a 5), anche se la partita è terminata 4-1.

 

Farke è stato assunto come allenatore della seconda squadra del Dortmund, allora in quarta divisione tedesca, poche settimane dopo l’esonero di Klopp. Anche se i due non hanno mai lavorato assieme, l’influenza della scuola tedesca nel gioco del Norwich è evidente, e non solo per il grande numero di giocatori di origine tedesca in campo: pressing aggressivo condotto spesso all’altezza del centrocampo, alternato a brevi momenti di pressing a ridosso dell’area di rigore avversaria, e combinazioni rapide con l’appoggio costante dei terzini per raggiungere la porta. Sarà interessante seguire l’utilizzo delle ali, utilizzate spesso come attaccanti interni a piede invertito, altro punto di contatto con il Liverpool di Klopp.

 

Per un campionato che è riuscito a crescere soprattutto attraverso le influenze culturali esterne, la capacità di accogliere e assecondare le idee dei manager provenienti da altri campionati, la presenza di Farke è un indicatore di buona salute. Sarà difficile per il Norwich raggiungere una salvezza tranquilla, ma l’obiettivo principale della dirigenza è quello di valorizzare i talenti caduti in disgrazia raccolti a cifre irrisorie in giro per l’Europa. In questo, Farke si è già dimostrato l’uomo giusto al posto giusto.

13. Due su tre delle neopromosse lo scorso anno sono retrocesse, Aston Villa, Norwich e Sheffield come sono messe?

Daniele Manusia

Per lo Sheffield vedere la domanda precedente: la squadra di Wilder è stata promossa miracolosamente ma meritatamente («Non dovremmo essere dove siamo», ha detto Wilder a un certo punto della scorsa stagione, «Ma nessuno lo merita più di noi») e ha speso quest’estate più che nei 14 anni passati (quasi 50 milioni) acquistando talenti in Championship, tipo Callum Robinson dal Preston North End e Luke Freeman dal Qpr.

 

Hanno anche scommesso sul francese Lys Mousset (un talento piuttosto vistoso di 23 anni che dopo una buona stagione a Le Havre, con 14 gol, ha avuto due stagioni praticamente a vuoto con il Bournemouth) e addirittura sulla possibile rinascita del fantasma di Ravel Morrison, il 14enne più forte che Sir Alex (Ferguson) avesse mai visto, che però oggi, a 26 anni, deve faticare per convincerci di essere ancora un calciatore.

 

In ogni caso, lo Sheffield punta alla salvezza con il proprio gioco e con il carattere che Wilder riuscirà a imprimere alla squadra. Il pareggio con il Bournemouth lascia ben sperare sulle possibilità di una squadra che dovrà sudarsi la salvezza partita dopo partita ma che, con un po’ di fortuna e faccia tosta, potrebbe anche diventare la più piacevole sorpresa della stagione.

 

Se invece c’è una squadra che rischia di camminare sulle orme del Fulham dello scorso anno, orme che riportano direttamente in Championship, è l’Aston Villa. Proprio come il Fulham, hanno festeggiato la promozione con un’estate spendacciona (quasi 150 milioni), ma sarebbe paradossale se questa diventasse la ragione per credere che anche al Villa le cose vadano così male da retrocedere ancora prima di Natale, praticamente.

 

Christian Purslow (chief-executive) e Dean Smith (allenatore) hanno costruito una squadra che non ci pensa neanche a retrocedere e che punta sulle qualità che l’hanno portata in Premier League con una serie di 10 vittorie consecutive lo scorso anno, per restarci il più tranquillamente possibile. L’Aston Villa è pieno di giocatori interessanti: detto di Grealish (vedi domanda 11), anche Hourihane (centrale del centrocampo a tre, con un bel piede mancino con cui calcia anche le punizioni) e McGinn (mezzala con ottime doti di inserimento, che ha portato in vantaggio l’Aston Villa contro il Tottenham, partita poi finita 3-1 per gli Spurs) meritano di essere conosciuti dal grande pubblico.

 

E sarà interessante vedere come si adatteranno alla categoria il difensore Mings, la punta Wesley (lo scorso anno c’era Tammy Abraham) e l’altro neo acquisto Trezeguet, il più pagato nella storia del club. Insomma, sarà l’ottimismo della vigilia, ma non è nelle intenzioni dell’Aston Villa fare figuracce. Detto che la Premier non è una passeggiata per nessuno: perché le cose dovrebbero andargli male?

 

Francesco Lisanti

Le deludenti parabole delle neopromosse nelle ultime stagioni (su tutte il Fulham, che ha speso circa 110 milioni di euro sul mercato e non è andato oltre il diciannovesimo posto con 26 punti) hanno costretto le piccole squadre a rivedere le proprie strategie di crescita. Da questo punto di vista, il Norwich rappresenta uno dei casi più interessanti. Stuart Webber è uno dei migliori direttori sportivi di Inghilterra, è stato l’artefice del miracolo Huddersfield e nel 2017 si è spostato sulla costa orientale per condurre i “Canarini” dal rischio di fallimento a un’insperata promozione.

 

In estate, Webber non ha acquistato nessuno, a eccezione del portiere di riserva Fahrmann, che fungerà da rincalzo al leader dello spogliatoio Tim Krul, dell’attaccante di riserva Drmic, che faticherà a farsi spazio dietro l’eroe della promozione Teemu Pukki (29 gol in 43 partite nell’ultima Championship) e dell’ala di riserva Patrick Roberts, ex-grande-promessa del calcio inglese, a 22 anni ancora in grado di rilanciare la carriera. Per il resto ha confermato in blocco a suon di rinnovi il gruppo di giocatori che ha trascinato il City in Premier, e soprattutto il suo allenatore.

 

Daniel Farke arriva dalla Germania come molti degli acquisti di Webber, tra cui l’ala di origini cubane Hernández, il capitano e leader della difesa Zimmermann, Tom Trybull (classico holding midfielder all’inglese anche se nato a Berlino), i centrocampisti offensivi Vrancic, Stiepermann e Leitner, tutti con un passato nel Dortmund come lo stesso Farke, e le riserve Klose (nato in Germania ma cittadino e nazionale svizzero), Heise e Srbeny, a completare la squadra inglese più tedesca di sempre.

 

In tema di giovani terzini esaltanti, il Norwich ha un’ottima risposta alla coppia del Tottenham: a sinistra Jamal Lewis e a destra Max Aarons, votato miglior giovane dell’ultima EFL. Come nel Liverpool di Klopp, i due sono fondamentali per il contributo alla fase offensiva, in una squadra che occupa molto bene i canali interni del campo e ruota continuamente i giocatori centrali. Il Norwich ha vinto la Championship grazie all’attacco (93 gol, secondo miglior risultato di sempre) anziché alla difesa, e potrebbe non essere una qualità immediatamente traslabile nella divisione superiore. Ma è una squadra con idee e progetti interessanti, che le permetteranno di smaltire la delusione della sconfitta all’esordio.

14. Ci stiamo dimenticando qualcosa?

Alfredo Giacobbe

Roy Hodgson ha cominciato la sua quarantatreesima stagione da allenatore della sua carriera, a 72 anni suonati. Il suo primo incarico da manager, con gli svedesi del Halmstad, risale al 1976. Ha vinto 8 campionati nazionali e ha raggiunto la finale di Coppa UEFA/Europa League in 2 occasioni.

 

Daniele V. Morrone

In questa stagione il VAR esordisce in Premier League, con tutto il carrozzone che questo si porta dietro. Le diatribe ad esempio si sono aperte già alla prima giornata, quando un gol è stato annullato al Manchester City, dopo 3 minuti di revisione, per un fuorigioco di massimo un paio di centimetri, a voler stare larghi. Almeno su questo non ci sarà distanza tra la Premier League e la Serie A.

 

Federico Aqué

Il Wolverhampton ha finito l’ultima Premier League al settimo posto, a 9 punti dal Manchester United. Ha riscattato Raúl Jiménez e Leander Dendoncker, ha mantenuto in blocco la squadra dello scorso anno e ha aggiunto Patrick Cutrone e Jesús Vallejo, arrivato in prestito dal Real Madrid. In campionato ha esordito pareggiando 0-0 a Leicester, e l’esito del playoff di Europa League contro il Torino potrebbe cambiare la stagione, ma i “Wolves” sembrano abbastanza solidi per potersi confermare nella parte medio-alta della classifica, e magari approfittare della stagione negativa di una delle “big six”.

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