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Innamorati di Lazar Marković
25 nov 2014
25 nov 2014
Abbiamo aggiunto ai nostri giocatori Preferiti il serbo del Liverpool.
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9 min
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La nostra rubrica Preferiti è realizzata grazie alla collaborazione con Wyscout: il database calcistico che ci permette di visionare giocatori di tutti i livelli, di tutte le età e di tutto il mondo.

In un campo di calcio gli elementi naturali sono quattro, come quelli della tradizione filosofica. Al posto di fuoco, terra, aria e acqua, ci sono lo spazio, il tempo, il pallone e la fortuna. Alcuni giocatori, pochi, hanno la capacità di riuscire a controllarli tutti.

Purtroppo, non c'è niente che garantisca a un giovane talentuoso di diventare un grande giocatore; molti giovani giocatori hanno le potenzialità per controllare il gioco ed affermarsi in campo, ma non riescono a svilupparle. A 20 anni non si è sicuri di niente tranne che del proprio talento. E Lazar Marković ne ha in abbondanza.

IL TEMPO

Quando Lazar iniziò a giocare a calcio si accorsero tutti molto presto della sua diversità. Giocava nel modesto Borac Čačak, la squadra della sua città, ed era bravo sul serio, ma non era l’unico in famiglia: suo fratello Filip, due anni più grande, venne acquistato dal Partizan a 14 anni, spingendo tutta la famiglia a spostarsi a Belgrado. Gli scout del club impiegarono poco tempo a capire che in famiglia quello con il talento era il fratello minore. Lazar entrò nelle giovanili del Partizan a 12 anni e appena cinque anni dopo ha esordito nel campionato serbo. A 17 anni era ritenuto già uno dei migliori talenti del calcio serbo e in poco tempo dimostrò che quegli scout non si erano sbagliati.

Ha cominciato a giocare con regolarità, segnando 7 gol alla sua prima stagione, e il suo nome iniziò a girare per l’Europa grazie ad una serie di prestazioni internazionali che lasciavano intravedere grandi qualità.

Ho avuto la fortuna di notare il suo talento in occasione di una scialba partita di Europa League tra Inter e Partizan, nell’ottobre del 2012. Giocava sulla fascia sinistra, molto in avanti, ma si capiva che non era un’ala pura: voleva sempre accentrarsi per andare sul destro e calciare. Cercava di saltare l’uomo, spesso ci riusciva, facendo impazzire Jonathan. I bianconeri di Belgrado persero 1-0, ma è difficile rimproverare Marković per non aver fatto abbastanza (anzi, ha persino rischiato di segnare andando in pressione alta su Handanovič).

Dopo una partita del genere, Stramaccioni segnalò Marković, che all’epoca aveva 18 anni: parole vane. Jonathan non sarà un mostro in fase difensiva, ma qui ne uscì davvero umiliato.

Quando corre Marković sembra non poggiare neppure i piedi per terra, come fosse sospeso in aria, ma a pochi centimetri dal campo. In Ritorno al futuro – parte seconda, Michael J. Fox si ritrova nel 2015 e va in giro sull’hoverboard, una sorta di skate volante, sospeso in aria: la stessa sensazione che si ha guardando giocare Marković, e con l’anno ci siamo quasi.

Sa anche controllare il tempo: sa fare quella pausa tipica dei grandi giocatori, appena prima di uno scatto, o appena prima di un passaggio, che dà il tempo al difensore di pensare a come sarà fregato, prima di fulminarlo in velocità.

A tre giorni dai suoi 18 anni Lazar esordisce nella Nazionale serba, contro l’Armenia; segna il suo primo gol in Nazionale qualche mese più tardi, a novembre 2012, contro il Cile. Grazie a partite del genere il suo nome circola tra le grandi squadre europee: dopo due sole stagioni da titolare in Serbia, arriva il momento del Benfica (e questa volta è il fratello maggiore che segue lui: il Benfica tessera Filip per la squadra B). A 19 anni Lazar ha già vinto 3 volte il campionato serbo (ma il primo con una sola presenza in campo), ha già giocato e segnato in Nazionale, ed ha già impressionato in partite internazionali.

Con O Glorioso vince campionato, coppa di Lega e coppa Nazionale: per poco non riesce a vincere anche l’Europa League, e viene nominato nella squadra ideale della competizione. Il trasferimento al Liverpool, per circa 25 milioni di euro, all’età di 20 anni, sembra già naturale perché uno così nel campionato portoghese non può durarci troppo, basta una stagione.

Il tempo, per Lazar, scorre in modo differente, ed è lui a controllarlo.

E’ vero che alla fine sbaglia il cross, ma nel frattempo Asamoah non gli sta dietro e Chiellini finisce con il mal di testa: se lasci lo spazio a Marković, preparati a correre.

LO SPAZIO

Nascere a Čačak (Serbia) nel 1994 non deve essere stato particolarmente facile. Forse ancora peggio è averci vissuto, da bambino, nel 1999, quando i bombardamenti NATO colpirono duramente la città.

Per una strana ironia del destino, Čačak è una sorta di “basket city”, un luogo che ha dato tanto alla pallacanestro serba (gente come “Željko" Obradović, per dirne uno). A lui invece piaceva giocare a calcio. A Belgrado la sua passione non cambia: ritrovarsi in una città così grande, così giovane, non gli ha creato problemi, anzi. Appena gli aprono le porte della prima squadra, Lazar si esalta e diventa subito titolare. Quando finalmente arriva a Lisbona, in un altro Paese, un altro sistema, un’altra lingua, Marković si trova benissimo. Al Benfica c’è più concorrenza, eppure riesce a giocare 49 partite in totale e segnare 7 gol: l’allenatore Jorge Jesus lo impiega a sinistra nel suo 4-3-3, come al Partizan, ma molto spesso anche a destra.

Non è ancora chiaro quale sia il suo vero ruolo: per alcuni è soprattutto un’ala, vista la sua incredibile velocità, sia nel breve che nel lungo. A volte passa tra nuvole di avversari come un fantasma passerebbe attraverso i muri di un palazzo: irresistibile, chioma al vento, testa alta mentre corre con il pallone sempre vicino. A guardarlo si rimane sorpresi, perché in campo sembra muoversi leggero, a volte anche troppo: ma contro la Juventus, nella semifinale di Europa League, l’ho visto seminare il panico, da solo contro quattro avversari, partendo dalla propria trequarti per arrivare fino all’area di rigore avversaria. È un calciatore che attacca lo spazio, se c’è; altrimenti, se lo crea, dribbling su dribbling.

In realtà, la capacità di leggere il gioco e servire il compagno in profondità è quella del trequartista, del vero numero 10. Ma lui è il numero 50, dai tempi del Partizan, e sfugge da ogni etichetta come il grande avanguardista russo “El Lissitzky”, in realtà suo omonimo.

È il giocatore che vorrei avere se la mia squadra giocasse sempre in contropiede: velocissimo nella transizione offensiva, capace di attaccare in qualunque parte del campo; ma anche ottimo nel servire un compagno in transizione. Questo modo di giocare sembrerebbe perfetto per il Liverpool di Rodgers, il cui calcio diretto della scorsa stagione non era troppo differente dalla vertigem vertical del Benfica di Jorge Jesus: eppure Lazar ancora non ha trovato spazio, chiuso da Lallana e Coutinho, i due che giocano più spesso nelle zone di campo in teoria di sua competenza (per non parlare di Sterling). Brendan Rodgers l’ha già impiegato praticamente in tutti i ruoli alla ricerca della posizione giusta: ala sinistra, ala destra e trequartista. Non ha avuto un grande impatto, e tra l’altro con lui in campo dall’inizio il Liverpool non ha mai vinto.

C’è molta competizione nell’attacco dei Reds, e alla sua prima stagione in Inghilterra probabilmente avrà bisogno di più tempo per ambientarsi, soprattutto a livello fisico. Immagino comunque che i tifosi abbiano apprezzato un ragazzino che all’esordio in Premier League fa un tunnel sulla trequarti ad Agüero.

Da sottolineare il sombrero al portiere. A me fanno impazzire anche i cross rasoterra a rientrare, dalla destra. In più c’è persino un recupero su Tevez.

IL PALLONE

Una delle caratteristiche dei grandi giocatori è di saper mantenere sempre il pallone tra i piedi, anche quando sono attaccati da più avversari: a Marković non manca nulla neppure da questo punto di vista.

Nel suo rapporto con la palla, si nota immediatamente che non c’è bisogno neppure di uno sguardo: gioca sempre a testa alta, e dopo scatti di 30 metri è impressionante la sua capacità di leggere il gioco e trovare la linea di passaggio giusta, e il suo tocco è leggere come se soffiasse sul pallone. Peccato non sia più bravo in area di rigore (non ha mai segnato tanto, neppure in Serbia), sarebbe stato perfetto come falso nove: rapido, bravo spalle alla porta e con una capacità innata di trovare passaggi filtranti negli ultimi 25 metri.

Avram Grant, l’allenatore che portò il Chelsea alla finale di Champions League (persa ai rigori) di Mosca, nel suo girovagare per l’Europa si è ritrovato ad allenare anche il Partizan Belgrado, per soli 4 mesi, da gennaio a maggio del 2012. In quel poco tempo ha avuto a disposizione Lazar Marković e se n’è innamorato fino a dire che a quell’età (18 anni), a parte Messi e Cristiano Ronaldo, di talenti come lui ne aveva visti pochissimi.

In una squadra come il Liverpool, che alterna in modo sublime il gioco di posizione con veloci transizioni offensive, Marković può (potrebbe ancora, o avrebbe potuto, in caso saltasse presto la panchina di Rodgers, adesso in crisi) davvero diventare quel grande giocatore di cui parlava il suo vecchio allenatore.

Marković non mi sembra arrabbiato, ma si dirige verso la panchina avversaria, forse per tranquillizzare Vučinić. Se fosse rimasto seduto, probabilmente avrebbe eliminato per sempre la maledizione di Guttmann con un gol in finale, e ci avrebbe risparmiato tonnellate di inutili articoli al riguardo.

LA FORTUNA

Mancano due minuti più recupero al passaggio del turno, mancano due minuti più recupero alla partita più importante della carriera di Marković. Il Benfica sta pareggiando 0-0 contro la Juventus, a Torino, dopo aver vinto l’andata per 2-1. Manca poco, e poi sarà in finale. Lazar aveva giocato quasi tutta la partita, ed era uscito un paio di minuti prima. È in panchina ancora vestito da giocatore ma con il giaccone. Mancano due minuti e si scatena una rissa: lo juventino Vučinić sembra infuriato, ma non si capisce più di tanto. Forse ce l’ha con l’arbitro, forse con qualcuno della panchina avversaria. La rissa coinvolge molte persone di entrambe le squadre, e alla fine tocca all’arbitro sedare la rivolta. Espelle prima Vučinić e poi chiama qualcuno dalla panchina del Benfica: è proprio Marković. Espulso anche lui, non potrà giocare la finale di Torino. Il Benfica perderà la coppa, per l’ennesima volta. Senza di lui.

A quanto pare, non è stato fortunato quella sera. A fine partita va da Vucinic e si scambiano le maglie, perché i due in realtà non stavano affatto litigando. Il montenegrino della Juve ce l’aveva con Artur, portiere del Benfica ma soprattutto suo ex compagno alla Roma. In un’immagine, in effetti, si vede Lazar in mezzo al parapiglia, ma sembra calmo. Forse voleva solo tranquillizzare gli animi. Non è stato fortunato, ma anche la fortuna si conquista, con i comportamenti giusti, come gli ha fatto notare il conNazionale Matic, ex compagno di squadra al Benfica per metà stagione: per diventare il migliore in Premier League, bisogna impegnarsi in ogni singolo allenamento, bisogna dare di più.

Marković controlla o quasi tutti gli elementi naturali del calcio e abbonda anche del quinto: il talento. In un modo o nell’altro, in Premier League o altrove, le sue accelerazioni in hoverboard conquisteranno presto i cuori di tutti gli appassionati di calcio.

Questo pezzo è stato realizzato consultando Wyscout (qui la loro pagina Facebook, qui invece l’account Twitter).

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