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Innamorati di Bryan Cristante
12 dic 2014
12 dic 2014
Cristante ci ha rubato il cuore, il Milan ce lo ha spezzato quando lo ha ceduto al Benfica.
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La nostra rubrica Preferiti è realizzata grazie alla collaborazione con Wyscout: il database calcistico che ci permette di visionare giocatori di tutti i livelli, di tutte le età e di tutto il mondo. “Non giochiamo un calcio per giovani, perché giochiamo un calcio difensivo. (...) Giochiamo un calcio individuale, specialistico, giochiamo un calcio di trucchi, di mestieranti. I giovani hanno bisogno di giocare un calcio d’attacco, di generosità, dove sbagliano molto, ma creano anche molto, un calcio fatto di entusiasmi e hanno bisogno di avere un filo conduttore, che è il gioco”. È un estratto di un’intervista ad Arrigo Sacchi che fa da introduzione perfetta a Bryan Cristante, uno dei migliori talenti italiani della nuova generazione. Cresciuto in un ambiente che fatica a dare fiducia a un giovane, in cui le chance per emergere sono pochissime, Cristante è stato penalizzato dal ruolo in cui è cresciuto, il playmaker. Il regista è il ruolo meno individuale in una squadra: non dipende tanto da sé stesso ma dai compagni, dal numero di palloni che fanno passare per i suoi piedi e dalle alternative che gli danno una volta che il play è in possesso. In Italia, lo ricordava Sacchi, non si gioca un calcio di squadra. Va da sé che chi deve interpretare il ruolo meno individuale di tutti ha difficoltà oggettive, specie se si affaccia per la prima volta al mondo del professionismo. Andrea Pirlo, uno dei migliori calciatori del nuovo millennio, ha impiegato diversi anni per affermarsi. Non è un paragone tra Cristante e Pirlo, ma solo un argomento a sostegno di una tesi: la difficoltà che c'è in Italia a far emergere i giovani, specie se giocano in un ruolo così delicato (anche se, va detto, Pirlo ha speso parecchi anni a provare a giocare da trequartista). C’è una grande differenza tra Pirlo e Cristante: il bresciano, prima di consacrarsi col Milan, è passato dagli anni in Serie B e in Serie A con il Brescia e la Reggina, fallendo tra l’altro la prima grande occasione della carriera con l’Inter; Cristante, invece, ha saltato la gavetta passando dalla Primavera del Milan alla prima squadra e trasferendosi poi al Benfica, il che ha rappresentato un ulteriore salto in avanti. A 19 anni in pochissimi sono davvero pronti per il calcio di alto livello e Cristante non è un’eccezione da questo punto di vista. In Portogallo sta giocando molto poco, ma pur sempre di più di quanto abbia fatto nella sua unica stagione al Milan. Eppure l’inizio della sua carriera rossonera sembrava promettere altro. Cristante è andato via dopo 5 presenze totali, ma col record di giocatore più giovane della storia del Milan a esordire in Champions League. Era il 6 dicembre 2011, l’avversario era il Viktoria Plzeň e Cristante debuttava all’età di 16 anni e 278 giorni. La sua storia non è però quella di un ragazzo prodigio, perché per giocare di nuovo ed esordire in Serie A deve aspettare quasi due anni: è il 10 novembre 2013 e il Milan gioca a Verona contro il Chievo. Colleziona altre due presenze in campionato, nelle quali fa un gol (all’Atalanta) e un assist (col Sassuolo), a conferma di una qualità fuori dall’ordinario. È eccezionale il fatto di giocare così poco e incidere in maniera così importante, eppure la sua esperienza milanista finisce subito dopo, con il gettone in Coppa Italia contro lo Spezia, che è l’ultima partita giocata in maglia rossonera. Le ripercussioni del suo trasferimento al Benfica tra i tifosi del Milan sono la conferma del suo essere diverso dagli altri. Cristante è diventato il simbolo dell'Italia che non crede nei giovani e ha diviso in due schieramenti la gente rossonera, i favorevoli (6 milioni sono tanti per uno con tre presenze in Serie A) e i contrari (È un talento, bisognava dargli fiducia) alla cessione. Ciò che affascina di Cristante è la sua capacità di semplificare il gioco, di portare il calcio a un livello elementare, visto che la sua presenza in campo consente di arrivare in porta in una sola mossa. Uno dei suoi punti di forza è infatti il lancio lungo, col quale può tagliare tutto il campo. http://youtu.be/xU33Uw_7fo0?t=3m21s Il Benfica, più del Milan, sta cercando di esaltare questa sua qualità. Jorge Jesus lo sta impiegando come centrocampista centrale con compiti d’impostazione, quindi più basso rispetto al compagno di reparto, fino a giocare in mezzo ai centrali di difesa nella salida lavolpiana con la quale le “Aquile” cominciano l’azione. In Portogallo, insomma, si sono accorti subito della sua capacità di verticalizzare il gioco e la stanno inserendo in un sistema che le permetta di svilupparsi pienamente. Al Milan, invece, ha giocato prevalentemente da interno-incursore, un ruolo che richiede di essere in grado di coprire ampie porzioni di campo. Cristante è ancora in quella fase in cui il suo modo di stare in campo è in bilico tra la serenità di chi non ha bisogno di correre tanto per essere decisivo e la timidezza di chi non si muove molto per toccare meno palloni possibili e sbagliare quindi il meno possibile. Nella partita di Coppa di Portogallo contro il Moreirense, Cristante ha mostrato che si sta muovendo nella direzione giusta: per la prima volta è sembrato davvero inserito negli schemi degli Encarnados, a suo agio in un ruolo di grande responsabilità. Si sono visti non solo la sua bravura nel giocare in verticale (da una sua verticalizzazione è nata l’azione del 2-0 di Jonas), ma anche netti miglioramenti nel posizionamento e nei movimenti difensivi. D’altronde saper stare sempre al posto giusto è fondamentale per chi, come lui, non ha grandi capacità di recupero correndo all'indietro. Bravo con tutti e due i piedi, sta migliorando anche nella gestione della palla sotto pressione, aiutato non solo dalla sua struttura fisica (186 cm per 78 chili), ma anche dall’ottima tecnica di base e dal fatto di poter spostare la palla sia sul destro che sul sinistro. Ha un calcio preciso, che si esprime non solo nei lanci lunghi, ma anche nel tiro dalla distanza. https://www.youtube.com/watch?v=arCZvsLd8vE

Il gol, stilisticamente perfetto, segnato da Cristante nella Youth League contro il Barcellona.

Pur essendo alto, il colpo di testa non rientra ancora tra le sue specialità: gli manca un po’ di malizia nell’utilizzare il proprio corpo per tenere a distanza l’avversario e certamente deve migliorare nei tempi di stacco. Nei contrasti è invece già sufficientemente deciso, anche se preferisce giocare d’anticipo piuttosto che cercare lo scontro fisico con l’avversario. Se impostato stabilmente nel ruolo, Cristante potrebbe diventare un centrocampista d’equilibrio alla Xabi Alonso (che a 19 anni giocava con l’Eibar nella Segunda División spagnola), col quale ha in comune il gran tiro dalla distanza e il lancio lungo affilato, in grado di tagliare tutto il campo. Più che un play, Cristante è un quarterback e per questo è il mediano ideale in una squadra che gioca in maniera molto diretta, che punta a colpire soprattutto con rapide transizioni offensive. Non sarà veloce, ma è un acceleratore di gioco, con una qualità decisamente superiore alla media. La sua cessione è il manifesto del Milan attuale, nel quale l’aspetto economico prevale su quello tecnico e 6 milioni di euro sono buoni per rinunciare a uno dei migliori prodotti del vivaio degli ultimi anni. Per quanto poco possano contare i titoli a livello giovanile, Cristante è stato un punto fermo delle squadre che hanno vinto il campionato nelle categorie Giovanissimi (e al Milan non capitava da 18 anni) e Allievi, ed è stato premiato come miglior giocatore del Torneo di Viareggio nel 2013, quando i rossoneri furono sconfitti in finale dall’Anderlecht. Nemmeno l’arrivo in panchina di Inzaghi, che proprio come Cristante aveva alle spalle solo l’esperienza nel settore giovanile milanista, è servito per convincere il Diavolo a puntare su di lui, che pure sarebbe stato il centrocampista potenzialmente perfetto nella squadra costruita da Inzaghi, il risolutore di problemi in una manovra tutt’altro che elaborata. Forse è colpa del contrasto tra il suo carattere introverso (il che comunque non significa che in campo si nasconde per toccare il meno possibile la palla) e la spavalderia tipica del Diavolo, il simbolo del Milan, o più semplicemente è una questione di fiducia, un lusso che in Italia i giovani non si possono permettere.

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