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Tommaso Giagni
Predestinato a cosa
30 giu 2017
30 giu 2017
Ascesa e declino di Mario Götze, uno dei talenti più luminosi del calcio tedesco.
(di)
Tommaso Giagni
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Il talento viene concesso da Dio,

Mario Götze anni fa, quando era un vincente puro. Giovane, ricco, pieno di talento. Di continuo sotto i riflettori. Molto amato, molto odiato.

 

Quando era quello che entrava durante la finale dei Mondiali 2014 e segnava il gol partita ai supplementari. Quello che passava dal Borussia Dortmund ai rivali del Bayern Monaco senza apparenti scrupoli. Quando era un predestinato.

 

Nell'ultima stagione ha messo insieme la miseria di 16 presenze, nelle ultime due ha fatto solo 2.394 minuti in campo. In nazionale non segna da quindici mesi. Dopo averlo venerato e convinto di essere destinato al cielo, il mondo si è dimenticato di lui. Non lo considera più un top player, uno che fa la differenza.

 

Non si può celebrare il funerale professionistico di una persona di venticinque anni. Neanche se fa il calciatore ed è quasi a metà carriera. L'involuzione però è innegabile e dà una certa, vigliacca soddisfazione. Può bastare l'intoppo sulla strada spianata, per gratificare chi osserva con invidia, frustrazione, anche solo antipatia, un tedesco giovane che vince sempre e ha l'aria strafottente. Così in molti abbiamo visto Mario Götze quando si arrampicava sul grande calcio.

 

Oggi la sua caduta si direbbe perfetta sul piano drammaturgico. Arriva a far empatizzare. A far chiedere: dove si smarrisce il talento? Come si esaurisce qualcosa che ci appartiene a prescindere dai nostri sforzi?

 


Il traditore, il reietto. Nell'estate 2013i tifosi del BVB voltano le spalle e cancellano il nome del ragazzino esploso con la loro maglia addosso.


 

È nato in Baviera, è cresciuto a Dortmund. Da bambino

nelle lenzuola del Bayern Monaco, al Borussia ha giocato ininterrottamente dai nove ai ventun anni.

 

Götze ha attraversato la rivalità tra i due club, la contesa per la Bundesliga, prendendo tutti gli insulti. Il tradimento ai gialloneri, il ritorno mesto e necessario. La sua è una storia di dilemmi e conflitti, che solo il talento ha permesso di mettere in secondo piano. Prima che lo abbandonasse.

 

Memmingen fa parte del Land più ricco della Germania, la Baviera, ma ha una lunga tradizione di autonomia. Quarantamila abitanti, origini romane, importante snodo commerciale. Götze ci nasce, il 3 giugno 1992, e da piccolissimo tira i primi calci con la SC Ronsberg im Allgäu, non lontano. Memmingen è conosciuta come “Città della Luna”, per la fiaba locale di un uomo che vuole pescare la luna in un tino pieno d'acqua.

 

Qui è nato anche Holger Badstuber, grande prospetto, una carriera iniziata fortissimo e guastata da un paio di infortuni gravi. Oggi l'altro talento di Memmingen, tre anni più di Götze, è svincolato, da due anni ha perso la nazionale e potenzialmente è al tramonto.

 

Ci resta poco, a Memmingen: quando ha sei anni, l'intera famiglia

nella Ruhr il padre che va a lavorare a Dortmund. Il Borussia insomma è la squadra del territorio in cui Mario cresce. Dapprima per la verità, fra 1998 e 2001, entra nella rappresentativa di Hombruch. Poi, sì: l'approdo alle prestigiose giovanili degli

.

 

Da scuola agli allenamenti, almeno cinque sessioni a settimana e partite nel weekend. “Ho iniziato da ragazzino quella vita e per me è sempre stata l'unica possibile. Ho dovuto rinunciare a un sacco di cose. Vacanze, feste... Praticamente non ho fatto mai niente”

.

 

A diciannove

nella casa dei genitori, in uno spazio più o meno indipendente di 44 metri quadri con bagno e balcone. Parallelamente, insieme alla BVB, diventa campione di Germania per la prima volta.

 



 

Nell'estate 2014, a ventidue anni, ha già vinto da protagonista 7 trofei con i club e un titolo mondiale. Gioca in una delle prime squadre del mondo, che l'ha pagato 37 milioni. Il suo

è altissimo, viene chiamato a fare il testimone di PES 2015, i baci in campo con la fidanzata dopo la finale lo tratteggiano come una specie di re della società dell'intrattenimento.

 

L'

, la promessa col futuro in mano, il ragazzino che non si può quotare. Secondo il tecnico Felix Magath un talento così nasce una volta in un secolo. Il Ct Löw

, subito dopo la finale di Coppa del Mondo in cui l'aveva inserito dicendogli: “Mostra al mondo di essere migliore di Messi”.

 

Nel 2009 Mario

uno dei dieci esordienti più giovani nella storia della Bundesliga. Nel 2010 veniva inserito nella prestigiosa

dei cento prospetti under 21 di «Don Balón», a diciotto anni.

 

Il destino nel nome, pareva chiaro:

, “piccolo Dio”, “idolo”.

 



 

Eppure già in passato, in momenti apparentemente sereni, si potevano avvertire gli scricchiolii.

 

In un'intervista di marzo 2015, Götze era del tutto consapevole della pericolosità del meccanismo psicologico: “Sì,”

“bello alzare i trofei e ripensare a quei momenti. Ma di base vuoi fare sempre di più. Se vinci il campionato, vuoi vincerlo di nuovo”. E risolveva: “Essere atleti significa non essere mai davvero soddisfatti”.

 

Nell'estate 2014, quando aveva appena deciso la finale dei Mondiali,

: “Non è stato un torneo semplice. E neanche una stagione semplice” e ringraziava la famiglia e la fidanzata “per aver sempre creduto in me”.

 

Il padre

un professore universitario, insegna Ingegneria elettronica a Dortmund,

Mario “giudizioso e sensibile”. La fidanzata è una modella di intimo. Due fratelli poi, entrambi calciatori: il maggiore ha smesso nel 2010, dopo le giovanili col Borussia Dortmund, il minore oggi gioca nell'U19 del Bayern Monaco.

 

Fiducia, speranza, forza, fede. È quello che

la sua vita, per come la intende Götze.

 

Ed è verosimile che si sia aggrappato a questi principi, quando si è trattato di affrontare “le aspettative dei tifosi, dei giornalisti. Non è stato semplice. Credo che la cosa più importante sia dirsi: Ho un obiettivo davanti a me, riuscirò ad andare avanti comunque si mettano le cose. Credere in sé stessi, insomma”

un paio d'anni fa.

 

https://www.youtube.com/watch?v=EBzC8-FQU_Y

Come ha osservato Philip Oltermann sul «Guardian», la disfunzione del peso di Götze contrasta malinconicamente con questa prodezza, a inizio carriera, con cui sfidava la forza di gravità.


 

Alla prima conferenza a Monaco, si presenta con una maglietta del suo marchio personale, Nike, quando il Bayern è sponsorizzato da Adidas.

come una disattenzione verso il collettivo, un egoismo, e una forma di avidità.

 

Nel corso degli anni in Baviera continuerà a prestare massicciamente la sua immagine pubblica per tweet e pubblicità che secondo Stefan Buczko di «ESPN FC»

l'arroganza della sua figura.

 

Tre estati dopo, il ritorno indietro, a casa. Non necessariamente “indietro”, non necessariamente “a casa”, in verità.

 

Le sue prime dichiarazioni,

sul sito del Borussia, sono chiare: “Quella di tre anni fa è stata una scelta precisa. Oggi però non la rifarei”. E aggiunge: “Voglio ritrovare il mio miglior calcio”.

 

Al Bayern ha giocato regolarmente, da trequartista e da

, offrendo prestazioni soddisfacenti e contribuendo a una sfilza di successi. Ma non ha fatto la differenza davvero. Non si è dimostrato un dio, anche piccolo, che orienta le partite e cambia il corso degli eventi per mezzo di miracoli.

 

In questa distanza c'è l'angoscia che deve aver portato Götze a cambiare prospettiva. O almeno a tornare sui propri passi, come chi ha perso qualcosa, per ritrovare il talento da

.

 

Si può accettare di essere bravissimo, quando ti sei convinto di poter essere il migliore?

 

Carlo Michelstaedter, anche lui nato il 3 giugno ma oltre un secolo prima di Götze: “Quando la trama dell'illusione […] si disorganizza, si squarcia, gli uomini, fatti impotenti, si sentono in balia di ciò che è fuori della loro potenza”.

 

https://www.youtube.com/watch?v=LVFoOUsBn0Y

Novembre 2013. Alla prima gara da avversario del Borussia, nello stadio in cui è cresciuto, Mario segna il gol che spezza l'equilibrio. Un bel gol dopo il quale alza le mani, tenendole molto vicine al corpo, in una posa un po' marziale. Segnerà un'altra volta al suo vecchio club, nel 2015.


 

Il ritorno a Dortmund è più amaro che dolce. Il suo miglior calcio, Götze non l'ha mostrato. Qualche infortunio, un rendimento opaco, la difficoltà magari fisiologica di entrare negli schemi di Tuchel.

 

A marzo scorso, poi,

un brutto problema di salute. Un tallone d'Achille, la conferma di essere un piccolo Dio. O la definitiva prova della sua natura del tutto umana. Il problema è una malattia metabolica rara, un disordine muscolare che non lascia funzionare in modo corretto le fibre,

stanchezza e aumento di peso.

 

La stagione di Götze finisce lì. Il soprannome che

i compagni del Borussia,

, “Fata cicciotta”, prende una nuova luce. E lo stesso succede all'accusa che

Mehmet Scholl, di tirare via in allenamento.

 

addirittura di un ritiro dal calcio giocato. Invece Mario ha reagito bene alle terapie e dalle prossime settimane rientrerà in gruppo.

 

Nell'idolo, secondo la cultura occidentale, convivono l'oggetto di culto e l'illusione a cui porta una devozione mal centrata. In tedesco il termine

da Martin Lutero, cinque secoli fa, appunto per intendere un “falso dio”.

 

Un “dio piccolo”, non un “piccolo dio”. Forse basta il rovesciamento linguistico a mettere sottosopra Mario. Non può fare miracoli, non è un miracolo lui stesso.

 

Tra maggio e giugno 2016

il suo procuratore e decide di farsi rappresentare dalla propria famiglia. E cambia la società di marketing che lo segue.

 

Quando poche settimane dopo torna a Dortmund,

drasticamente i capelli. Un segno quasi didascalico di umiltà monacale, di impegno a ricominciare dalle pendici della montagna. D'altronde,

lui stesso: “Il bello di questo gioco è che riparti da zero ogni anno”.

 

 

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