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Alfredo Giacobbe
Come si difende in Italia
17 dic 2015
17 dic 2015
Una classifica dei migliori reparti difensivi della Serie A.
(di)
Alfredo Giacobbe
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Quello italiano è il campionato più tattico tra tutti. In Italia, le difese fanno vincere i campionati. Quanto sono vere queste affermazioni? Sono poi antitetiche o in accordo tra loro? Ho provato a stilare il Power Ranking delle difese della Serie A dopo 16 giornate, sottolineando la peculiarità di ciascun reparto. Perché in Serie A non esiste un solo modo per difendere la propria porta e, soprattutto, nulla è lasciato al caso.

 



Eusebio Di Francesco sta raccogliendo i frutti migliori del suo lavoro alla sua quarta stagione sulla panchina neroverde. Ha a disposizione un gruppo consolidato nel quale sono stati fatti pochi e mirati innesti anno dopo anno. Al Mapei Stadium il Sassuolo è ancora imbattuto dopo 7 partite e ha subito 6 sole reti. Tra le mura amiche sono cadute Juventus e Napoli. Spesso si sottolinea la qualità degli uomini in avanti, ma i risultati che il Sassuolo sta ottenendo dipendono anche da una fase difensiva collettiva e ben organizzata.

 


Il pallone è passato dai piedi del centrale di destra a quelli del centrale di sinistra. La trappola del pressing sassolese è scattata.



 

Di Francesco è un allenatore di estrazione zemaniana, ma ha rielaborato i principi del pressing e della difesa alta. Il pressing del Sassuolo non è mai continuo e i tre attaccanti, che formano la prima linea di pressione, si attivano solo quando possono creare più scompiglio: l’innesco della loro aggressione organizzata è sempre un passaggio laterale tra i difensori avversari. Nello stesso instante i centrocampisti, che formano la seconda linea di pressione, salgono per marcare tutti gli eventuali ricevitori, annullando le vie di fuga per il pallone. Il Sassuolo è la squadra con più palle intercettate in Serie A (22.3 a partita), sintomo che le spaziature tra i giocatori e il loro posizionamento è spesso corretto.

 

Gli spazi a disposizione degli avversari sono ulteriormente compressi dalla terza linea, quella dei difensori, sempre pronti ad accorciare in avanti. Il Sassuolo però non cerca di mettere gli avversari in fuorigioco in maniera ossessiva (nella relativa statistica sono al terzultimo posto in Serie A) e i due centrali si offrono sempre copertura reciproca.

 


È il novantaduesimo minuto e gli undici del Sassuolo sono ancora capaci di restare ordinati in venti metri.



 



Paulo Sousa ha avuto un impatto folgorante su una squadra e su un ambiente che sembrava aver perso fiducia e slancio. Il sistema organizzato dal portoghese è un ibrido che muta le sue caratteristiche a seconda della fase di gioco: quando è in possesso palla, la difesa della Fiorentina si schiera con tre uomini e questo semplifica la circolazione bassa del pallone. Dei due esterni di centrocampo uno, solitamente quello di sinistra, ha caratteristiche più difensive del suo omologo sulla fascia opposta. Quindi, nel caso di perdita di possesso, il laterale sinistro si abbassa per occupare la posizione di terzino, formando una linea a quattro con il contemporaneo scivolamento verso destra dei tre centrali.

 

La forma difensiva si completa di un’ulteriore linea da quattro, piazzata a venti metri dalla prima linea. I due banchi siedono solitamente bassi a protezione dell’area di rigore. La scelta degli uomini da piazzare a supporto della punta è funzionale anche alle scelte in fase di non possesso: Sousa preferisce utilizzare giocatori che abbiano anche corsa, oltre che fantasia, sulla trequarti.

 



 

Qui sopra Pasqual esce alto in marcatura e la sua posizione nella prima linea a quattro è immediatamente coperta da Borja Valero, uno dei due fantasisti a supporto di Kalinic quando la Fiorentina è in possesso del pallone. L’altro trequartista, Ilicic nella partita contro il Sassuolo, prova a schermare l’azione del regista avversario.

 

L’unica idea che questa Fiorentina sembra aver mantenuto rispetto alla gestione Montella è la capacità di difendersi controllando il pallone: i viola giocano la palla per più tempo (58% di possesso medio) e meglio di tutti (87% di precisione media).

 



La Juventus ha ritrovato le sue certezze tornando al 3-5-2: da quando sono tornati a questo sistema, nel corso dell’ultimo confronto col Milan, i bianconeri hanno subito 1 gol in 5 partite. Allegri ha sempre considerato il 3-5-2 un modulo maggiormente difensivo, perché porta un uomo in meno al di sopra della linea della palla rispetto al 4-3-1-2. Nella maggior parte delle situazioni però, la Juventus si difende con una pura difesa a tre e con un set complesso di coperture preventive.

 



 

Contro il Siviglia se n’è avuto un esempio: Alex Sandro perde palla nell’area di rigore avversaria e Chiellini sale altissimo a coprire la visuale del portatore di palla, riducendo così le sue chance di innescare un contropiede con la Juve tutta in proiezione offensiva. Nel momento in cui inizia il pressing di Chiellini, Marchisio fa un contromovimento, correndo all’indietro per coprire lo spazio lasciato scoperto dal centrale di sinistra. Sarà proprio lui a riconquistare il possesso, due tempi di gioco dopo.

 

I tre centrali si coprono a vicenda, sia quando il pericolo viene portato dalla corsia esterna sia quando arriva dal centro. In quest’ultimo caso, già sotto Antonio Conte, Bonucci era il difensore più intraprendente nel cercare l’anticipo, sicuro di avere le spalle coperte dagli altri due uomini che stringevano verso il centro, riposizionandosi come i centrali di una difesa a quattro. Quando l’azione si sviluppa sugli esterni, i centrali possono offrire una copertura reciproca doppia.

 



 

La situazione più estrema di attacco dalle fasce è quella del fallo laterale da difendere nella propria metà campo: un centrale marca l’uomo e gli altri due si predispongono in diagonale a coprire la direzione verso la porta.

 

Come la Fiorentina, anche la Juventus preferisce tenere la linea difensiva bassa, al limite dell’area di rigore, e accorciare anche con gli attaccanti al di sotto della linea della palla. I bianconeri sono la squadra che ha concesso il minor numero di gol dall’interno dell’area (6) e che ha lasciato il minor numero assoluto di conclusioni agli avversari (8.6 a partita).

 



Sarri ha portato a Napoli l’intero pacchetto di peculiarità della fase difensiva vista nella scorsa stagione a Empoli. Il focus di Sarri per questa parte del gioco è assoluta, tant’è vero che obbliga i suoi difensori a una sessione di allenamento settimanale supplementare. È in occasione di questa sessione che a Castelvolturno si alzano in volo i droni, per registrare dall’alto i movimenti della linea nelle diverse situazioni di gioco (no Gary, mettere un cameraman valenciano su un

non è fico allo stesso modo).

 

Tanto per restare in Spagna, potremmo dire che la linea sarrista adotta l’interpretazione alla catalana, ovvero è mediamente alta e segue sempre il movimento del pallone: si alza quando la sfera viene giocata orizzontalmente o all’indietro; si abbassa quando la palla si muove in avanti.

 

La linea alta aiuta la squadra a restare corta in entrambe le fasi: la difesa che staziona sulla linea di centrocampo quando l’avversario riprende il gioco dalla propria area, comprime gli spazi e tiene le linee di pressione vicine. Tutta la squadra è portata ad aggredire l’avversario: nessuno in Serie A ha riconquistato tanti palloni nella metà campo avversaria (251) quanto il Napoli di Sarri.

 



 

I terzini partecipano all’azione offensiva, ma mai contemporaneamente: quello che non segue l’azione stringe la propria posizione per formare, con lo scivolamento dei due centrali, una vera e propria difesa a tre. È l’interpretazione sarrista della regola di La Volpe per facilitare l’uscita della palla. Lo stesso accade in fase di non possesso, quando un terzino si alza per prendere l’ala e l’altro stringe in mezzo per aiutare i centrali.

 

Il Napoli è una delle poche squadre ad adottare una marcatura a zona completa sui calci piazzati. Solitamente è un dispositivo utilizzato dalle squadre con giocatori poco strutturati fisicamente. Più in generale, la marcatura a zona sui calci piazzati permette di disporre la difesa sempre allo stesso modo, al di là del numero di avversari che si portano in area; inoltre evita la formazione dei blocchi e il pericolo di sanzioni per eventuali trattenute e, quello che credo sia più importante per un allenatore come Sarri, accentua l’idea di collettivo, con la responsabilità di difendere la porta che viene condivisa da tutti gli undici in campo.

 



 

A volte il dispositivo può essere fallace, come è successo in occasione del gol di Rossettini nell’ultimo Bologna - Napoli: il difensore felsineo parte addirittura da fuori area e va a staccare in terzo tempo alle spalle di Allan, che è rivolto verso il pallone e non può vederlo. L’ex Udinese è uno dei sei che formano il castello a protezione dell’area piccola; altri tre uomini proteggono il primo palo; il decimo (Insigne) copre il passaggio fuori area.

 



È difficile dire perché l’Inter sia la miglior difesa della Serie A, con soli 9 gol incassati in 16 partite. Non è la squadra che subisce meno tiri (quella è la Fiorentina), non primeggia per contrasti né per intercetti, è addirittura ultima per numero di falli fatti.

 

Senza competizioni continentali da onorare, Mancini sta sfruttando al massimo il tempo che ha in settimana e la disponibilità dei suoi uomini: i giocatori e i moduli sono scelti di volta in volta per neutralizzare i punti di forza dell’avversario di turno e per esporne le debolezze.

 


La pressione dei centrocampisti su Tino Costa è tale da fargli preferire il tiro da lontano pur di liberarsi del pallone, quando avrebbe avuto due linee di passaggio per mettere un compagno in condizione di battere la difesa.



 

L’Inter è estremamente strutturata dal punto di vista fisico, soprattutto nel quartetto di giocatori (i due centrali e i due mediani) schierati a protezione dell’area: è la squadra che subisce la minor percentuale di tiri dalla zona centrale dell’area di rigore. E quando gli avversari sono costretti a forzare la conclusione da fuori o da zone periferiche dell’area, le loro probabilità di far gol precipitano.

 

Un po’ come il Chelsea di Mourinho nella sua versione migliore, i nerazzurri proteggono bene il centro del campo per costringere gli avversari in zone meno pericolose. L’Inter non disdegna l’arroccamento in area di rigore quando deve difendere il risultato e se poi arrivano cross dalle fasce, questi sono ben controllati dall’abilità area dei propri difensori.

 

Proprio la nuova coppia di centrali è l’oro della squadra di Mancini: Murillo e Miranda sembrano giocare insieme da anni e mentre il primo è più aggressivo nella ricerca dell’anticipo fuori dalla linea, il secondo ha maggiore consapevolezza dello spazio da coprire.

 


Otto uomini in due linee distanti meno di dieci metri, che comprimono gli avversari dopo averli portati a giocare il pallone sulla fascia.



 



In definitiva, non esiste un unico modo di difendere la porta in Serie A, così come non esiste un modo migliore in assoluto. Però alcune caratteristiche sono ormai consolidate nelle scelte degli allenatori e comuni ai diversi sistemi.

 

Le due linee da quattro uomini, introdotte dal 4-4-2, sono ancora il modo migliore per occupare gli spazi: si difende così l’Inter, al di là del modulo adottato nelle varie occasioni; lo fanno anche Juventus e Fiorentina, i primi mantenendo un esterno alto sulla linea dei centrocampisti, i secondi operando una transizione tra due moduli. Esistono delle eccezioni notevoli: il Genoa difende con marcature a uomo a tutto campo; la tensione del Napoli alla riconquista del pallone è tale da disordinare costantemente le prime linee di pressione.

 

Quello difensivo è inoltre uno sforzo di squadra, non è mai un affare per un solo reparto. Ciò nonostante, accostare giocatori dalle caratteristiche complementari può attivare un ulteriore vantaggio: la coppia dei centrali dell’Inter funziona perché i due interpreti si completano; la conoscenza reciproca dei centrali della Juventus permette loro di leggere meglio le situazioni di gioco. Ed è affascinante realizzare quanto il comportamento di un singolo può migliorare l’intera struttura della propria squadra.

 
 

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