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Emanuele Mongiardo
È arrivato il momento di esonerare Pioli?
07 nov 2023
07 nov 2023
Il ciclo del tecnico è finito?
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Emanuele Mongiardo
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Al termine della sconfitta per 1-0 contro l’Udinese, il verdetto del pubblico di San Siro è stato ancora più severo di quello del campo per i giocatori del Milan. Dopo il fischio finale, capitan Calabria e altri sette giocatori si sono avvicinati alla Curva Sud e per una volta il cuore caldo del tifo rossonero ha ricoperto di fischi i calciatori. La simbiosi tra pubblico e squadra è stata, insieme allo scudetto, il più grande risultato raggiunto da Pioli in questi anni. Tifosi e ultras non hanno mai fatto mancare il loro sostegno, nemmeno nei momenti più complicati: un sentimento tale che prima di Milan-Newcastle, a pochi giorni dal 5-1 nel derby, dagli spalti risuonava ancora Pioli is on fire ad accompagnare il riscaldamento. L’impressione, stavolta, è che qualcosa si sia rotto. Il Milan forse non ha mai recuperato davvero dalla crisi dello scorso inverno, ma nell’ultimo ciclo di partite sembra aver toccato il fondo. Una situazione del genere non può avere un solo responsabile, ma come accade in questi casi, l’allenatore è il primo ad esser messo in discussione. Sempre più tifosi vorrebbero un cambio in panchina: Pioli non sarebbe stato in grado di adattarsi a una nuova rosa, piena di giocatori migliori di quelli dello scorso anno. Al polo opposto della discussione, c'è chi pensa che Pioli sia solo una piccola parte del problema: il mercato estivo sarebbe stato inadeguato e forse servirebbe una dirigenza più presente, anche al cospetto dei tifosi. Dove sta allora la verità? I problemi di sempre Per analizzare la situazione dei rossoneri, non si può non partire dai problemi di campo, gli unici davvero visibili da fuori. Da mesi, ormai, le difficoltà di gioco sono ricorrenti e la gara di sabato con l’Udinese ne è stata l’epitome. I problemi più grandi si palesano palla al piede, in situazioni di attacco posizionale. Per vocazione di Pioli e per caratteristiche degli interpreti, il Milan è una squadra diretta, ma da gennaio in poi l’animo verticale è stato esasperato, fino quasi a incancrenire la manovra. La prima impressione, osservando il modo in cui sviluppa il Milan, è che si tratti di una squadra troppo statica. Contro avversari chiusi, come la maggior parte di quelli che affrontano in Serie A, i rossoneri si spezzano in due tronconi: dietro, i giocatori incaricati di costruire, di solito i due centrali ed uno dei terzini e davanti a loro il metodista, o magari l’altro terzino che stringe in aggiunta. Davanti, una linea di cinque o sei giocatori che occupano tutti i corridoi verticali del campo e aspettano di ricevere una verticalizzazione. Spesso, per il Milan, non esistono passaggi intermedi tra la prima costruzione e il filtrante per i giocatori più avanzati. Da dietro parte il rasoterra lungo, gli avversari però occupano bene lo spazio, intercettano e ripartono, perché con troppi uomini sopra la linea della palla il Milan è sfilacciato e non ha possibilità di riaggredire. Contro l’Udinese, questa situazione è stata acuita dal fatto di aver schierato due punte, una scelta che ha reso ancora più diretta la manovra. I friulani, peraltro, sono stati anche abbastanza passivi nel 5-3-2 con cui hanno occupato la propria metà campo, ma il Milan non ha saputo ricavare molto. Ogni tentativo di controllo spalle alla porta di Jovic si è trasformato in una transizione per gli avversari; i filtranti dalla difesa sono stati facili da leggere per i bianconeri.

Su certe scelte devono aver pesato le numerose assenze, soprattutto dalla cintola in su. Tuttavia, anche con i titolari il Milan ha problemi simili. Quante volte Theo parte palla al piede e, contro un blocco chiuso, verticalizza per Giroud nella speranza che il francese chiuda il triangolo? Quante volte quel tipo di situazione porta a un intercetto e a una ripartenza? Costruire troppo in verticale, quasi senza tener conto degli avversari, significa sbattere contro un muro. Alcune scelte dei singoli, poi, non fanno che peggiorare tutto ciò. Giroud, ancora di salvezza in tanti momenti difficili, adora i colpi di tacco e i tocchi di prima. Molte volte si compiace della sua capacità di giocare a parete e cerca soluzioni frettolose e arzigogolate, che portano al recupero palla della difesa mentre i compagni attaccano lo spazio, e quindi sono tagliati fuori dalla riaggressione. In determinate situazioni, insomma, il Milan dovrebbe provare a smorzare questo spirito verticale. Aggiungere più passaggi alla manovra sarebbe utile per far muovere gli avversari, attaccare in maniera più assennata e predisporsi meglio per il gegenpressing o per ripiegare. Ha pesato, in questo senso, l’infortunio di Loftus-Cheek. L’inglese non è una mezzala di possesso, ma sa legare i compagni in costruzione con quelli più avanzati prendendo palla per condurre oppure per triangolare: insomma, un check-point intermedio che migliora la fase di possesso rossonera.

Che Loftus-Cheek potesse saltare diverse partite per infortunio, però, era preventivabile. Perché, allora, non usare in modo diverso gli altri centrocampisti? Reijnders, per esempio, passa troppo tempo bloccato alle spalle del centrocampo avversario ad attendere la verticalizzazione. Perché non coinvolgerlo di più nello sviluppo? L’olandese, dall’alto di una maggior qualità tecnica, sceglie meglio quando passare e quando invece tenere palla. Non solo recapiterebbe palloni più puliti ai compagni, ma, partendo da più dietro, potrebbe anche approfittare dei corridoi liberi per condurre e disordinare gli avversari. Senza la qualità delle mezzali, con Loftus-Cheek infortunato e con Reijnders lontano dal cuore della manovra, diventa meno sostenibile la scelta di Krunic regista. Detto che, se Bennacer fosse disponibile, sarebbe lui a occuparsi dell’uscita della palla, perché non dare da subito più minuti ad Adli? L’ex Bordeaux, come qualità puramente difensive, è inferiore a Krunic. Tuttavia, con lui in campo si potrebbe pensare ad un possesso più ragionato che possa nasconderne i limiti. Adli non solo è migliore di Krunic sotto pressione, ma la sua palette di passaggi è ben più variegata di quella del bosniaco, che non sa gestire i tempi attraverso la distribuzione di palla. Se il Milan, con Adli, riuscisse a costruire in maniera più ordinata, la squadra sarebbe più corta, l’algerino avrebbe meno campo da coprire e le sue lacune sarebbero meno esposte. La questione Leão Le difficoltà nella manovra hanno condizionato in negativo anche il gioco di Leão. Negli ultimi tempi, sempre più spesso al Milan non resta che rifugiarsi tra i piedi del portoghese largo a sinistra. Da tre anni, ormai, nessuno in Italia si azzarda più a mettere in discussione Leão. Nelle scorse settimane, però, il suo rendimento è stato insufficiente. Qualcuno gli rimprovera i pochi gol, ma i numeri sotto porta sono solo una piccola parte del problema. L’impressione, a volte, è che Leão venga escluso da qualsiasi meccanismo di squadra: l’ala rossonera costituisce quasi un sistema a parte, sempre più isolato sulla sinistra e chiamato da solo a risolvere i problemi del collettivo. L’assenza di Theo nelle ultime gare non ha fatto che peggiorare questa sensazione. C’è un dato che di per sé potrebbe sembrare poco significativo, ma che in realtà è un indicatore delle sue difficoltà. Secondo WhoScored, il portoghese non ha mai crossato così tanto come in questa stagione: in totale, in Serie A tenta 4,4 cross ogni 90’, ben più dei 2,6 del 2022/23 e dei 2,1 del 2021/22, l’anno dello scudetto. Il fondamentale peggiore del repertorio di Leão sono proprio i cross: se un giocatore a disagio nel mettere la palla in mezzo si trova ad aumentare così tanto la mole dei suoi traversoni, evidentemente c’è qualcosa che non va. Leão non vorrebbe mai crossare, almeno non con la palla alta. Tuttavia, si ritrova sempre più spesso a ricevere senza nessun aiuto, senza nessun compagno con cui triangolare o senza nessuno che gli porti via l’uomo. Tante volte capita di vederlo raddoppiato o triplicato quasi coi piedi in fascia, mentre i suoi compagni aspettano fermi in area che accada qualcosa. Così, il portoghese, che non può sempre passare attraverso i corpi, si vede costretto a crossare senza nessun esito positivo vista la sua scarsa qualità balistica.

Leão totalmente solo a sinistra, senza nessun aiuto. Florenzi lo osserva una ventina di metri più indietro, quattro milanisti aspettano il cross

Basterebbe davvero poco per riaccendere Leão: un giocatore così autosufficiente a livello tecnico e fisico non ha bisogno di ricezioni particolari per brillare, tant’è vero che a volte gli basta semplicemente abbassarsi per ricevere, girarsi e far ripiegare in maniera disperata gli avversari. Con un po’ di supporto in più a sinistra, o con una manovra meno statica e capace di smuovere gli avversari, eviterebbe di dover ricorrere ai cross con questa frequenza. Certo, lui non è privo di difetti e dovrebbe lavorare per migliorarli. Le migliori ali sinistre del mondo, Mbappé e Vinicius, ai dribbling abbinano l’ossessione per il gol, testimoniata dalla qualità delle loro conclusioni e dalla ricerca della profondità senza palla. Leão, invece, non ha un tiro all’altezza del suo talento, una lacuna che rappresenta il vero gap rispetto ai migliori al mondo. In più, senza palla non attacca mai lo spazio dietro la difesa: uno con quella velocità con i tagli potrebbe diventare letale. Invece, ad eccezione del gol nel derby perso 5-1, non si ha memoria di movimenti profondi di Leão. Anche qui, Pioli e il suo staff sembrerebbero essersi adagiati sulle qualità attuali di Leão, senza aiutarlo ad aggiungere altro al suo repertorio. Il tecnico aveva saputo mettere il portoghese nelle condizioni di fare la differenza in ogni partita. A ventiquattro anni, però, sarebbe il momento di un ulteriore salto, a livello tecnico: perché non fargli esplorare nuovi movimenti? Non c’è possibilità di aiutarlo a migliorare le sue doti balistiche? La gestione della rosa In una situazione come quella del Milan, con tanti volti nuovi in rosa e in società, rimane difficile distribuire le responsabilità di un periodo così complicato. Per qualcuno, come scritto sopra, il mercato non sarebbe stato all’altezza e Pioli non avrebbe a disposizione un organico adeguato. Detto che discutere del valore assoluto dei calciatori senza considerare il contesto non è un esercizio molto utile (e comunque, due giocatori capaci di fare la differenza in Champions come Pulisic e Chukwueze e un prospetto come Okafor difficilmente si possono considerare di livello più basso rispetto a Brahim, Messias e Saelemaekers), Pioli sembra troppo conservativo nella gestione dei nuovi elementi. Quando arrivò a Milanello, trovò una squadra in cui non si sapeva se a sinistra il titolare fosse Ricardo Rodriguez o Theo Hernandez, in cui Bennacer era riserva di Biglia, in cui Rebic e Leão, nel migliore dei casi, disputavano scampoli di partita e in cui il leader tecnico era ancora Suso. Dov’è finito quel coraggio nell’innestare soluzioni nuove nella formazione iniziale? È ciò che ci si dovrebbe aspettare da un allenatore che, in carriera, non si è mai fatto problemi a gestire rose poco esperte. Si potrebbe analizzare la situazione giocatore per giocatore e discutere le motivazioni di certe scelte. Perché, ad esempio, non si prova a costruire un attacco con Okafor punta come si fece, seppur per poco tempo, con Rebic? Davvero si può solo giocare con centravanti che fanno a spallate con i difensori come Giroud o Taremi (cercato in estate come sostituto del francese)? Parte dei problemi del Milan nasce proprio perché si abusa del gioco spalle alla porta di Giroud e gli si recapitano un’infinità di palloni, spesso scomodi, pensando che possa vincere qualsiasi duello con i difensori. Che dire, poi, di Chukwueze? Un dribblatore ha bisogno di conoscere compagni e avversari, di sperimentare e soprattutto di sbagliare. Giocatori veloci e abili in uno contro uno come il nigeriano hanno dimostrato di poter fare la differenza in Serie A: con un calendario così congestionato, prima che si infortunasse, davvero non gli si potevano concedere più minuti? Alla gestione dei nuovi arrivi, nelle ultime gare si sono aggiunte anche le scelte di formazione e nelle sostituzioni. Se in Champions la predilezione per Pobega può trovare parziale giustificazione nella necessità di alzare il livello atletico (e anche in quel caso, non si potrebbe migliorare la fase difensiva a livello collettivo invece di affidarsi troppo ai singoli?), come spiegare la scelta di inserire Romero nel secondo tempo di Napoli? Contro l’Udinese, perché lanciare titolare Jovic, apparso fuori condizione in questa prima parte di campionato e oltretutto arrivato solo in prestito, invece di puntare su Okafor, che a Salisburgo ha dato il meglio proprio in un attacco a due punte ed è un asset del Milan? Cosa c’è dopo il PSG? Sono tanti i quesiti nella testa dei tifosi rossoneri e al di là delle posizioni più estreme, sarebbe triste la prospettiva di non riuscire a superare le difficoltà insieme a un allenatore che rimarrà per sempre nel cuore dei milanisti. Prendere decisioni drastiche a stagione in corso, d’altra parte, non è facile. L’eventuale sostituzione di un allenatore come Pioli va ponderata molto bene, anche perché pensare di affidarsi a un traghettatore già a novembre saprebbe di tradimento per le speranze dei tifosi. E quali sono i nomi, anche solo per un traghettatore? Di certo, il Milan dovrà trasformarsi per tornare competitivo. Pioli deve escogitare qualcosa di diverso se vuole sopravvivere e deve cambiare qualcosa anche intorno a lui: a partire dalla gestione atletica dei calciatori, visto che non è normale che una squadra d’élite sia ormai da due anni preda di così tanti infortuni. Stasera il Milan si gioca una fetta importante della propria annata. La Champions può dare un senso anche alle stagioni più travagliate. Una grande prestazione contro il Paris Saint-Germain potrebbe rilanciare la leadership di Pioli. Per una squadra che, però, realisticamente non è una contender per la vittoria del torneo, sarà importante soprattutto trovare continuità in campionato. Lo scorso anno, nonostante i buoni risultati in Champions, il rendimento dei rossoneri in Serie A rimase mediocre. Arrivati a questo punto, forse, neanche una buona prestazione contro il PSG potrebbe dare indicazioni attendibili sullo stato di salute del Milan.

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