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Fabio Barcellona
Il Porto ha messo a nudo le contraddizioni della Juventus
18 feb 2021
18 feb 2021
A Conceição è bastato poco per mettere in crisi i bianconeri.
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Fabio Barcellona
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È fin troppo facile oggi dire che nella partita di ieri contro il Porto ha funzionato davvero molto poco nella Juventus di Pirlo. I bianconeri hanno collezionato errori individuali e errori collettivi in occasione dei gol subiti. La gestione tattica della partita è stata inefficace, l’intensità insufficiente e le prestazioni dei giocatori mediocri. In questo modo, il caldo vento di libeccio che ieri sera soffiava su Porto e sullo stadio Do Dragão stava portando via con sé i sogni europei della Juventus un'altra volta, se non fosse stato per il gol di Chiesa a otto minuti dal termine, che per lo meno ha cambiato le prospettive bianconere per la gara di ritorno. Al netto della prestazione insufficiente, adesso la Juventus può almeno aggrapparsi alla speranza di fare meglio della scorsa stagione e giungere ai quarti di finale di Champions League. Ma senza capire cosa non ha funzionato nella prestazione, difficilmente i bianconeri potranno trasformare la speranza in realtà. E ieri qualcosa si è inceppato fin da subito. 


 

Le difficoltà contro il pressing del Porto


Il gol segnato dall’attaccante iraniano Mehdi Taremi dopo soli 61 secondi di gioco racchiude in sé parecchi dei temi tecnici e tattici della partita: i blitz in pressing del Porto, le difficoltà della Juventus a gestire la pressione alta avversaria e gli errori individuali. L’azione nasce da una palla recuperata dalla Juventus in mezzo al campo e da Rabiot che preferisce un passaggio indietro di testa verso Chiellini a un più coraggioso e tutto sommato semplice controllo del pallone. Il passaggio di Rabiot non è particolarmente preciso e costringe Chiellini a correre guardando la propria porta. È la situazione ideale per innescare il pressing progettato da Sergio Conceição che alza i suoi uomini in pressione individuale sugli avversari solo quando la gestione del possesso avversaria è difficoltosa.


 

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Il passaggio impreciso di Rabiot a Chiellini costringe il difensore a correre all’indietro e innesca il pressing del Porto.


 

Il pallone passa da Chiellini a Szczesny, che, inizialmente, orienta lo stop del pallone verso destra, preparando un giro palla verso Danilo.


 


 

In maniera più ambiziosa però il portiere polacco rinuncia all’apertura verso il terzino destro, torna verso il centro del campo e, cercando di non assecondare la pressione avversaria, serve in mezzo Bentancur che si muove in appoggio venendo incontro al pallone. Probabilmente è già questo il primo errore di Szczesny, che guardando senza pressione l’intero campo da gioco, serve il compagno in una situazione complicata senza immaginare i successivi sviluppi dell’azione, oggettivamente complessi vista la disposizione dei giocatori bianconeri. Prima di ricevere, Bentancur gira per ben due volte la testa per controllare la pressione alle sue spalle di Sergio Oliveira.


 


 

Con le spalle alla porta avversaria Bentancur non ha nessuna opzione di passaggio facile perché tutta la linea difensiva è schiacciata sulla linea di fondo e ben pressata dai giocatori portoghesi. E, in una situazione così complessa da gestire, sono emersi tutti i limiti nella lettura e nella gestione della pressione non solo di Bentancur, ma anche dello stesso Szczesny. Con i compagni indisponibili e mal piazzati, le soluzioni per resistere alla pressione avrebbero dovuto comprendere in prima persona lo stesso Bentancur e, in alternativa, il portiere bianconero.


 

Uno dei principi che permettono alla costruzione bassa di essere efficace e di creare gli spazi che si prefigge di ottenere è quello di accettare la pressione avversaria, anzi, addirittura di desiderarla e invitarla per poi attaccarla alle spalle. Fondamentale in questo senso è il momento in cui liberarsi del pallone, che deve essere sincronizzato in maniera inversa alla pressione avversaria. Se tenere troppo il pallone può generare palle perse, liberarsene troppo presto, senza avere attirato fino in fondo la pressione, non permette di utilizzare efficacemente a proprio vantaggio il pressing avversario. Il concetto che sta alla base del principio di “condurre per attirare” vale anche per le complesse gestioni del pallone spalle alla porta. Al di là di quello più evidente sulla direzione del passaggio verso Szczesny, il primo errore di Bentancur è forse più profondo e concettuale, e in parte spiega non solo l’errore successivo ma anche gli imbarazzi già dimostrati in passato dall’uruguaiano in zone arretrate di campo.


 

Bentancur, sostanzialmente, vuole solo allontanare da sé la pressione, senza gestirla e utilizzarla a proprio vantaggio. Il suo primo pensiero è quello di sfuggirle, cedendo prima possibile il pallone, col risultato, nel migliore dei casi, di non ottenere alcun vantaggio dalla propria ricezione. Nella situazione del gol, poi, Bentancur fugge dalla pressione correndo troppo velocemente all’indietro, peggiorando così il possibile angolo e la distanza di passaggio verso Szczesny cercando immediatamente di servirlo senza provare a gestire con il pallone la sua distanza da Sergio Oliveira. Troppo preoccupato di ciò che accade alle sue spalle, non si accorge che alla sua sinistra Taremi può contendere il pallone che ha servito a Szczesny sul piede destro, nell’incauta intenzione di permettere al proprio portiere di giocare con il piede forte.


 

Anche Szczesny, come detto, ha le sue responsabilità. Dopo avere servito Bentancur in una situazione complessa, il portiere polacco infatti non prova in alcuna maniera a trarre vantaggio dal fatto di essere l’unico possibile ricevente inizialmente libero dalla marcatura avversaria. Dopo la trasmissione del pallone verso Bentancur l’atteggiamento del portiere è troppo passivo: non rende il passaggio dell’uruguaiano più sicuro muovendosi verso la propria sinistra e, anzi, si schiaccia verso la linea di porta favorendo in un certo senso l’errore di Bentancur. 


 


 

L’azione, che è costata alla Juventus il gol dello svantaggio iniziale e ha indirizzato sia tatticamente che emotivamente il match, non è però certo stata isolata. Per tutta la partita, e in particolare nel primo tempo, i bianconeri hanno sofferto le mirate occasioni in cui strategicamente e in maniera intelligente il Porto ha alzato il pressing mettendo a nudo le difficoltà in costruzione bassa degli uomini di Pirlo. Bentancur, dopo quello sanguinosissimo che è costato il gol del primo vantaggio del Porto, ha perso altri 5  palloni nella propria metà campo.


 

L’attacco posizionale


Quando non alzava il pressing, o quando il pressing non andava a buon fine, il Porto si è difeso posizionalmente con due linee da quattro uomini molto strette e molto alte sul campo. Difensivamente sono stati importanti anche i due attaccanti, Marega e Taremi, infaticabili nella loro applicazione in fase di non possesso. I lusitani hanno compresso il campo verticalmente tenendo vicine le due linee e protetto il centro tenendo particolarmente ridotte le distanze tra i giocatori dei reparti. Inoltre Sergio Conceição ha predisposto alcuni accorgimenti specifici sulla costruzione del gioco della Juventus che hanno mirato, con successo, a rendere meno fluida la circolazione del pallone per i bianconeri.


 

L’allenatore portoghese ha concesso libertà in fase di impostazione a Giorgio Chiellini, individuato come l’anello debole della costruzione del gioco bianconero, concentrandosi sul controllo di Rabiot, il centrocampista che più frequentemente si abbassava sulla linea dei centrali o che riceveva il pallone dalla difesa, attraverso Marega. L’attaccante maliano si è incessantemente focalizzato sulla posizione del centrocampista francese, marcandolo quando il francese ha provato a ricevere basso e schermandone la ricezione quando è rimasto più alto per ricevere il passaggio dei difensori, non disdegnando anche di seguirlo profondamente all’interno della propria metà campo. La mossa di Conceição ha avuto successo mettendo in imbarazzo Chiellini in fase di impostazione, che ha sbagliato 3 dei 4 lanci giocati nei suoi 35 minuti di partita prima dell'infortunio, e rendendo meno fluida l’impostazione del gioco della Juventus contro il blocco compatto del Porto.


 

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Nella prima immagine Rabiot si abbassa tra De Ligt e Chiellini. Il Porto controlla De Ligt con Taremi e marca Rabiot con Marega lasciando libero di ricevere Chiellini. Nella seconda si nota Marega che si disinteressa della conduzione di Chiellini per controllare Rabiot in mezzo.


 

Contro il 4-4-2 difensivo degli avversari l’idea di Pirlo è stata quella di costruire con tre giocatori sulla linea arretrata e due centrocampisti in appoggio. La linea arretrata era quindi costituita dai due centrali, a cui si aggiungeva o Danilo, che rimaneva ancorato alla difesa, oppure da Rabiot, che si abbassava sulla linea dei difensori. La volontà di Pirlo di garantirsi la superiorità numerica in fase di costruzione, con tre uomini contro le due punte del Porto, si è scontrata però con l’idea di Conceição di concedergliela, lasciando libero Chiellini di ricevere. I problemi della Juventus, però, non si sono limitati solamente alle difficoltà di circolazione efficace del pallone tra i componenti della linea arretrata e non si sono certo risolti con la sostituzione di Chiellini con Demiral.


 

Nell’intervista post-partita Andrea Pirlo ha dichiarato che, prevedendo il blocco compatto e la protezione del centro del campo del Porto, l’idea per scardinare la difesa di Conceição era quella di giungere velocemente sugli esterni passando da una fascia all’altra del campo e di attaccare successivamente lo spazio alle spalle dei terzini portoghesi, soprattutto con McKennie e Kulusevski. Per rendere efficace questa strategia, però, i bianconeri avrebbero avuto bisogno di muovere velocemente il pallone, spostando velocemente il fronte del gioco da destra a sinistra, oppure, senza dare il tempo al blocco avversario di muoversi compatto, giungere velocemente sull’esterno e sfruttare quindi gli sbilanciamenti ottenuti mediante il movimento del pallone.


 

La circolazione del pallone della Juventus, però, è stata sempre troppo lenta per creare scompensi alla struttura difensiva avversaria e la strategia è fallita, sia per motivi tecnici che tattici. Troppi giocatori bianconeri, compresi Ronaldo e Kulusevski, non sono stati in grado di giocare con velocità e brillantezza tecnica il pallone negli spazi intasati della difesa portoghese e contro l’aggressività dei giocatori di Conceição. In aggiunta, il movimento senza palla - necessario a muovere la difesa portoghese e dilatare gli spazi per allentare la pressione e rendere più agevole la circolazione del pallone – è stato scadente sia qualitativamente che quantitativamente. Ronaldo e Kulusevski, per caratteristiche, non amano attaccare la profondità con movimenti funzionali ad abbassare la difesa e utili ad ampliare le distanze tra le linee avversarie. Al contempo Chiesa da un lato e, soprattutto, Alex Sandro dall’altro, non hanno compensato i movimenti verso il pallone delle due punte con corse profonde funzionali, anch’esse, a stirare in verticale il blocco difensivo del Porto. Il pallone è quindi giunto sull’esterno con troppa lentezza o con lanci lunghi dalla propria metà campo, spesso imprecisi, in situazioni che hanno consentito al Porto di scivolare orizzontalmente chiudendo ogni possibile varco.


 


Una delle poche occasioni in cui la Juve si è mossa in maniera efficace per mettere in difficoltà il blocco difensivo del Porto. Kulusevski si muove verso Rabiot attirando il terzino Zaidu Sanusi e lo spazio liberato è attaccato da Chiesa che riceve il bel filtrante del francese in profondità.


 

Non è certo un caso che la Juventus abbia migliorato l’efficacia della propria fase offensiva dopo l’ingresso di Morata che con i suoi movimenti ad attaccare la linea difensiva del Porto è riuscito sia a ricevere il pallone facendo correre all’indietro i centrali di Conceição che a creare spazi per facilitare la circolazione del pallone ai compagni. Anche il gol di Chiesa, che ha riaperto le speranze di qualificazione ai bianconeri, è nato da un movimento profondo di Rabiot alle spalle del terzino destro Manafà, indeciso se seguire il movimento del francese o chiudere esternamente su Ronaldo.


 


 

L’aspetto mentale


Dopo la partita, per via dei paragoni con gli ultimi ottavi di finale di Champions League giocati e persi dalla Juventus contro Atletico Madrid e Lione, si è parlato molto di un problema mentale per spiegare la sconfitta. Effettivamente, anche se da fuori è difficile giudicare un aspetto così intangibile come quello psicologico, i gol subiti nei primi secondi dei due tempi di gioco forniscono un indizio piuttosto consistente sulla concentrazione e sulla determinazione con cui i bianconeri sono scesi in campo. Di certo, il gol subito dopo soli 19 secondi del secondo tempo, non sembra essere un indicatore di una squadra sicura di ciò che deve fare in campo e determinata a prevalere sugli avversari.


 

Il gol di Marega nasce direttamente dal calcio d’inizio del secondo tempo giocato dal Porto, una situazione statica in teoria facilmente leggibile. Come fanno molte altre squadre, anche il Porto ha spostato molti giocatori forti nei duelli aerei (nel caso specifico Marega e Pepe) sulla fascia destra del campo, rendendo evidente l’intenzione di lanciare lungo da quel lato del campo.


 



 

Nonostante ciò, la Juventus non è riuscita a riconquistare la seconda palla, come del resto ha fatto per quasi tutta la partita, e si è ritrovata sulla propria mediana in inferiorità numerica contro i giocatori del Porto. I due interni, Bentancur e Rabiot non hanno capito in anticipo la zona pericolosa da difendere correndo all’indietro e Demiral ha consegnato Taremi a Danilo troppo in ritardo per chiudere su Marega.


 

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I gol subiti all’inizio dei due tempi di gioco, il ritardo sulle seconde palle, i tanti contrasti persi e l’indolenza nei movimenti senza palla sono tutti indizi di una squadra poco intensa e impreparata ad affrontare al pieno delle sue possibilità un ottavo di finale di Champions League.


 

Giunta al momento cruciale della stagione la Juventus di Andrea Pirlo ha fornito una delle peggiori prestazioni della stagione. Il Porto è stato abile ad approfittare dei difetti della Juventus, emersi inequivocabilmente in tutta la loro evidenza proprio nell’occasione fino ad oggi più importante. Le difficoltà in costruzione bassa contro il pressing avversario, gli imbarazzi ad attaccare le difese schierate, i black-out difensivi e la carenza di intensità sono problemi che periodicamente emergono ma che si sperava che, arrivati a febbraio inoltrato nella fase più importante della stagione, sarebbero stati risolti. Per questa ragione, forse allora è necessario mettere in discussione ed analizzare l’intero progetto di Pirlo sulla Juventus.


 

I principi della costruzione dal basso che il nuovo tecnico bianconero sembra ricercare con insistenza non sembrano ancora essere interiorizzati dalla squadra e i frequenti errori di Bentancur sono solo lo specchio di una fase di gioco non pienamente compresa e gestita. L’incapacità di muovere e disordinare i blocchi difensivi avversari dipende sia dalle difficoltà tecniche di molti calciatori della Juventus a palleggiare con brillantezza tecnica e rapidità in spazi ridotti, sia da movimenti senza palla inefficaci a dilatare ed attaccare gli spazi. Contro il Porto, Rabiot, Bentancur e McKennie, ma anche gli stessi Cristiano Ronaldo e Kulusevski hanno balbettato tecnicamente in mezzo al traffico della difesa portoghese. In assenza di Morata, un giocatore in grado di muovere la linea arretrata avversaria, l’utilizzo di due attaccanti che amano venire a palleggiare, ma che non sono brillanti in spazi ridotti, non rappresenta un porto sicuro per la manovra. Se i loro movimenti non sono compensati da tracce profonde dei centrocampisti e degli esterni, infatti, il possesso della Juventus diventa faticoso e stagnante, inadatto persino a penetrare una squadra compatta ma non certa irresistibile come il Porto. Ovviamente su questo pesa anche l’assenza di Bonucci, Arthur, Cuadrado e Dybala, tutti giocatori in grado di palleggiare e più agio di altri a far circolare il pallone in spazi ridotti e a resistere alla pressione avversaria.


 

Ma la prestazione impalpabile della Juventus di ieri non dipende solo dalle assenze e ha radici più profonde. La qualità del gioco dei bianconeri non tornerà magicamente una volta tornati gli infortunati, ma passerà inevitabilmente dalla capacità di Pirlo di affrontare e risolvere le contraddizioni tattiche della sua Juventus.


 

 

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