Il tipo di calcio che pratica Daniel Podence lo si può inquadrare già dalla sua struttura fisica. Bassino, compatto, con dei quadricipiti abnormi e i capelli rasati che sembrano renderlo più aerodinamico quando passa in mezzo agli avversari. Podence è l’ennesima ala/mezzapunta portoghese col dono del dribbling nello stretto, e per i tratti somatici elencati, come notano anche Gary Neville e The Athletic, sembra il “mini me” di Eden Hazard (non si direbbe, ma lui è alto un metro e sessantacinque e il belga gli rende ben dieci centimetri): gli somiglia persino nella barbetta sotto il mento.
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Never skip leg day.
Podence si è infortunato a inizio gennaio, un problema muscolare che lo terrà fuori verosimilmente fino alla fine del mese. Ma prima, a dicembre, si era preso la ribalta, soprattutto dopo una grande prestazione contro il Chelsea. Il suo Wolverhampton ha vinto 2-1 e lui ha segnato il gol del pari calciando quasi da fermo, dopo una finta di tiro talmente credibile da lasciare Reece James stordito coi piedi piantati per terra. Soprattutto, della sua partita ha circolato un video di pochi secondi in cui prende per fessi sia Kai Havertz che lo spettatore: Podence si ritrova spalle alla porta sulla linea laterale, col tedesco dietro. Mette la suola sulla palla e sembra volerla accompagnare all’indietro; invece all’improvviso, mentre la fa scorrere sotto il piede, con l’esterno la indirizza in avanti, verso la porta avversaria. Sembra uno di quei trick che uscivano un po’ a caso muovendo la levetta destra del joystick nei FIFA di dieci anni fa. Havertz sta già facendo un balzello in avanti quando gira la testa per osservare il portoghese che gli scappa via.
https://twitter.com/Wolves/status/1339250937483948032
La skill sopracitata è la prima giocata del video. Il povero Havertz si è beccato pure un tunnel in mezzo al campo: la rivincita di Podence contro il mercato mainstream.
Podence si sta affermando nel campionato più popolare al mondo, ma la sua carriera è stata tutt’altro che lineare: lo dimostra il fatto che stia diventando un nome noto solo a venticinque anni. Figlio delle giovanili dello Sporting, si impone come titolare in prima squadra nel 2017/18, dopo un prestito al Moreirense e l’esperienza dell’Europeo Under-21. Jorge Jesus, suo allenatore a Lisbona, azzarda un altro paragone eccellente: «Quando mi ha conosciuto, ancora ai tempi della squadra B, avevo già giocato da seconda punta per sua indicazione. Ha iniziato da subito a chiamarmi “Saviola”. “Saviola questo, Saviola quello…”. Con le dovute differenze, gli somigliavo, per i movimenti, per il modo di giocare, ed è stato allora che ha iniziato a schierarmi da seconda punta […]. Se lui (Saviola) era riuscito a giocare in quel modo, in quella posizione, probabilmente ci sarei riuscito anch’io, credo sia per questo che ha deciso di farmi giocare lì».
Come molti altri suoi compagni, tra cui Rui Patrício, anche lui adesso ai Wolves, Podence ha abbandonato lo Sporting nell’estate del 2018, a seguito di un’aggressione dei tifosi al centro d’allenamento della squadra, colpevole di aver mancato la qualificazione in Champions. «Se perdi o pareggi hai paura a tornare a casa e di camminare per strada, è difficile vivere in un mondo così», ricorda a proposito di quell’esperienza, che al suo compagno Bas Dost era costata qualche punto di sutura alla testa. Così Podence fa le valigie e si trasferisce all’Olympiakos, l’altra grande enclave portoghese in Europa insieme al Wolverhampton. In Grecia è un giocatore fuori scala, ma disputa ottime partite anche in Europa, una in particolare nella fase a gironi di Champions contro il Tottenham. Lo scorso gennaio, quindi, arriva la chiamata dall’Inghilterra, dove finalmente intorno a Podence cresce un hype all’altezza del suo talento.
I fianchi e i piedi di Podence
La sterzata da trickster contro il Chelsea è sicuramente indicativa di alcune peculiarità del repertorio del portoghese, come la rapidità e la tecnica nello stretto. Tuttavia, non è assolutamente il tipo di giocata che lo definisce. Podence è un dribblomane, ma non è mai troppo artistico nell’uno contro uno: niente doppi passi, poca suola, solo tanti tocchi piccoli ed essenziali e movimenti bruschi col bacino. Se volessimo dividere l’universo dei dribblatori in due scuole di pensiero con due capofila diversi, quella minimalista votata all’efficienza di Messi e quella barocca e lasciva di Neymar, l’ex Sporting farebbe decisamente parte della prima (anche se, in maniera sporadica, si concede tunnel e soluzioni creative, specie vicino la linea laterale).
Il portoghese vive in funzione del dribbling, rappresenta un tipo di giocatore raro e prezioso in un calcio sempre più maniacale nel togliere respiro agli avversari. Non ha bisogno, infatti, di condizioni particolari per saltare l’uomo: non è di quelli che devono aspettare aperti in fascia perché non sanno ricevere tra le linee, non è di quelli che necessitano di spazi ampi per dispiegarsi in velocità e non è nemmeno di quelli che hanno bisogno di difensori impulsivi che mettano la gamba. Niente di tutto questo, Podence può saltare l’uomo in ogni situazione, è il suo talento innato per il dribbling a forgiare il contesto, in un calcio in cui spesso è il contesto a dover mettere a proprio agio chi è incaricato di creare vantaggi per la squadra. In Premier, secondo Whoscored, tra i calciatori con almeno seicento minuti disputati (circa la metà delle partite, cioè) è settimo per dribbling riusciti ogni 90’ (2,8; ne sbaglia solo 1,3); nessuno di quelli che lo precedono nella graduatoria (Adama Traoré, Zambo Anguissa, Lookman, Richarlison, Grealish e Iwobi) sa avvalersi del dribbling in situazioni tanto diverse come fa lui.
Il suo fisico, d’altronde, sembra scolpito su misura per giocare in questo modo. Podence è un congegno di tecnica nello stretto ed esplosività dei fianchi difficile da arginare per qualunque difensore. La caratteristica più importante dei suoi dribbling, insieme alla frequenza di tocco, è infatti la rapidità con cui il bacino spezza la corsa o accompagna uno stop orientato. Spalle alla porta, ad esempio, se il marcatore lo costringe ad arretrare, usa il baricentro basso per ingannarlo e voltarsi: Podence finta di sterzare in una direzione, il difensore sposta il peso per seguirlo, poi lui dal nulla muove il bacino e il pallone verso il lato opposto e si gira fronte alla porta: nel breve le gambe del difensore non rispondono mai alla stessa velocità dei suoi fianchi.
Il sistema di Nuno Espirito Santo, sia quando parte da mezzapunta sinistra del 3-4-2-1 sia quando invece è il trequartista centrale del 4-2-3-1, gli concede carta bianca sugli spazi e le corsie da occupare, tanto lui il modo di generare vantaggi col dribbling lo trova comunque. Sulla destra, a piede naturale, scopre la palla e spinge il difensore all’intervento per saltarlo anche da fermo. Nella ricezione a sinistra, invece, già orientato verso la porta, il suo obiettivo è convergere sul destro. Se il difensore è frenetico, magari perché aiutato da un compagno in raddoppio, e affonda subito il tackle, i suoi tempi di reazione sono più affilati e saltarlo verso l’interno diventa un gioco da ragazzi. Se invece il marcatore temporeggia, gli si avvicina e minaccia più volte il cambio di direzione – anche senza toccare la palla – per immobilizzarlo sulle gambe o per mandarlo fuori equilibrio. A parità di tempo, il numero di sterzate che Podence può imprimere è sempre superiore al numero di volte in cui il difensore riesce ad aggiustare la posizione: se isolato, prima o poi l’avversario perde il tempo di reazione e si fa saltare. È il modo in cui preferisce costruirsi il tiro o il cross e in questo somiglia davvero ad Hazard.
Un’altra fase di gioco in cui la sua superiorità sul corto diventa evidente è la ricezione tra le linee nel mezzo spazio di sinistra. Anche senza eseguire un dribbling, è sbalorditiva la velocità con cui, nell’arco di un controllo orientato, passa da uno stop spalle alla porta a una conduzione frontale. Podence ruota veloce come la punta di un trapano, per questo non perde mai il vantaggio posizionale nei confronti del centrocampista che corre all’indietro per tamponarlo. Per quanto il mediano rientri veloce, il controllo orientato di Podence, che riceve alle sue spalle, è così fulmineo e preciso da non dargli mai occasione di ritornare sulla palla. Inoltre, se il marcatore lo insidia alle spalle durante la conduzione, i muscoli dei suoi quadricipiti incassano bene i colpi e lo aiutano a coprire la palla, mentre il destro, sensibile alle intenzioni dell’avversario, aggiusta la posizione della sfera per prevenire i tackle da dietro.
Podence e l’intensità della Premier
Il contributo più utile di Podence per Nuno Espírito Santo, però, non sono sempre gli uno contro uno che creano un tiro o eliminano un avversario nell’ultimo terzo di campo. Tra i dribbling più redditizi del portoghese, infatti, ci sono quelli nella propria trequarti che ripuliscono palloni sporchi, magari rimbalzati sui suoi piedi dopo una disputa aerea, e che regalano ai Wolves transizioni offensive. In questo senso, Podence è un giocatore perfetto per la Premier League, un campionato ricco di palle contese, senza un proprietario ben definito, che possono trasformarsi da un momento all’altro in ripartenze letali.
Negli ingorghi attorno alle seconde palle, Podence mette ordine al caos proprio perché si adatta meglio degli altri giocatori a spazi e tempi compressi. Capita di frequente nelle partite del Wolverhampton: la sfera cade ai suoi piedi, magari anche in maniera casuale; lui si ritrova circondato dagli avversari e all’inizio non si capisce bene di chi sia la palla. Poi con un dribbling interstiziale se ne appropria definitivamente e regala un possesso pulito ai suoi, che nel migliore dei casi arriva sui piedi di un lanciatore come Rúben Neves e diventa una transizione.
Sono pochi al mondo, non solo in Inghilterra, i giocatori capaci di non perdere il filo nelle mischie che si creano intorno alle seconde palle. Il portoghese non ne esce mai vincitore per caso, è straordinario come riesca a fare economia di ogni centimetro di spazio. Non ci sono momenti di caos della Premier che riescano a travolgere la sua tecnica nello stretto. Podence è come il primo Daniel Pedrosa della 125 e della 250, un talento che aveva trasformato la statura da fantino in un vantaggio competitivo, talmente piccolo e veloce da percorrere angolature non concesse a qualunque persona con un fisico diverso dal suo.
La dimensione di Podence
A questo punto ci si potrebbe chiedere: visto il rapporto così unico con il dribbling, com’è possibile che a venticinque anni Podence ancora non giochi in una grande? Detto che il Wolverhampton è una delle poche squadre di seconda fascia in grado di imbucarsi nella top six della Premier League, e che acquistare giocatori da una squadra inglese di media-alta classifica non è mai troppo economico, credo che l’ex Sporting per il salto di livello abbia bisogno di migliorare nel momento in cui si libera della palla.
Alcune esecuzioni di Podence in fase di rifinitura, infatti, sono interlocutorie. Negli ultimi trenta metri, la precisione dei suoi passaggi diminuisce. Non sembra avere molta confidenza con i filtranti rasoterra dietro la difesa, il tipo di assistenza più redditizio in assoluto per mandare in porta un giocatore che taglia: non li calibra bene sulla corsa del compagno e alcune volte, invece del servizio radente, preferisce alzare un pallonetto in verticale, che però arriva lento al destinatario e consente al difensore di recuperare.
Gli errori più banali, quelli su cui deve lavorare assolutamente per fare il salto di qualità, riguardano le aperture verso la fascia destra, quella verso cui si rivolge partendo da sinistra. Podence cerca sempre con lo sguardo lo scatto dell’esterno o terzino destro (di solito Semedo), è il suo tipo di servizio preferito, ma spesso non dosa bene il lancio. A volte lo indirizza troppo sulla figura e costringe il compagno ad arrestarsi; altre volte, la palla gli esce dal piede troppo in verticale e termina sul fondo.
Detto che una squadra meno verticale gioverebbe al suo decision making e gli permetterebbe di ragionare meglio sulla misura dei suoi passaggi, sgrezzare la fase di rifinitura darebbe tutt’altro senso al suo talento per l’uno contro uno, senza limitarne la produzione post-dribbling a tiri, cross o passaggi corti sul limite dell’area. Pochi giocatori possono disordinare un’intera linea difensiva palla al piede come fa Podence: è un peccato non approfittare in maniera concreta di questa abilità.
Il precedente di Diogo Jota, comunque, passato in estate dai Wolves al Liverpool e già all’altezza di una delle migliori squadre del mondo, lascia ben sperare. Così come, rimanendo tra i calciatori portoghesi, lascia ben sperare il caso di Bruno Fernandes, anche lui esploso tardi nel mercato dei top club. In ogni caso, la vetrina della Premier League è il luogo adatto per un calciatore come Podence: abbandonarlo all’oblio della periferia del calcio europeo era un’ingiustizia inaccettabile.