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Foto di Ronald Martinez/Getty Images
NBA Daniele V. Morrone 11 giugno 2016 6'

Pivotal Game

Gara-4 è stata la partita che ha deciso la serie delle Finali NBA.

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Pivotal game doveva essere e pivotal game alla fine è stata. La posta in palio era altissima e Gara-4 ha veramente risposto alle aspettative di una gara intensa, in grado di darci finalmente un risultato in bilico fino all’ultimo quarto, con cambi di leadership nel punteggio e nella dinamica.

 

Si dice che una serie inizia soltanto quando una squadra vince in trasferta, in questo caso purtroppo non è così perché la vittoria degli Warriors pone il risultato sul 3-1 e chiude praticamente la serie, con due partite su tre in casa ancora da poter sfruttare (se vi state chiedendo quante squadre hanno ribaltato questo punteggio in finale, la risposta è un chiaro 0 nelle precedenti 32 occasioni). Ma almeno abbiamo avuto una partita tirata in una serie che ci aveva abituato ai blowout, che di norma fanno felici soltanto i tifosi della squadra che vince.

 

C’è poco da poter appuntare al piano partita dei Cavs: nonostante il rientro di Love, la squadra è stata nuovamente messa in campo continuando con la strategia di Gara-3, vale a dire tenere Thompson come unico lungo in quintetto, con James interno e tre esterni sul perimetro. Dal punto di vista difensivo questo ha permesso di continuare a cambiare consci di avere comunque giocatori in grado di rimanere davanti all’avversario, di poter raddoppiare sempre Curry con atleti migliori e soprattutto di avere James nella zona di Green ogni volta che viene coinvolto. Mettendo massima energia negli aiuti, la squadra si è dimostrata ancora una volta in grado di tenere botta con l’attacco degli Warriors nel primo tempo.

 

 

 

A tenere in piedi la baracca dal punto di vista offensivo ci hanno poi pensato le due stelle James e Irving. Il lavoro di James nel far girare il pallone a inizio partita è stato encomiabile: consapevole di non poter più arrivare a canestro a piacimento, ha sfruttato la penetrazione per chiamare l’aiuto della difesa degli Warriors e scaricare poi per i compagni (5 assist nel solo primo tempo), mantenendo quindi un attacco non limitato alle conclusioni di Irving. Il numero 2 si è adeguato alla strategia di far muovere la difesa degli Warriors come prima cosa e anche Love, entrato dalla panchina, è sembrato avere un senso in una squadra aggressiva sui due lati del campo e in grado quindi di nascondere il poco dinamismo di Love in difesa, guadagnando sempre una seconda opportunità anche da tiri malamente sbagliati grazie al lavoro di Tristan Thompson a rimbalzo offensivo (5 dei 10 di squadra nel solo primo tempo).

 

 

 

L’esperimento di Love dalla panchina ha funzionato piuttosto bene inizialmente, visti i 7 punti, 3 rimbalzi e 1 stoppata con un +7 di +/- in un primo tempo in cui un’arena infuocata ha aiutato anche Irving a non risparmiarsi in difesa. Se la difesa funziona e la palla gira in attacco, allora anche la presenza di Iman Shumpert trova senso e le rotazioni stesse dei Cavs ne beneficiano. Certo, gli Warriors sono rimasti sempre a contatto, ma la dinamica era totalmente a favore dei Cavs.

 

Kerr non si è però preoccupato dell’inerzia della partita a sfavore, anzi l’ha quasi assecondata chiedendo alla sua squadra di rimanere su ogni contatto, di giocare in modo fisico e di tenere testa all’aggressività dei Cavs anche nell’andare a canestro, come dimostrato dall’approccio diverso alla gara di Thmopson, molto più attratto dal ferro del solito (quattro tiri nei pressi dell’area con sole 3 triple). L’idea di Kerr era quella di provare ad alzare il ritmo della partita e di far vedere ai Cavs di poter tenere ogni contatto ripagando con la stessa moneta.

 

 

 

Kerr non ha cambiato il piano gara nonostante i rimbalzi offensivi di Thompson e il muro che il giocatore dei Cavs è sembrato rappresentare per Curry: il primo canestro di arrivato solo con il cronometro a 3:48 del primo quarto e nonostante abbia chiuso con 8 punti, non è mancata la chiara espressione frustrata dal viso per palle perse e addirittura un airball in quella che sembrava praticamente il preludio alla serie da incubo del 30 fino ad ora.

 

Pur di rimanere con l’idea di giocare piccolo, Kerr ha rispolverato addirittura James Michael McAdoo dal fondo della panchina, un giocatore che fino ad ora aveva giocato un totale di 9 partite (o 19 minuti se preferite) e il cui compito principale è stato quello di continuare il lavoro di Green da 5 mobile tanto in attacco quanto in difesa.

 

 

 

Solo quando è stato troppo tardi per i Cavs si è capito che il piano di Kerr aveva funzionato: nel terzo quarto i Cavs hanno mantenuto un contesto a loro favore e il vantaggio nel punteggio, arrivando anche a costruire un buon vantaggio sul +8. I canestri però sono arrivati contro un difesa sempre più fisica, contro aiuti sempre più veloci e contro mani su ogni linea di passaggio. Anche Curry è sembrato finalmente alzare il suo livello di attenzione sui cambi, ma sono stati soprattuto Iguodala e Green ad alzare ulteriormente il livello difensivo. Qui c’è la chiave della partita: ogni canestro di Cleveland è arrivato dopo non essere in grado di smuovere la difesa degli Warriors, e il doversi adeguare alle nuove richieste del contesto presentato dagli Warriors ha pian piano svuotato il serbatoio delle energie fisiche e mentali di Cleveland.

 

 

Il lavoro di Cleveland si fa sentire con una difesa meno attenta, meno energica a rimbalzo, meno capace di seguire i tagli. La facilità con cui gli Warriors riescono a concludere rende il tutto ancora più grottesco.

 

 

Sembra tutta un’altra partita in cui Cleveland torna in pianta stabile all’ISO-ball per Irving o James ed è costretta a tenere in campo Frye pur di avere un altro giocatore in grado di allargare il campo alle penetrazioni dei due. Questo però implica tenere seduto Thompson e quindi perdita totale del dominio a rimbalzo. I Cavs si sono dovuti sudare ogni singolo punto del secondo quarto, spesso con gli altri quattro compagni fermi a guardare il portatore di palla — un po’ per lasciargli spazio, un po’ perché visibilmente stanchi.

 

 

 

Mentre dall’altra parte l’energia e i movimenti degli Warriors sono rimasti invariati, con la conseguente facilità nel trovare tiri più semplici e permettere a Curry e Thompson di accendersi.

 

.@warriors set #NBAFinals records for 3-pointers made (17) and 3-pointers attempted (36) in a pivotal Game 4 win. pic.twitter.com/DBgWx6GbrQ

— NBA.com/Stats (@nbastats) 11 giugno 2016


Battuto il record di triple segnate in una gara delle Finali con 17.

 

Con tre triple in due minuti gli Splash Brothers hanno eroso il vantaggio di Cleveland nel terzo quarto, prendendo poi il largo nell’ultimo quarto con un parziale di 12-1, e dando la netta impressione di aver finalmente ingranato quella marcia in più che produce triple su triple, la stessa marcia che ha ucciso OKC in Gara-6 e 7 della scorsa serie quando Russ & KD sembravano avere in mano il biglietto per le NBA Finals. Ma non deve essere l’attacco degli Warriors il focus della partita perché è rimasto lo stesso per tutta la partita: certo, Curry ha finalmente ricominciato a segnare da tre, ma ha continuato ad avere problemi ad andare a canestro come in tutta la serie (4/12 da due punti in questa gara, 41% nelle quattro partite). La realtà è che gli Warriors hanno continuato a giocare come volevano fare dall’inizio, solo che la difesa dei Cavs è scesa di livello permettendo canestri più facili, perdendosi molti più i giocatori sui blocchi, soprattuto concedendo tantissimi rimbalzi offensivi (9 nel secondo tempo, con addirittura 3 di Varejao in 4 minuti).

 

 

 

E il motivo per cui è scesa di livello è merito del lavoro difensivo degli Warriors, che nel secondo tempo ha concesso solo 42 punti e 1/9 da tre: Green ha contestato 17 tiri e causato 5 intercetti, Curry ne ha contestati 11, Barnes 10 e Iguodala 8, per un totale di 51 contro soli 30 tiri smarcati. L’attacco di Cleveland è stato limitato ai soli James e Irving (33 dei 38 tiri nel secondo tempo sono loro) invitati a giocare hero ball. Le due stelle hanno chiuso con 25 e 38 punti, ma sono arrivati stremati e non in grado di aiutare poi la squadra in difesa.

 

È apparso evidente ancora una volta come il Death Lineup sia devastante proprio nelle due fasi, perché nessuno ha ancora dimostrato di poter rimanere piccolo per contrastarlo nei finali di partita e reggere al contempo la fisicità di Green, Iggy, Barnes e Thompson e i movimenti senza palla di Curry per tutti quei minuti e soprattutto per una serie intera. Hanno ceduto i Thunder e non potevano non farlo anche i Cavs. La partita l’ha vinta il lavoro difensivo di Green e Iggy quanto le triple di Curry e Thompson. Alla faccia del luogo comune che jump shooting team siano soft.

Tags : cleveland cavaliersFinals 2016golden state warriorslebron james

Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987. Laureando in economia, amante del "calcio di posizione" di Cruijff e Guardiola, segue con attenzione l'evoluzione del calcio asiatico.

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