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NBA Nicolò Ciuppani 12 gennaio 2017 14'

Pietra angolare

Nikola Jokic è il miglior lungo passatore dei prossimi 10 anni di NBA.

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Gioco in post e non solo

 

Fisicamente Jokic parte con due giri di svantaggio rispetto ai rivali: non ha l’esplosività nella parte bassa del corpo per andare via in velocità o saltare sopra qualcuno, né tantomeno ha equilibrio a sufficienza nella zona lombare per sopportare le mischie a rimbalzo, anche se ha una certa tendenza a spingere da dietro che gli frutta numerosi dividendi a rimbalzo offensivo.

 

Nella sopracitata partita contro Team USA si è fatto spostare da Draymond Green in un paio di tagliafuori come se pesasse quanto un gatto. Il problema maggiore però non lo trova contro avversari più grossi o più alti, perché su quelli riesce a trovare vantaggio col movimento dei piedi, ma contro quelli più rapidi e forti fisicamente. Non è un caso che la prima parte della stagione, trascorsa a giocare da 4, sia stata quella con minore produttività: contro gli specimen fisici che giocano in quel ruolo, Jokic ha vita durissima contro quasi tutti, e la sua struttura muscolare è davvero ai primi passi se paragonata a quella degli altri giocatori. Al momento è difficile pensare a un singolo lungo che sia meno forte fisicamente di lui.

 

Nonostante questi svantaggi, però, Jokic è già adesso un attaccante fenomenale in post e vicino a canestro, riuscendo a sfruttare a pieno le sue abilità dal primo giorno in NBA. Per prima cosa c’è l’uso delle mani – anzi, della singola mano destra, perché come detto la sinistra è ancora poco sfruttata.

 

 

Jokic è in grado di afferrare la palla con una mano sola ed è in grado di tirare in gancio o in appoggio senza ricorrere all’altra. Questa capacità “pallanuotistica” (cit. Zach Lowe) risulta estremamente comoda quando, ricevuta la palla con un lob, non ha bisogno di portarla davanti allo stomaco per mantenere il controllo con l’altra, ma può fare un passo e appoggiare al vetro tenendo sempre la palla sopra la testa sua e degli avversari.

 

Per quanto il movimento descritto sembri semplice da eseguire, sono stati veramente pochi che in NBA lo hanno utilizzato con frequenza – che io ricordi solo Duncan, Garnett, Webber e i fratelli Gasol. Jokic è il primo da diverso tempo che ripropone questo controllo sopraelevato della sfera, e lo ha fatto sin da giovanissimo.

 

Un’altra caratteristica che lo premia in attacco è il tocco morbido, il quale più che un vero e proprio vantaggio è diventato uno strumento di sopravvivenza. Come detto non è in nessun modo un saltatore eccezionale, e quest’anno ha tentato solo 9 volte la schiacciata come soluzione.

 

 

Nel video qui sopra notare come con il solo utilizzo del tocco di palla riesca a rubare il rimbalzo a quattro avversari. Un giocatore più atletico ma meno raffinato avrebbe semplicemente saltato di più o spazzato la palla indietro (rischiando magari la rubata e il contropiede avversario).

 

Il tocco morbido viene affiancato a una sapiente gestione del tabellone: in questo modo aumentano gli angoli di tiro possibili, e Jokic è estremamente astuto nel defilarsi lateralmente al difensore più alto di lui per evitare la stoppata.

 

 

L’uso del vetro viene sfruttato anche come modo per sopperire alle mancanza tecniche: Jokic per l’occasione dovrebbe andare in gancio sinistro per evitare il difensore o battere Mbah a Moute in velocità per andare verso il centro dell’area, ma entrambe le cose gli sono estremamente difficili. Jokic allora usa l’angolo del tabellone per tirare in modo automatico anche col difensore incollato.

 

Ma tutti i suoi sforzi risulterebbero vani se non ci fosse un gioco di piedi dello stesso livello. Per paura di venir punite dai suoi passaggi le difese esitano a portargli i raddoppi quando va in post alto, cercando di affidarsi alla marcatura singola del difensore più grosso e seguire i giocatori più dinamici dei Nuggets con i più piccoli. A causa di ciò Nikola ha abbondanza di spazio e di tempo sul cronometro per eseguire movimenti più complessi e trovare l’angolo e la separazione giusta per segnare.

 

 

Quando le opzioni di passaggio sono finite, Jokic riesce a muovere il difensore dal post medio sfruttando le movenze e la rapidità di rotazione sul tallone, specie se abbinata al passo più lungo tipico di quando vuole separarsi dal difensore.

 

L’unica parte del suo gioco offensivo su cui non sembra lavorare minimamente è il suo tiro da 3 punti. La frequenza con cui lo prova è identica all’anno scorso (1.7 per 36 minuti), così come la percentuale di realizzazione (33%). Sembra criminoso che un lungo con una percentuale di realizzazione ai liberi superiore all’80% non stia provando continuamente a migliorarsi ora che giocatori come Marc Gasol e Brook Lopez tirano regolarmente oltre l’arco, ma Jokic continua ad usare il tiro dalla lunga distanza come extrema ratio, quando tutto il resto non ha funzionato e si ritrova lontano dal marcatore. Se il cronometro non è vicino allo scadere l’opzione preferita rimane sempre quella di cercare un entry pass o tutte quelle viste in precedenza.

 

Senza titolo

Questa selezione di tiro gli ha permesso di rimanere attivo solo vicino al ferro, dove non solo è maggiormente efficiente, ma è uno dei primi 15 per True Shooting Percentage. Il tutto, ricordiamolo, senza saltare.

 

 

Fase difensiva

 

C’è una legge non scritta che recita che tanto migliore è un centro in attacco, tanto peggiore esso sarà in difesa – e Jokic sembra non uscire minimamente dal pregiudizio. Al momento concede infatti quasi il 60% al ferro, statistica che lo piazza all’ultimo posto tra i centri e sembra non concedere grosse aspettative per il sviluppo futuro come stoppatore. La contromossa migliore al suo inserimento in quintetto è quella di attaccarlo senza sosta al ferro e costringerlo a uscire per falli, riuscendoci pure facilmente visto che ne totalizza 4.7 per 36 minuti. Non aiuta il fatto che sia un giocatore estremamente emotivo e commetta pure numerosi falli di frustrazione, quasi come se entrasse in una spirale negativa che lo porti ad uscire rapidamente dalla partita – uno dei motivi per cui gioca solo 24 minuti a sera, oltre al dualismo con Jusuf Nurkic.

 

Il problema difensivo potrebbe apparire fisiologico: i giovani centri raramente sono sufficienti nella propria metà campo nei primi anni in NBA e abbiamo già avuto casi di lunghi che sono migliorati enormemente nel corso della carriera. Anche l’aspetto strutturale però non è da escludere: come già detto in precedenza le doti atletiche non sono certamente la specialità della casa, e la sola apertura di braccia di 2 metri e 16 non è sufficiente a intimorire nessuno vicino al ferro (ndr Rudy Gobert tocca quota 2.37 metri, 21 cm oltre quella di Jokic, senza contare la capacità di salto da fermo). Se poi è costretto a cambiare su un piccolo si schiaccia immediatamente il grosso pulsante rosso del panico, perché non può contenere il palleggio dei giocatori più veloci – una mancanza dolorosa in ottica playoff, dove la “switchability” diventa sempre più fondamentale.

 

La speranza è che migliori esattamente come Marc Gasol è migliorato a ridosso dei 30 anni, ma si tratta di un vero e proprio azzardo: al momento Jokic deve lottare per restare presentabile in difesa abbastanza a lungo da non essere immediatamente sostituito per i falli o quando l’attacco non gira, trovandosi così ad essere di solo impiccio per la squadra. Fisicamente i miglioramenti da fare sono ancora enormi: oltre a una necessaria esplosività e mobilità laterale, i Nuggets devono cercare di irrobustirgli la parte inferiore del corpo per evitare di vederlo sballottato e spintonato con noncuranza dagli avversari.

 

C’è da dire a suo favore che Jokic non si risparmia dal punto di vista dell’impegno, quindi il suo non è in nessun caso uno sciopero da un lato del campo per fare meglio dall’altro. Questa dedizione però non viene al momento ripagato da nessun risultato vagamente positivo se si escludono qualche rubata grazie alla velocità delle mani e qualche stoppata occasionale tra i milioni di falli che commette nel provarci.

 

Una cosa che Jokic deve imparare a fare al più presto è leggere in anticipo i movimenti offensivi degli avversari, una cosa che Marc Gasol ha imparato a fare lentamente ma che gli è valsa un premio come difensore dell’anno. Se Jokic spera di sopravvivere in NBA reagendo di istinti sarà mangiato vivo dai pescecani molto più esplosivi di lui, ma la capacità di letture in attacco dovrebbe quantomeno far ben sperare in una traslazione di competenze, seppur parziali, anche in difesa.

 

Per il futuro i Nuggets devono forse provare a nasconderlo assieme a un difensore in aiuto migliore di Wilson Chandler e con delle guardie in grado di contenere più a lungo le penetrazioni avversarie. Ecco: a sua parziale discolpa i suoi numeri sono così terribili anche perché il backcourt dei Nuggets è forse uno dei peggiori nella propria metà campo, senza un singolo giocatore con un Real Defensive Plus Minus vagamente positivo.

 

 

In pratica i giocatori avversari vanno via senza resistenza alla prima linea dei Nuggets e tra loro e il canestro resta solo un 22enne non particolarmente dotato fisicamente e con una spiacevole tendenza a regalare tiri liberi.

 

In ogni caso, da quando i Nuggets hanno scommesso su Jokic i risultati stanno arrivando e, nonostante il record sia ancora negativo, la lotta ai playoff non sembra ancora compromessa. Malone deve continuare a restringere ulteriormente la rotazione dei lunghi a pochi elementi, e il GM D’Alessandro deve provare a piazzare sul mercato i tanti buoni giocatori presenti a roster per trovare giocatori in grado di dare una mano in difesa. Per il futuro Denver dovrà riuscire a valorizzarlo in attacco e a proteggerlo nella propria metà campo, ma la buona notizia è che la pietra angolare è stata finalmente trovata.

 

Le speranze per un sentito ottimismo ci sono tutte: i suoi numeri per 36 minuti sono favolosi – 19 punti, 11.4 rimbalzi e 5.5 assist con quasi una stoppata e un recupero di media -, le percentuali sono irreali per un giocatore così giovane (febbraio 1995) e in generale non ho idea di come possa non piacere vederlo giocare e smazzare passaggi no look per tutto il campo. In attacco la cosa più vicina a lui sembra davvero poter essere Marc Gasol, ma lo spagnolo alla sua età non era nemmeno in NBA. Ovviamente i passi da fare per migliorare e raggiungere i livelli dei migliori in assoluto ci sono e non sono trascurabili, ma i Nuggets hanno un settore scouting tra i migliori per costruire una squadra vincente.

 

Grazie alle basse aspettative Jokic è stato scelto nell’indifferenza di tutti e per i prossimi due anni sarà il giocatore meno pagato a roster. Eppure, a meno di stravolgimenti inaspettati, sarà il miglior giocatore dei Denver Nuggets. Anzi, lo è già.

 

 

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Tags : denver nuggetsnba 2016/17

Nicolò Ciuppani: parla di basket su Ball Don't Lie, ne scrive sul Buzzer Beater Blog e programma analytics per Chartside.

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