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Pezzi di Costa Rica
09 mar 2015
09 mar 2015
I sorprendenti risultati nell'ultima Coppa del Mondo hanno inaugurato una nuova Golden Age per il calcio costaricano. Peccato che non si possa dire lo stesso dei suoi principali interpreti.
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Quando "La Sele", archiviata la magniloquente avventura ai Mondiali di Brasile, ha fatto ritorno in patria, ad attenderla all’aeroporto di San José ha trovato il Presidente della Repubblica e un milione di tifosi.

è un numero spropositato, soprattutto se si considera che in tutto in Costa Rica ci sono quattro milioni di abitanti. L’autobus della squadra, per percorrere il tratto dall’aeroporto al Parque Sabana, che generalmente porta via non più di venti minuti, ha impiegato cinque ore. Cose da mobilitare l’esercito, se solo Costa Rica ne avesse uno.

 

Il ricevimento in pompa magna tributato alla Nazionale aveva tutta l’impressione di essere l’ultima scena del primo episodio di una nuova stagione della serie tv intitolata

. Pochi avrebbero scommesso che si sarebbe trattato, viceversa, dell’inizio della fine.

 



Il primo a varcare la porta dell’aereo è stato l’allenatore Jorge Luis Pinto; poi, a seguire, i giocatori. Anche se nelle foto pubblicate sui social network ogni calciatore—qua, per esempio, un tweet di Keylor Navas—è immortalato come se fosse la sua, la prima immagine apparsa agli occhi della festante folla di ticos.



 

La prima crepa si è aperta solo una manciata di giorni dopo la giubilante rentrée, ovvero quando Pinto—il tecnico artefice dell’exploit mondiale e della scalata al ranking FIFA, nel quale oggi Costa Rica occupa il 13.esimo posto, il punto più alto raggiunto nella sua storia—ha rassegnato le proprie dimissioni.
Quando i tempi saranno maturi perché qualcuno si prenda la briga di fare—come

—un film sull’avventura mondiale di Costa Rica nel 2014, sarà bene che lo sceneggiatore tenga a mente che il vero climax non è stato l’eliminazione dell’Italia o dell’Inghilterra, né la vittoria ai rigori contro la Grecia, ma questo: Pinto che

.

 

«Un anno e mezzo fa un membro del mio staff sembra abbia detto ai vertici federali che con me non si sarebbe mai andati ai Mondiali», ha dichiarato

il 24 Luglio. «Significa che per un anno e mezzo ho dormito con il nemico». «Ho chiesto alla Federazione di smantellare tutto lo staff: non hanno accettato». In

, poco prima di scoppiare a piangere, ha lanciato un’accusa più sibillina ancora: «Che dirà, il nuovo allenatore, di questi assistenti che si troverà in dote?».

 

Poche settimane più tardi la Federazione ha nominato Paulo Wanchope, secondo di Pinto, allenatore ad interim—poi

definitivamente in ottobre. Se tre indizi fanno una prova, il Rasputin contro il quale Pinto lancia le sue accuse potrebbe tranquillamente essere Wanchope, anche se fatico a vederlo come eminenza grigia.

 

Le conseguenze abbastanza prevedibili di un Mondiale giocato come l’ha giocato la Costa Rica in Brasile, per un allenatore entrante, sono principalmente due: la prima è che tutti ora si aspetteranno che la squadra si confermi a livelli altissimi. La seconda è che per un’ottimale gestione dell’eredità è meglio guardarsi bene dalle rivoluzioni lampo.

 

Wanchope ha deciso di fare di testa sua: ha abbandonato il 3-5-2 per passare a un più europeo 4-2-3-1, e con questo modulo si è presentato, già a settembre 2014, al banco di prova della Copa Centroamericana. «Siamo obbligati a vincere il torneo», ha dichiarato

; e infatti l’ha vinto (guadagnandosi di diritto la partecipazione alla Copa América Centenario, che si giocherà nel 2016), per altro

, da invitto e con una squadra piena di giocatori “domestici”, che non hanno fatto rimpiangere le stelle del Mondiale, impegnate—in Europa—a non deludere altri tipi di aspettativa.

 


Dei 23 Ticos presenti al Mondiale in Brasile, la metà meno uno ha cambiato casacca per la nuova stagione. È una dinamica alquanto abituale, che però mi ha fatto tornare in mente una prima pagina del Corriere dello Sport del 1992, che dopo la vittoria a sorpresa della Danimarca all’Europeo—e successiva diaspora dei suoi giocatori migliori—titolò: Danimarket.



 



Keylor Navas, uno dei volti da cartolina del Mondiale, non era propriamente un emerito sconosciuto: già giocava ne La Liga, col Levante, ma si poteva immaginare che il suo futuro fosse altrove, a maggior ragione dopo le prestazioni brasiliane che hanno fatto schizzare le sue quotazioni alle stelle. Lo voleva van Gaal per il suo nuovo Manchester United; anche Guardiola sembra abbia espresso il desiderio di averlo come vice-Neuer.

 

Anche se ogni foto che pubblica su Twitter è introdotta da un

, Keylor deve essere una persona molto razionale, e credo abbia fatto questo semplice ragionamento: se vado da Guardiola, oltre alle difficoltà di ambientamento, alla lingua, al freddo, mi troverò a fare da comprimario a un mostro, che potrebbe pure vincere il Pallone d’oro. Se invece vado al Real di fronte mi troverò il portiere (allo sbando) capitano di una Nazionale in cui tira aria di smantellamento: con un Casillas così in crisi potrei avere più possibilità.

 

Mi sembra pacifico che Keylor Navas sia più bravo come calciatore che come chiaroveggente: Iker il suo posto non l’ha mai (ancora) mollato, e da riserva Keylor si è dovuto accontentare di 7 presenze su 40 partite stagionali, solo 2 in campionato. Il momento più alto dopo il Mondiale, per dire, è stato quello della trasferta con "La Sele" in Oman, in cui ha mandato

gli sceicchi.


 



La verità è che nella ricchissima penisola arabica, dall’Oman al Qatar agli Emirati Arabi Uniti, c’è una specie di vena feticista per la Costa Rica, iniziata dieci anni fa con il trasferimento di Wanchope all’Al-Gharafa. La

da allora non s’è mai più arrestata. La

, un’agenzia di intermediazione sportiva, ha fiutato l’affare: dietro al trasferimento di Christian Bolaños,

, c’è il loro zampino. Dopo essersi svincolato dal Copenaghen già prima della Coppa del Mondo, Bolaños ha avuto anche l’opportunità di vestire la maglia del Flamengo. Invece poi si è fatto convincere dal

, una delle squadre emergenti del panorama nazionale (sponsorizzata da Bancrédito, uno dei main partner de "La Sele"), a firmare un contratto più d’immagine che concreto, che lo lasciasse comunque libero—da gennaio 2015—di piantare le tende in Qatar.

 

Le ramificazioni della Fútbol Consultants in Asia partono dal Golfo Persico, ma nutrono la malcelata ambizione di espandersi un po’ per tutto il continente. L’agenzia cura anche gli interessi di Michael Umaña, uno dei perni della difesa a tre che Pinto schierava a protezione di Keylor Navas. Gli altri due centrali erano Duarte e Giancarlo "Pipo" González, entrambi accostati alla Serie A, in particolare al Palermo, nella parentesi di mercato immediatamente successiva al Mondiale. Alla fine Duarte è rimasto al Bruges, mentre "Pipo" si è effettivamente trasferito in rosanero: infortunatosi appena messo piede in ritiro è rimasto fermo un mese e mezzo, prima di esordire contro il Cesena e andare subito in gol.

 

https://www.youtube.com/watch?v=zHYrrChrJuY

Colpo di testa a due minuti dalla fine, già in pieno recupero, sul punteggio di 1-1, che vale i primi tre punti stagionali per il Palermo. È il secondo gol mai segnato da un costaricense in Italia, dopo quello (l’unico) di Medford con il Foggia nel 1992.



 

Umaña, al Mondiale, si è preso due grandissime responsabilità: quelle di calciare gli ultimi rigori della serie nelle sfide contro la Grecia e l’Olanda. Alla prima occasione gli è andata bene; alla seconda, invece,

, è come se avesse sganciato una bomba atomica sui sogni di semifinale.

 

A 32 anni ha deciso di rifiutare un’offerta del Nacional de Montevideo e trasferirsi al Persepolis, in Iran, una delle squadre di maggior tradizione del Paese, allenata dalla gloria locale Ali Daei, che gioca in uno stadio—l’Azadi—da centomila spettatori e porta l’ingombrante soprannome di Pirouzi, che in farsi significa “vittoria”.

 

«Ai Mondiali io tifavo Iran»,

, come a voler cercare una giustificazione per essersi trasferito in quell’angolo di mondo.
(Per la cronaca, Ali Daei è stato licenziato subito dopo l’ingaggio di Umaña per via—sembrerebbe—di

).

 


Keylor Navas e la chiaroveggenza #2: Umaña deve ancora impattare la palla, il portiere già esulta per la vittoria (che in farsi si dice “pirouzi”) contro la Grecia.



 



La coppia formata da Celso Borges e Yeltsin Tejeda è stata una delle meglio assortite del Mondiale: personalmente avevo—e fatico a mollare—una sorta di infatuazione per Tejeda. Speravo finisse in Italia, anche perché il Palermo e il Cagliari sembravano interessate: invece è andato a finire in Francia, all’Evian Thonon Gaillard (che in realtà voleva Celso Borges), per una cifra ridicola, 700mila euro, che ad averceli avuti me lo sarei comprato io, Tejeda, per farlo giocare in salotto ogni volta che ne avessi voglia. All’esordio contro il Bordeaux è pure andato subito in rete.

 


Arrivo a rimorchio, tac, tiro dal limite, tac, la palla sbatte sul palo e finisce in buca d’angolo.



 

Celso Borges ha giocato nell’AIK Solna per sole due stagioni ma è diventato una specie di mito, cose che neppure se ci fosse rimasto per dieci anni.
La storia di Celso suscita tenerezza: nipote di un brasiliano impiegato nell’Organizzazione Panamericana della Salute, Borges è il figlio di Alexandre Guimarães, ex stella della Nazionale costaricense poi diventato allenatore, un'esperienza in Cina, al Tianjin Teda, ma in passato anche tecnico della Nazionale, nelle Coppe del Mondo 2002 e 2006.

 

Quando tuo padre allena la Nazionale hai sempre la sensazione che quel posto ne "La Sele", forse, non te lo sei proprio meritato: per questo Celso ha costantemente dato il 120%, in campo, non fosse altro per dimostrare che favoritismi, in terra

, non se ne fanno. Il suo calcio metallaro, a metà strada tra l’aggressività degli Slipknot e l’eleganza dei Dream Theater (ben sintetizzata da questo

contro la Corea del Sud, nell’ottobre scorso), meritava un pizzico in più di luci della ribalta: l’occasione è finalmente arrivata nel gennaio di quest’anno, quando il Deportivo La Coruña l’ha ingaggiato e buttato nella mischia già nella prima partita utile, contro il Rayo Vallecano.

A Vallecas, sotto di una rete, Celso Borges ha messo in scena—praticamente da one-man-band—una remuntada discretamente epica, che ha fatto sembrare per un attimo il Depor, in un afflato revivalista, ancora un po’ il Super Depor dei bei tempi che furono.

 



«Dimmi contro chi vinci e ti dirò quanto grandi sono le tue vittorie»,

Joel Campbell poco prima del Mondiale, con tracotanza da ventenne molto pieno di sé. Una frase perfetta per finire sul suo Wikiquote.

 

Se il bilancio economico dell’Inghilterra al Mondiale è risultato in perdita, credo sia dipeso essenzialmente dalla corposità della voce di costo “Vendette”: da Luís Suárez allo stesso Campbell, ingaggiato dall’Arsenal ormai nel 2011 e mai trattenuto in rosa, ma piuttosto rimbalzato in prestito prima

, poi

, infine

. L’ottima annata con l’Olympiacos e la roboante performance ai Mondiali sembravano aver finalmente convinto Wenger, che l’ha schierato titolare nella prima uscita stagionale contro il Benfica (e Campbell ha anche segnato

all’Emirates). Peccato che poi siano arrivati Alexis Sánchez e Danny Welbeck, e la concorrenza da

sia passata al livello

. Neppure le partenze, a gennaio, di Podolski e Sanogo hanno creato uno spiraglio: con la miseria di 40 minuti racimolati in Premier League, due sole presenze da titolare (in FA Cup contro l’Hull City e in Champions League contro il Galatasaray) e nessun gol Campbell ha deciso di accettare il suggerimento di Santi Cazorla e trasferirsi al Villarreal.
«Non posso garantire la felicità ai miei giocatori, e vorrei che Joel fosse felice tutti i giorni»,

Wenger.

 


«Non scambierò la maglia con Balotelli», aveva pure detto Campbell dopo il sorteggio mondiale. Infatti ha optato per quella di Pirlo. Chiamalo scemo.



 

Albione è stata e continua ad essere decisamente perfida anche con Bryan Ruiz, il capitano de "La Sele". Se solo avesse potuto scegliere, "La Comadreja" (significa “la faina”) a settembre se ne sarebbe tornato al PSV, oppure avrebbe firmato con il Werder o il Besiktas. Sarebbe stato disposto anche a vestire la maglia del Boca Juniors, pur preferendo «

almeno fino ai Mondiali in Russia». Invece il Fulham si è incaponito e ha deciso di trattenerlo, con una punta di sadismo, al Craven Cottage. «Voleva giocare ai più alti livelli? Dovrebbe aiutarci a salire ai più alti livelli, così potrà di nuovo giocare ai più alti livelli»,

in limine all’apertura della Championship Felix Magath.

 


Non me la sento di biasimare Bryan Ruiz: numeri del genere meritano “i più alti livelli”, ma che ci sta a fare ancora in Championship?



 

A gennaio sembrava che la sua disavventura si stesse concludendo per il meglio: il Levante lo aveva chiesto in prestito, Bryan si era detto d’accordo, però il Fulham ha inviato tutta la documentazione

dell’ultimo giorno utile di mercato, chi lo sa quanto artatamente, e a Ruiz è come toccato—neanche fosse in un giro sfortunato di Monopoli—tornare alla prigione direttamente e senza passare dal Via. «Il calcio a volte è ingiusto»,

.

 

Ho letto

uno spunto interessante, e cioè che nella storia di Bryan Ruiz c’è qualcosa di kafkiano. È come se la sua vita si fosse trasformata nella trama de

: coinvolto in un qualcosa da cui non può scappare, Ruiz finirà per convincersi di essersela—in una qualche maniera che gli è oscura, come al signor K. nel romanzo—cercata, di essere per davvero

. Di cosa, poi, non si sa. Come nel romanzo.

 

La verità, piuttosto, è che ogni calciatore

reduce da questo ultimo (per loro strabiliante) Mondiale sta vivendo un’esperienza

-kafkiana. Al contrario di Gregor Samsa, che dalla sera alla mattina si è trovato trasformato in un grosso insetto, nessuno di loro è riuscito ad addormentarsi onesto semisconosciuto costaricense per poi svegliarsi Stella Del Calcio Mondiale. Ricordarglielo è un po’ sussurrargli all’orecchio che dopotutto, nel calcio, non è che sia tutta

. Non sempre, almeno.

 
 

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