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Il bomber pescatore, intervista a Ighli Vannucchi
01 apr 2022
01 apr 2022
L'ex giocatore di Palermo ed Empoli ci ha raccontato della sua grande passione.
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Quarant’anni di vita in un gesto. Ighli Vannucchi, classe ‘77, che torna in campo, maglia dello Spianate, terza categoria toscana. Segna una tripletta. E al terzo gol sradica la bandierina e inizia ad agitarla in aria come fosse una canna da pesca. «Sono nato pescatore con la passione del calcio. L’ho sempre pensato, anche quando giocavo in Serie A» dice il fantasista. Che, dopo una solida carriera professionistica con (tra le altre) Salernitana, Palermo ed Empoli, ha deciso di seguire senza compromessi la sua vocazione, fondando il sito buonapesca.it – alla faccia di chi lo ritiene un augurio portasfiga – e sfornando in continuazione video incredibili, e di grande successo, delle sue avventure.

Ne è nato così un modo inedito, freschissimo, di raccontare la pesca, e di riflesso pure il calcio. Con uno stile fatto di passione, convivialità, goliardia. Non è un esempio unico in Italia (si potrebbe citare anche Massimo Gobbi), ma di sicuro Vannucchi è il più luminoso. Per questa ragione sono andato a trovarlo per parlare di pesca, la passione che sta segnando la sua vita dopo il calcio.

Quando hai iniziato a pescare?

Pesco praticamente da sempre, da quando ho cinque anni. In famiglia mio padre e mio nonno erano pescatori, ma non accaniti come me.

Da come ne parli sembra più che una passione.

Sì, è molto di più. È una religione. Un flusso di energia. Una forma spirituale. Un getto di adrenalina continuo. Qualcosa che ti riempie la mente e scaccia tutto quello che c’era dentro prima. Perché pensi solo a quello che succede sotto l’acqua.

Eppure abbiamo questa immagine di un pescatore come di una persona passiva. Che arriva sul fiume, tira fuori la seggiola e schiaccia placidamente un pisolino mentre aspetta che abbocchi qualcosa.

Le persone che credono a questi stereotipi sono anche le persone che credono che dire buona pesca porti sfiga. Ma se sai pescare, prima o poi, i pesci li prendi.

Cosa serve per riuscirci?

Ci vuole preparazione, versatilità, prontezza a cambiare la tecnica o l’esca a seconda delle condizioni. E poi ci vuole il fiuto del pesce.

Cos’è il fiuto del pesce?

È un po’ come il fiuto del gol. L’attaccante che fa sempre gol è quello che sa dove il portiere si posiziona e sa dove finisce la palla. Anche quando è spalle alla porta e non la può vedere. Nella pesca è uguale: se sei su un tratto di fiume, non puoi vedere i pesci. Ma devi usare l’istinto per posizionarti e capire l’angolino dove si trovano, e come fregarli. Ci vogliono anni per affinare questo fiuto. Ma è la cosa più importante.

Quanto è difficile andare a pescare quando sei un giocatore di Serie A?

Nella mia vita ho stipulato un contratto con me stesso: che avrei vissuto sempre con passione. E dunque non ho mai rinunciato a una giornata. Anzi, quando facevo il calciatore professionista avevo ancora più bisogno di andare. Quando svolgi uno sport a livello altissimo devi gestire pressioni quotidiane e nell’arco dell’intera giornata, che non si limitano al momento in cui scendi in campo per la partita o per l’allenamento quando ti alleni. Entri in un bar a fare colazione, il tifoso ti fa le domande. Ti rompono tutti le scatole. Potersi scollegare, avere una via di fuga è imperativo. E per me quella via di fuga è sempre stata la pesca. Sia nei momenti in cui ero effettivamente sul fiume, che in quelli in cui preparavo l’attrezzatura per la prossima uscita.

E dove trovavi il tempo?

Il mese di pausa estiva, dopo la fine del campionato, era sacro. Andavo in Canada, Islanda, Madagascar, Svezia. Ho girato il mondo e conosciuto posti meravigliosi. Ma una delle mie cose preferite era andare a pescare tra due sedute di allenamento, mentre i miei compagni si riposavano. Quando giocavo a Empoli andavo nell’Arno, che scorre a centro metri dallo Stadio Castellani. Perfetto per un paio d’ore a cercare di prendere qualche cavedano. Oppure quando eravamo in ritiro. Col Palermo di Zamparini, mi presentai al primo giorno di ritiro con le valigie e la canna che usciva dallo zaino. Tutti mi guardavano allibiti. Nessuno capiva. Dopo la giornata di allenamento mangiavo in fretta e poi scappavo nei torrenti a fianco all’albergo per cercare di prendere qualche trota. Un’oretta, al tramonto, prima che facesse buio. Quasi certamente in maniera abusiva.

Ne parli come di una cosa molto solitaria. C’era qualcun altro che pescava tra gli altri calciatori?

Di pescatori ce ne erano pochi. C’erano vari appassionati, che però si facevano prendere dalla pressione del lavoro e alla fine rinunciavano ad andare. Ma a Empoli ero riuscito a creare qualcosa che coinvolgesse tutto il gruppo, che trasmettesse questa passione ai compagni. C’era un laghetto privato vicino al Castellani, gestito da amici. Andavamo regolarmente a fare una garetta di squadra: pesca a coppie; la coppia che prendeva più carpe vinceva. Usavamo solo canne fisse, senza mulinello: così evitavamo casini con l’attrezzatura, e potevo dedicarmi anche io a pescare, senza fare la babysitter di tutti. L’attrezzatura ce la forniva un negozio vicino. Business per tutti. Tutti contenti.

Chi era particolarmente appassionato tra i compagni?

In coppia con me voleva sempre stare Ciccio Tavano. Non prendeva mai niente da solo, ma con me rischiava sempre di vincere le gare. Poi Almiròn, anche lui grande combattente. E poi Antonio Buscè. Una notte sentii un tonfo nel buio. Pensavo fosse una carpa enorme. E invece era lui che era caduto in acqua.

Come la vivevano i tuoi allenatori?

In genere i calciatori scappano dal ritiro per andare a donne. Io scappavo per andare a pescare. Una volta Gigi Cagni mi beccò, ma chiuse un occhio. Sapeva che se mi lasciava andare a pescare, poi il giorno dopo sul campo avrei dato il doppio.

Finita la carriera da calciatore, hanno iniziato a chiamarti “il bomber”. Perché?

Non ho mai capito. Non ero mai stato un calciatore che avesse fatto tanti gol. Al limite li facevo fare agli altri con i miei assist. Forse sono stati i miei video che attiravano attenzione. Ma da lì l’idea di incarnare un nuovo ideale di bomber è diventata una missione.

Ma che bomber è un bomber pescatore?

Non cerca soldi, donne, discoteche. È un bomber interiore.

In che senso?

Qualcuno che conosce i propri punti di forza e li sfrutta. E che non ne fa un pretesto per essere arrogante. Per me i bomber non sono solo i pescatori, ma pure gli elettricisti, gli imbianchini, chiunque faccia le cose bene e con passione, e che riceva gratitudine dal poterlo fare. Non il calciatore che fa le serate e spende soldi senza criterio. Per questo ho fatto sempre fatica a sentirmi a mio agio nell’ambiente del calcio professionista.

Finita la carriera, hai continuato a professare questi ideali.

È l’idea di fondo di Buona Pesca, il sito che ho fondato assieme a Gianfranco Monti. I nostri video sono rivolti a pescatori che abbiano voglia di vivere, che si sentano grati, che non siano gelosi dei loro posti. E che conoscano bene sia il valore di stare da soli, ma pure di apprezzare la compagnia. Il bello della pesca è anche condividere un panino.

Come è nato il sodalizio con Gianfranco Monti, il tuo collega di avventure?

Aveva una trasmissione su Sky Pesca TV. Si chiamava “A pesca con i VIP”. Una volta venni invitato a partecipare. Non ci conoscevamo, ma mi disse che ero famoso tra i suoi amici per essere un giocatore quotato al fantacalcio. Costavo poco e rendevo tantissimo. Gli era giunta all’orecchio la voce che fossi un tipo riservato, poco socievole. Ed era rimasto stupito che in realtà, mentre giravamo la trasmissione, fossi completamente diverso. E io gli dissi “certo, quando sono con gli altri calciatori sono a disagio, ma quando pesco sono sereno”. Da lì diventammo amici inseparabili. Venimmo ribattezzati Il Bello e la Bestia, in onore a una trasmissione radiofonica che faceva su Radio Due con Asia Argento. Nel nostro duo il Bello sono io, nel caso qualcuno avesse dei dubbi.

I vostri video sono effettivamente qualcosa di unico nel suo genere.

Credo che la nostra ricetta vincente sia tirare fuori le situazioni che succedono a tutti, senza effetti speciali. E con la massima trasparenza. Se prendiamo zero, prendiamo zero. Non cadiamo vittima dell’ansia di far vedere che catturiamo sempre i pesci, come fanno altri. Se ti mostri vulnerabile, conquisti la stima della gente. La misura del nostro successo sono i minuti di ascolto. Il 70% del pubblico li segue per intero. Nel mondo della pesca la percentuale è generalmente del 10% scarso. Su 20 minuti, se ne guardano due, forse tre. I nostri invece vengono generalmente visti dall’inizio alla fine. Se facciamo una foto su un fiume e la pubblichiamo, anche senza dire dove si trova, dopo qualche ora abbiamo la gente dietro. C’è chi aveva abbandonato e si è riappassionato alla pesca grazie a quei video. La vittoria più bella.

Come hai fatto a unire passione e business?

Ho anticipato gli influencer. Gli sponsor mi hanno aiutato molto. Ho sempre avuto il supporto di marchi importanti nel mondo dell’attrezzatura da pesca, che mi permetteva di usare il loro equipaggiamento. Poi è arrivata Colmic, l’azienda che ci ha blindato. Hanno capito il nostro spirito, ci hanno detto di fare tutti i video che volevamo, usando la loro attrezzatura. Se la nominavamo durante le riprese bene; altrimenti andava bene lo stesso.

A proposito di pesca. Che tipo di pescatore sei?

Nasco con canna fissa ed esche naturali. Una tecnica tradizionale, tipica delle acque dolci italiane. Poi sono passato allo spinning, la pesca ai predatori con le esche artificiali. C’è stato un periodo in cui facevo solo quello. Poi con la conoscenza di Gianfranco e il lavoro di Buona Pesca sono tornato alle mie origini. Sono stato fortunato a poter crescere in Toscana. Una regione con fiumi stupendi, come l’Arno e il Serchio. E con cibo e vino eccezionali. Qualora non si fosse capito, le cose vanno di pari passo.

Hai un pesce preferito?

Il barbo. Soprattutto da quando in Italia sono arrivati i barbi spagnoli, che raggiungono dimensioni pazzesche. È il pesce che cerchiamo più spesso.

Però ultimamente molti vostri video sono dedicati alla pesca allo storione.

Sì, è una cosa nuova. È stato immesso in certi laghetti privati. Pesci ciclopici, di 25-50 kg, con una forza mostruosa. È una pesca che porta portare autostima a molti pescatori. La tecnica è minima. Si usano ami grossi, fili molto spessi. Il pesce fa tutto da solo, non serve cercarlo. Un po’ come negli stereotipi. Ma è divertente. Molti pescatori riescono a prendere pesci enormi, da 100 kg e oltre. Gianfranco non riesce a tirarli fuori. Quando ne prende uno mi passa la canna, e ci devo pensare io.

E l’avventura nel campo della moda?

Iniziata nel 2014. Una linea chiamata “bomber”, proprio in onore agli ideali di cui parlavamo sopra. Da poche t-shirt a una linea completa, in cui cerco di trasformare l’individuo comune in qualcosa che lo renda felice di se stesso. Se non sei a tuo agio trasmetti energia negativa. Se invece uno sta bene, la sua energia è migliore. Che si parli di cosa mettersi addosso, o di che pesce andare a pescare.

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