Perdere l’amore: Bojan Krkic
Per la rubrica dedicata ai giocatori che ci deludono, l’agonia dell’ex prodigio del calcio spagnolo.
Perdersi in Europa
Lasciando Barcellona la carriera di Bojan cambia completamente senso: non è più il talento da salvaguardare, ma quello da rilanciare. Le motivazioni non mancano, ovviamente, ma Bojan non è ancora pronto mentalmente e ha un fisico che è già provato dai problemi psicofisici di inizio carriera e non cresce più ormai da anni. Anche tatticamente è un progetto incompiuto. Bojan a ventuno anni ha giocato in ogni posizione dalla trequarti in su ma nemmeno lui sa esattamente cosa sia.
Arriva alla Roma di Sabatini teoricamente come una delle poche scommesse a basso rischio. È comunque uno dei migliori giovani d’Europa e la Roma ha in Luis Enrique un allenatore che viene dalla stessa struttura dov’è cresciuto. Con i minuti che cerca a disposizione e con un gioco che dovrebbe conoscere non dovrebbe neanche avere problemi di ambientamento, quindi.
Bojan ha la fiducia di Luis Enrique ed è risparmiato dagli infortuni (gioca più di tutti in stagione in campionato con 33 presenze) ma sembra ancora una volta fuori contesto. Bojan è cresciuto in una bolla e con le cicatrici mentali che si ritrova gli risulta difficile adattarsi, persino in una metropoli provinciale come Roma. Non sembra più in grado di rimanere concentrato durante le partite: entra e esce mentalmente dal gioco in maniera talmente evidente che a volte è persino visibile dagli spalti. In campionato segna 7 gol del tutto ininfluenti. Le due, tre buone giocate a gara non giustificano le pause mentali, ricche di scelte sbagliate, palloni mal controllati, occasioni sprecate.
Gol come questo sarebbero impressionanti se venissero totalmente decontestualizzati. Il problema è che stiamo già sul 3-0 per la Roma, a tre minuti dalla fine.
La storia si ripete identica l’anno successivo, quando viene scartato dalla Roma e passa al Milan. Sembra poter dare al massimo un paio di giocate a gara, incapace di prendersi responsabilità al di là delle mansioni più semplici. Tra l’altro gioca molto di meno rispetto all’anno precedente e mostra quindi ancora meno di quanto fatto a Roma (19 presenze in campionato di cui solo 5 da titolare). A fine stagione Allegri, probabilmente imbeccato da Galliani, finisce per non farlo giocare pur di non far valere il riscatto obbligatorio per numero di presenze. Gioca una manciata di minuti nel derby, a febbraio, prima di vedere il resto della stagione in panchina e venir riesumato solo per una ventina di minuti nella sconfitta contro la Juventus. Al Milan si chiude la sua fallimentare esperienza in Italia.
Al Milan segna appena 3 gol. Gioca in ogni posizione davanti, entrando più che altro a partita in corso, e ricavando giusto qualche giocata utile, come questa contro il Palermo.
A 23 anni inizia già a perdere contatto con l’ambizione di avere una carriera di prestigio, nonostante non voglia lasciare il calcio: «Quando uno vive situazioni spiacevoli gli passano sempre mille cose per la testa. Però non ho mai permesso che questi pensieri mi occupassero più di qualche secondo la testa. Bisogna saper godere della professione. Poi provo a non vivere per obiettivi ma per le sensazioni. L’obiettivo, la meta è il futuro, l’importante è il presente. Vivere giorno per giorno ti porta dove vuoi».
Con il passare degli anni Bojan sembra essere anche più disponibile ad accettare consigli. Va un anno all’Ajax per giocare in un ambiente senza pressioni, su suggerimento di Cruyff. Gioca tanto, lascia qualcosa di bello, ma segna pochi gol. Cerca di non dare più peso al gol, o forse cerca solo di mascherare la delusione per il suo decadimento tecnico, per dimenticare il periodo in cui segnava con la stessa naturalezza con cui stoppava il pallone. Ripensando alla sua stagione all’Ajax (32 presenze e 5 gol) dirà: «Questo mi perseguiterà sempre, “Bojan non segna più” si diceva. Sono cosciente di questo, però ho giocato grandi partite e con il tempo ho imparato ad essere felice quando finisco una grande partita».
Dei pochi gol segnati, il più bello è sicuramente questo contro il Twente, in cui stoppa la palla di esterno per averla alla distanza giusta per calciare di collo pieno.
Bojan diventa il giocatore delle piccole cose utili (paradossalmente, visto com’era cominciata la sua carriera), arretra la posizione e diventa quel tipo di giocatore che con la sua tecnica gestisce il ritmo della squadra. È diventato “semplicemente” un buon giocatore, che si allena in modo professionale, con una carriera di buon livello.
Una volta terminata l’esperienza nei Paesi Bassi, decide di andare in un club medio della Premier League, ancora una volta per non avere pressioni. Sono le parole del padre stesso a dare l’idea di cosa sia Bojan in questo momento: «Bojan mi ha detto di voler andare in un club dov’è apprezzato e trattato bene. Il nome della squadra non importa». E lui finisce quindi allo Stoke City, dove allena Mark Hughes, ex del Barcellona negli anni 80. Hughes apprezza Bojan – aveva già provato a portarlo in Inghilterra quando allenava il Fulham – si prende la briga di dare a Bojan il contesto che più desidera: una squadra dove possa giocare e allenarsi in tranquillità. Lo Stoke è una squadra che gli permette di essere il giocatore più tecnico senza chiedergli molto di più, accontentandosi anche solo di quelle due, tre giocate a partita da parte sua.
Gioca ormai trequartista, per essere sempre vicino ai compagni e dare pulizia tecnica alla manovra.
Il fisico di Bojan, però, non regge l’urto con l’intensità della Premier League. È più veloce, più tecnico, legge meglio il gioco degli altri in campo, ma rischia di farsi male anche da solo e ogni contrasto può essere l’ultimo della partita. Bojan quando è sano gioca e bene, ma l’incantesimo dura poco: si rompe il crociato a gennaio e da lì perde sei mesi. Tornato dall’infortunio, però, ricomincia a giocare ad un buon livello: sembra aver superato del tutto gli spettri del suo passato.
La seconda stagione con lo Stoke, iniziata avendo saltato la preparazione e potendo giocare solo da settembre, la chiude con 7 gol in 27 partite di campionato, perdendo continuità nel finale. Fu una stagione forse solo sfortunata, per una volta, che l’anno successivo però gli costerà il posto da titolare. Sarà Joe Allen a fare sostanzialmente il suo gioco, solo poco più arretrato. Anche in questo caso Bojan dimostra una solidità mentale precaria: invece di cercare di convincere il suo allenatore, di provare a riconquistare la titolarità, lo spagnolo decide nuovamente di andarsene in prestito pur di giocare. Questa volta in Germania, al Mainz, un’altra squadra dalle ambizioni provinciali, dove lui può giocare in tranquillità.
Al Mainz è dove si chiude il suo cerchio senza redenzione. Adesso, alla luce della sua carriera, il suo record di gol nei maggiori campionati europei sembra solo beffardo, raggiunto non per fama, o grazie al talento, ma nella ricerca di una propria normalità, qualunque cosa voglia dire. E di un lavoro, ovviamente, almeno fino a quando potrà farlo, pensando intanto alla prossima tappa, probabilmente lontana dal mondo del calcio, che è però anche l’unico che ha sempre conosciuto.