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Daniele V. Morrone
Perdere l'amore: Bojan Krkic
11 mag 2017
11 mag 2017
Per la rubrica dedicata ai giocatori che ci deludono, l'agonia dell'ex prodigio del calcio spagnolo.
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Daniele V. Morrone
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La partita tra Bayern e Mainz è iniziata da una manciata di minuti quando Arturo Vidal si trova a ricevere davanti alla sua area spalle alla porta. È un pallone complesso, da giocare con la pressione addosso, e che lo costringe a un passaggio difficile, di prima, di collo, al compagno di reparto. Il passaggio però risulta corto e un po’ goffo, e finisce dritto sul petto del numero 10 avversario, che aspettava al centro della trequarti.

 

Il 10 del Mainz è Bojan Krkic. Con un controllo di esterno, che rimpalla fortunosamente su Thiago Alcantara accorso in scivolata, si ritrova solo davanti alla porta all’altezza del dischetto: gli basta un secondo per attendere il rimbalzo giusto e scaricare la palla alle spalle il portiere.

 

, ma anche uno spot della sua ottima partita, che porta al pareggio del Mainz a Monaco di Baviera. È anche un gol storico, a suo modo, perché con questo gol Bojan è diventato il primo giocatore spagnolo a segnare in tutti e quattro i maggiori campionati d’Europa: solo altri 6 giocatori ci sono riusciti, in tutta la storia del calcio. È un record paradossale per un giocatore con una carriera sostanzialmente deludente come quella di Bojan, passata a trasferirsi da una squadra all’altra per trovare continuità e sperare di chiudere in doppia cifra. Paradossale di fronte alle aspettative generate dalla sua prima parte di carriera, quando

record, anche il più irraggiungibile, sembrava a portata di mano.

 

 



 

Bojan è il giocatore che ha segnato più di chiunque altro nelle giovanili del Barcellona: parliamo di più di 850 gol giocando sempre sotto età, prima di arrivare a 16 anni nel Barça B (dove segnerà 10 gol in 22 partite). Il suo nome è sulla bocca di tutti anche prima di debuttare con la prima squadra, in una strana amichevole primaverile in Egitto nel 2007 (forse anche per evitare di perderlo in favore di Arsenal e Chelsea, come già successo con Fàbregas e Piqué).

 

Nel settembre 2007 fa il suo debutto ufficiale. Ha 17 anni e 19 giorni, ed entra per Giovani Dos Santos in un passaggio di consegne tra promesse della Masia. Uno doveva essere il nuovo Ronaldinho, l’altro il nuovo Messi. Uno gioca la sua prima e unica stagione con la prima squadra del Barcellona, l’altro inizia ad inanellare record con un ritmo da predestinato. Bojan diventa prima il più giovane debuttante nella storia del Barcellona, superando proprio Messi. Poi il 20 ottobre parte titolare per la prima volta per l’assenza di Eto’o, come punta di un tridente completato da Henry e Messi, e segna

alla prima occasione utile. Raccoglie un filtrante di Messi tagliando alle spalle del marcatore con un movimento esterno-interno, stoppa la palla, che gli rimane alla distanza giusta per potersi girare in corsa, e poi la mette sul primo palo di piatto, anticipando l’uscita del portiere. È il più giovane calciatore del Barcellona a segnare un gol nella Liga.

 

Il primo aprile segna il gol decisivo nell’andata dei quarti di Champions League, in trasferta contro lo Schalke 04. Ancora una volta viene sfiorato un record: Bojan è il secondo più giovane di sempre a segnare un gol in Champions League. Per via della

sul calcio spagnolo ed europeo, inizia ad essere chiamato “il bambino” (o anche “il bambino del Sesto Senso” per la somiglianza nel viso imberbe e negli occhi languidi tra lui e l’attore del film) e paragonato a Raúl Gonzalez.

 

In campionato Bojan supera la doppia cifra alla sua prima stagione, superando proprio il record di Raúl (9). Ma qualcosa inizia ad andare storto già alla prima stagione, perché Bojan, a 17 anni, si ritrova protagonista in una stagione disastrosa, e con il successo arriva quindi anche il primo pesantissimo carico di pressione.

, Bojan era stato gestito male già nelle giovanili perché era stato fatto giocare sempre con i più grandi, bruciando le tappe prima del tempo: «Non era facile arrivare in prima squadra in quel periodo con 17 anni e con la gente che ti reclama dagli spalti e i gol che arrivano e che tutto va bene». Un debutto di questo tipo, dalle giovanili, non lo aveva avuto neanche Messi, che era tra i migliori al mondo ancora prima di diventare maggiorenne.

 


In questo periodo Bojan salta il portiere in uscita così. La palla esce di poco ma il gesto rende l’idea della fiducia nei propri mezzi.



 

 

Bojan inizia a soffocare sotto il peso del suo stesso successo, come spiegherà poi in un'intervista

: «Fino a gennaio andava tutto bene. Un giorno sono andato all’inaugurazione di una palestra di un mio amico. Non appena è finita l’inaugurazione tutti si sono alzati e sono venuti verso di me. Era un posto piccolo e mi sono sentito senza fiato. Avevo un maglioncino in una giacca e ho cominciato a sentire tanto caldo, sono corso in bagno a togliermi tutto. Ho iniziato a sentire sintomi di nausea forte e costante a partire da quel momento. Nella partita contro l’Osasuna ho iniziato a sentirmi male anche in campo».

 

La salute psicofisica di Bojan inizia a collassare. Prima delle partite va dal dottore, che gli prescrive delle pasticche alla caffeina che gli attenuano i sintomi. Quando però torna a casa la tensione esplode, al punto che Bojan finisce per avere le convulsioni. I genitori lo portano subito all’ospedale, dove viene però tranquillizzato con altre pasticche.

 

Nessuno nello spogliatoio sa di questa cosa, nei media neanche. Bojan è costantemente sotto i riflettori, racconta di al cinema o alle feste venisse circondato di continuo da tifosi entusiasti. Bojan è il nuovo Raúl, è il futuro del Barcellona con Messi, è l’unica luce in una stagione negativa su tutti i fronti, che segna la fine del ciclo Rijkaard. Quello che tre anni prima era successo con Messi, ora sta succedendo con Bojan. Solo che Bojan non è Messi.

 

 



 

Bojan viene da una famiglia benestante. Il calcio non è per lui riscatto sociale né un sogno covato da sempre per regalare un futuro migliore alla sua famiglia. Gioca a pallone perché è quello che ha sempre fatto, e gli piace, come piacciono a tutti le cose in cui si riesce bene. Ma non è pronto per reggere tutte le pressioni del mondo come Messi, a cui basta un pallone per astrarsi del tutto dal campo di gioco. Bojan invece si trova al centro del circo senza avere gli strumenti per poterlo fare. Ma i genitori decidono che è meglio non far uscire i suoi problemi psicofisici temendo ripercussioni sulla sua carriera.

 

Bojan viene convocato in nazionale maggiore da Aragones a furor di popolo nel febbraio 2008 (non ha neanche 18 anni): ancora una volta sarebbe il più giovane giocatore a debuttare in nazionale. “Il bambino”, però, torna a casa il giorno stesso della partita: il dispaccio della Federazione parla di gastroenterite. La realtà è che Bojan decide di confessare i suoi problemi allo staff. Si sente come in quei sogni dove si è in mutande davanti ad una platea. Si siede nello spogliatoio e non riesce più ad alzarsi. Iniesta gli sta seduto accanto mentre gli confessa di sentire una forte nausea. Per andare a parlare con lo staff ma non se la sente nemmeno di passare davanti al resto dei compagni. Rimane lì ad aspettare che sia Iniesta a convocare i medici e lo staff della nazionale: «Mi raccontarono di aneddoti di altri giocatori che passarono per la stessa cosa, per togliermi pressione. Mi consigliarono cosa dire alla stampa, ai miei genitori, al ct e alla Federazione. I miei genitori non vollero che si sapesse e quindi convenimmo che si trattasse di gastroenterite».

 

Aragones, alla luce della sua buona stagione col Barcellona, torna a convocarlo per gli Europei del 2008. Il suo assistente Hierro era rimasto in contatto con lui tutta la stagione e i medicamenti sembravano funzionare, ma Bojan decide di dire basta e chiede di non essere convocato. Chiama Puyol e gli dice di non potercela fare: «Il mio corpo ha detto basta. Ho bisogno di rimanere tranquillo e recuperare da questa situazione di nausea perenne. È impossibile stare 24 ore al giorno con la nausea, e mi vedo impreparato per viaggiare e stare con altre persone in questo momento. Non è perché non voglio, è perché non posso».

 

La stampa mastica la storia e la risputa con grossi titoloni sul suo rifiuto della convocazione. Alcuni dicono che ha bisogno di prendersi una vacanza. Nelle partite successive in trasferta arrivano anche fischi e cori contro di lui: gli danno del ritardato. Bojan a fine stagione decide di sparire da Barcellona e scappa al suo paese per stare con i genitori. Accetterà la sua prima convocazione dopo la fine degli Europei, probabilmente per rompere questa situazione di tensione. Fa il suo debutto a settembre di quello stesso anno.

 

Il debutto in nazionale contro l’Armenia è la sua prima e ultima partita con la nazionale spagnola. Bojan quasi inciampa sui palloni che gli arrivano nei 20 minuti scarsi di campo, gioca senza concentrazione e con la testa che conta i minuti che mancano alla fine della partita. Il suo debutto in nazionale è anche il manifesto di come Bojan semplicemente non fosse pronto per essere un calciatore professionista di alto livello. Il successo è arrivato in maniera così veloce e intensa che ha finito per distruggere l’equilibrio psicologico del suo timido talento. Rovinando per sempre il modo in cui viveva il campo.

 

 



 

I paragoni con Raúl terminano già alla seconda stagione, la prima con Guardiola. Il tecnico catalano capisce che il giocatore non è pronto mentalmente e gli consiglia di retrocedere nel Barcellona B per la prima parte della stagione, così da avere minuti da titolare senza pressioni esterne mentre si allena comunque con i più grandi. Una proposta che Bojan, però, rifiuta in modo drastico.

 

Il Barcellona vince tutto e Bojan è la prima riserva del tridente Messi-Eto’o-Henry. Ma gioca solo frazioni di gare (è titolare solo in Coppa del Re) e completa tre partite consecutive in campo per 90 minuti solo a titolo già vinto, nelle ultime tre gare della stagione. Per la prima volta sembra non riuscire a stare dietro ai compagni e, tolto qualche lampo, la sua stagione è del tutto anonima. Passa mesi senza segnare in campionato chiudendo con solo due gol solo grazie

.

 

All’arrivo di Ibrahimovic a Barcellona, Guardiola consiglia a Bojan di andare in prestito ad una squadra di prima fascia in Liga per giocare con continuità, ma lui rifiuta ancora di ascoltare. Non ha nessuna intenzione di lasciare la squadra e preferisce rimanere, nonostante la prima scelta in panchina diventi Pedro. La scelta di rimanere si rivelerà niente di più di una vittoria di Pirro: Bojan segna 3 gol nelle ultime 4 partite di Liga, aiutando il Barcellona a vincere la Liga, ma questo non cambierà il suo destino al Camp Nou.

 


Bojan è comunque ancora in grado di mostrare lampi di talento purissimo, come in questo gol su “autopassaggio” contro il Villarreal.



 

In estate arriva il solo David Villa a compensare le partenze di Ibrahimovic e Henry, e con la scelta di avere definitivamente Messi come falso nove e la promozione di Pedro a titolare del tridente a destra, Bojan diventa la teorica prima scelta dalla panchina. Gioca più di 1500 minuti tra tutte le competizioni segnando 7 gol. Ma il suo impatto è comunque marginale, o almeno non al livello richiesto da Guardiola ad un giocatore ormai parte delle rotazioni. Sul finale di stagione Bojan perde anche minuti in modo drastico. Si lamenterà dopo, non solo della mancanza di continuità in campo, ma anche della mancanza di tatto da parte di Guardiola nella gestione della questione. Si sente fuori dal gruppo,

: «Per quanto facessi i suoi occhi non lo vedevano».

 

Rimane riserva in Liga, ma è l’ultimo della panchina nella fase finale della Champions League (dopo aver giocato tanto nei gironi): ora ogni volta che esce uno tra Pedro o Villa entra un esterno tra Afellay o Jeffrén. Evidentemente Guardiola lo vede ormai solo come possibile sostituto di Messi. A due anni dal debutto, Bojan non è già più il nuovo Messi, ma la controfigura nelle partite già decise.

 


Pep lo tiene una ventina di secondi a bordo campo prima del cambio spiegandogli i movimenti che vuole da lui e Bojan come uno scolaro davanti al maestro fa “sì” con la testa pensando solo al momento in cui potrà andare a giocare e non pensare ad altro.



 

A detta del padre, il momento di rottura definitiva dei rapporti con Guardiola arriva quando in occasione della finale di Champions League il tecnico catalano gli promette alcuni minuti da subentrante che però non arriveranno mai. Nel finale, a risultato già deciso, per Pedro entra ancora una volta Afellay. È in quel momento che Bojan decide di lasciare Barcellona e lo fa senza neanche comunicarlo a Guardiola. Non si parleranno più, e da giocatore della Roma dichiarerà che non tornerà più al Barcellona fino a quando Guardiola sarà allenatore. In una

ha addirittura aggiunto che non vorrebbe neanche andarci a cena con Guardiola.

 

Bojan forse incolpa Guardiola di non averlo saputo capire in un momento drammatico e lo accusa di averlo privato dell’unico posto in cui avesse la fiducia di poter fare il suo gioco. Adesso la pressione dell’ambiente è stata sostituita da quella che si mette addosso lui stesso, pur di dimostrare di poter giocare al livello dei compagni.

 

Ma la mancanza di un’infanzia normale sembra essere per lui ancora un peso troppo grande: «Ho perso parte della mia infanzia? Questa è una delle cose a cui tengo di più e che mi ha colpito maggiormente perché sono un ragazzo vicino alla famiglia. Ci sono stati tanti momenti in cui non ho avuto la possibilità di godermi la mia famiglia e i miei amici». Forse c’è anche del rimorso, del senso di colpa, per non essersi fatto valere di più, per essere stato tanto sensibile, per aver bruciato troppo velocemente le tappe della sua carriera professionale.

 





 

Lasciando Barcellona la carriera di Bojan cambia completamente senso: non è più il talento da salvaguardare, ma quello da rilanciare. Le motivazioni non mancano, ovviamente, ma Bojan non è ancora pronto mentalmente e ha un fisico che è già provato dai problemi psicofisici di inizio carriera e non cresce più ormai da anni. Anche tatticamente è un progetto incompiuto. Bojan a ventuno anni ha giocato in ogni posizione dalla trequarti in su ma nemmeno lui sa esattamente cosa sia.

 

Arriva alla Roma di Sabatini teoricamente come una delle poche scommesse a basso rischio. È comunque uno dei migliori giovani d’Europa e la Roma ha in Luis Enrique un allenatore che viene dalla stessa struttura dov’è cresciuto. Con i minuti che cerca a disposizione e con un gioco che dovrebbe conoscere non dovrebbe neanche avere problemi di ambientamento, quindi.

 

Bojan ha la fiducia di Luis Enrique ed è risparmiato dagli infortuni (gioca più di tutti in stagione in campionato con 33 presenze) ma sembra ancora una volta fuori contesto. Bojan è cresciuto in una bolla e con le cicatrici mentali che si ritrova gli risulta difficile adattarsi, persino in una metropoli provinciale come Roma. Non sembra più in grado di rimanere concentrato durante le partite: entra e esce mentalmente dal gioco in maniera talmente evidente che a volte è persino visibile dagli spalti. In campionato segna 7 gol del tutto ininfluenti. Le due, tre buone giocate a gara non giustificano le pause mentali, ricche di scelte sbagliate, palloni mal controllati, occasioni sprecate.

 


Gol come questo sarebbero impressionanti se venissero totalmente decontestualizzati. Il problema è che stiamo già sul 3-0 per la Roma, a tre minuti dalla fine.



 

La storia si ripete identica l’anno successivo, quando viene scartato dalla Roma e passa al Milan. Sembra poter dare al massimo un paio di giocate a gara, incapace di prendersi responsabilità al di là delle mansioni più semplici. Tra l’altro gioca molto di meno rispetto all’anno precedente e mostra quindi ancora meno di quanto fatto a Roma (19 presenze in campionato di cui solo 5 da titolare). A fine stagione Allegri, probabilmente imbeccato da Galliani, finisce per non farlo giocare pur di non far valere il riscatto obbligatorio per numero di presenze. Gioca una manciata di minuti nel derby, a febbraio, prima di vedere il resto della stagione in panchina e venir riesumato solo per una ventina di minuti nella sconfitta contro la Juventus. Al Milan si chiude la sua fallimentare esperienza in Italia.

 


Al Milan segna appena 3 gol. Gioca in ogni posizione davanti, entrando più che altro a partita in corso, e ricavando giusto qualche giocata utile, come questa contro il Palermo.





A 23 anni inizia già

con l’ambizione di avere una carriera di prestigio, nonostante non voglia lasciare il calcio: «Quando uno vive situazioni spiacevoli gli passano sempre mille cose per la testa. Però non ho mai permesso che questi pensieri mi occupassero più di qualche secondo la testa. Bisogna saper godere della professione. Poi provo a non vivere per obiettivi ma per le sensazioni. L’obiettivo, la meta è il futuro, l’importante è il presente. Vivere giorno per giorno ti porta dove vuoi».

 

Con il passare degli anni Bojan sembra essere anche più disponibile ad accettare consigli. Va un anno all’Ajax per giocare in un ambiente senza pressioni, su suggerimento di Cruyff. Gioca tanto, lascia qualcosa di bello, ma segna pochi gol. Cerca di non dare più peso al gol, o forse cerca solo di mascherare la delusione per il suo decadimento tecnico, per dimenticare il periodo in cui segnava con la stessa naturalezza con cui stoppava il pallone. Ripensando alla sua stagione all’Ajax (32 presenze e 5 gol) dirà: «Questo mi perseguiterà sempre, “Bojan non segna più” si diceva. Sono cosciente di questo, però ho giocato grandi partite e con il tempo ho imparato ad essere felice quando finisco una grande partita».

 


Dei pochi gol segnati, il più bello è sicuramente questo contro il Twente, in cui stoppa la palla di esterno per averla alla distanza giusta per calciare di collo pieno.



 

Bojan diventa il giocatore delle piccole cose utili (paradossalmente, visto com’era cominciata la sua carriera), arretra la posizione e diventa

. È diventato “semplicemente” un buon giocatore, che si allena in modo professionale, con una carriera di buon livello.

 

Una volta terminata l’esperienza nei Paesi Bassi, decide di andare in un club medio della Premier League, ancora una volta per non avere pressioni. Sono le parole del padre stesso a dare l’idea di cosa sia Bojan in questo momento: «Bojan mi ha detto di voler andare in un club dov’è apprezzato e trattato bene. Il nome della squadra non importa». E lui finisce quindi allo Stoke City, dove allena Mark Hughes, ex del Barcellona negli anni 80. Hughes apprezza Bojan - aveva già provato a portarlo in Inghilterra quando allenava il Fulham - si prende la briga di dare a Bojan il contesto che più desidera: una squadra dove possa giocare e allenarsi in tranquillità. Lo Stoke è una squadra che gli permette di essere il giocatore più tecnico senza chiedergli molto di più, accontentandosi anche solo di quelle

.

 


Gioca ormai trequartista, per essere sempre vicino ai compagni e dare pulizia tecnica alla manovra.



 

Il fisico di Bojan, però, non regge l’urto con l’intensità della Premier League. È più veloce, più tecnico, legge meglio il gioco degli altri in campo, ma rischia di farsi male anche da solo e ogni contrasto può essere l’ultimo della partita. Bojan

, ma l’incantesimo dura poco: si rompe il crociato a gennaio e da lì perde sei mesi. Tornato dall’infortunio, però, ricomincia a giocare ad un buon livello: sembra aver superato del tutto gli spettri del suo passato.

 

La seconda stagione con lo Stoke, iniziata avendo saltato la preparazione e potendo giocare solo da settembre, la chiude con 7 gol in 27 partite di campionato, perdendo continuità nel finale. Fu una stagione forse solo sfortunata, per una volta, che l’anno successivo però gli costerà il posto da titolare. Sarà Joe Allen a fare sostanzialmente il suo gioco, solo poco più arretrato. Anche in questo caso Bojan dimostra una solidità mentale precaria: invece di cercare di convincere il suo allenatore, di provare a riconquistare la titolarità, lo spagnolo decide nuovamente di andarsene in prestito pur di giocare. Questa volta in Germania, al Mainz, un’altra squadra dalle ambizioni provinciali, dove lui può giocare in tranquillità.

 

Al Mainz è dove si chiude il suo cerchio senza redenzione. Adesso, alla luce della sua carriera, il suo record di gol nei maggiori campionati europei sembra solo beffardo, raggiunto non per fama, o grazie al talento, ma nella ricerca di una propria normalità, qualunque cosa voglia dire. E di un lavoro, ovviamente, almeno fino a quando potrà farlo, pensando intanto alla prossima tappa, probabilmente lontana dal mondo del calcio, che è però anche l’unico che ha sempre conosciuto.

 

 

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