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Dario Saltari
Perdere l'amore: Hakim Ziyech
23 giu 2023
23 giu 2023
Dopo tre anni insapore al Chelsea si sta trasferendo in Arabia Saudita.
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Dario Saltari
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Illustrazione di Emma Verdet
(foto) Illustrazione di Emma Verdet
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La telecamera è alle sue spalle, sembra soprappensiero. Dopo il primo controllo, Ziyech dà una piccola spinta al pallone con la punta del piede sinistro, lo fa rotolare verso il centro del campo mentre guarda lontano. L’orizzonte dell’Allianz Arena sono i cartelloni pubblicitari su cui scorre il logo della Mastercard, non sembra esserci nulla di utile lì per un calciatore che cerca di cambiare gioco. E invece Ziyech carica il lancio: le braccia che roteano intorno al busto, la gamba destra e quella sinistra che per un attimo indicano direzioni opposte a dove dovrebbero andare. Il pallone è sparato in aria con un movimento ascensionale perfetto e la telecamera prova a seguirlo zoomando, mentre Ziyech esce di scena in questo inconsapevole atto teatrale dedicato alla tecnica calcistica.

Nel frattempo il pallone continua a roteare in aria e c’è sempre un momento inevitabile in cui è impossibile non dimenticarsi che la sua funzione sia di ricadere sul piede di un altro calciatore. Per un attimo il cervello si accontenta dell’inspiegabile bellezza del suo movimento, lo fissa nel tempo, come se potesse rimanere lassù per sempre, una palla stroboscopica nel cielo bavarese dell’Allianz Arena. Il senso di sospensione è direttamente proporzionale al brivido di sorpresa nell’accorgerci della normalità che viene subito dopo: la gravità fa il suo corso e il pallone torna verso terra, nell’inquadratura incombe Nicolas Tagliafico, l’unico essere umano al mondo a cui è venuto in mente di mettersi a correre alla partenza del lancio. Improvvisamente ci ricordiamo che si stava giocando una partita.

È un video che è stato mandato centinaia di milioni di volte davanti a centinaia di migliaia di occhi. Il suo successo risiede nel suo valore scenico, per cui il cameraman non sarà mai ringraziato abbastanza, ma anche perché riesce a racchiudere in un attimo l’essenza di Ziyech. Un giocatore in grado di vedere il gioco a chilometri di distanza ma anche di mettere per un attimo il tempo in pausa grazie al semplice calcio di un pallone. “Questo lancio non invecchierà mai”, dice la caption che l’Ajax ha pensato per questo video. Nel grande Ajax di ten Hag, forse la squadra che più di tutte negli ultimi anni si è fatta ammirare per la sua intelligenza collettiva, Ziyech era l’unico in grado di prendersi la scena senza per questo essere d’intralcio. C’erano giocatori più visionari, e di certo anche giocatori più intelligenti con e senza il pallone, ma Ziyech era l’unico da cui ci si aspettava sempre qualcosa. Il tocco di irriverenza che ha reso quell’Ajax qualcosa di più speciale, di più street rispetto a una semplice versione aggiornata e pedante del gioco di posizione all’olandese.

I più cattivi dicono che questo video sia l’unico motivo del suo successo ad alti livelli ed è terribile oggi avere anche solo il sospetto che avessero ragione. Viene lo stesso terrore di quando in aeroporto ci si accorge di essersi dimenticati il passaporto e tutti sudati bisogna ricontrollare i suoi numeri in Olanda. 49 gol e 81 assist con la maglietta dell’Ajax, una Eredivisie, una coppa e una Supercoppa d’Olanda, il premio di miglior giocatore del campionato olandese per tre stagioni di fila. Sembra essere tutto a posto.

Eppure ho dovuto fare uno sforzo per ricordarmi perché Ziyech fosse speciale, tastandomi le tasche della memoria. Mi sono visto un altro video prodotto dall’Ajax: “22:22 minuti di magia… Il meglio di Hakim Ziyech”. Vorrei poter indicare l’esatto istante in cui ho capito, ma la verità è che è meglio vederselo tutto. Ziyech era il tunnel d’elastico al povero difensore del Legia Varsavia, il cross talmente illeggibile da far scontrare portiere e difensore avversario, l’oooh del pubblico sul lancio da lato a lato del campo, la palla tagliata con l’esterno che cade già stoppata nell’area del PSV. Ziyech era anche la traiettoria irreale del gol al Valencia, la leggerezza da giunco con cui riusciva a piroettare sul pallone. Al minuto 18 c’è un assist leggendario che non avevo mai visto, realizzato contro l’APOEL Nicosia. L’Ajax costruisce un’azione complicata e un po’ fortuita sulla trequarti, finché il pallone non arriva a Ziyech di spalle alla porta al limite dell’area. Il trequartista marocchino ha le mani dell’avversario sulla schiena eppure prova lo stesso a girarsi su sé stesso poco prima di controllare il pallone. Il difensore dell’APOEL pensa che è fatta: avanza il destro per anticipare il suo avversario ma è a quel punto che arriva il genio. Ziyech controlla il pallone con la punta del destro e senza aspettare nemmeno un momento chiude il compasso con il sinistro, facendo passare il pallone tra le gambe del difensore con un tocco da minigolf. Il pallone arriva a Huntelaar (già), che supera il portiere con un piccolo pallonetto salvato quasi sulla linea dalla difesa dell’APOEL.

Mi piacerebbe vendervi questo momento come la metafora della carriera di Ziyech. Una cosa piccola ma bellissima, andata in scena su un palcoscenico secondario, interrotta sul più bello. Sarebbe una consolazione raccontare la sua avventura in Inghilterra come un’incomprensione, il trequartista sublime che non riesce a sopravvivere dentro i ritmi della Premier League, il genio soffocato dalla fisicità del calcio contemporaneo. Ma facendo mente locale su ciò che è successo negli ultimi tre anni mi rendo conto che queste sono parole vuote. Che sto guardando un video di venti minuti a riassunto di un’esperienza durata 165 partite.

Poco prima della partenza per l’Inghilterra, i commentatori olandesi l’avevano presentato come il prodotto più pregiato del Paese. Frank de Boer aveva dichiarato che non l’avrebbe messo sotto il livello di Riyad Mahrez. Van der Vaart che è «il tipo di giocatore per cui guardo le partite di calcio». Gli scrittori britannici si erano concentrati sul suo gol al Chelsea in Champions League nella stagione precedente, che sembrava un segno del destino. Una punizione calciata a pochi passi dalla linea di fondo verso il sette più lontano, che probabilmente è come Escher avrebbe pensato una punizione. Dopo quel gol Ziyech si era girato verso i tifosi del Chelsea che lo stavano insultando, aveva scosso le testa allargando i palmi delle mani, gli angoli della bocca a puntare verso terra. Voleva far vedere che tutta quell’aggressività non lo toccava.

Era l’immagine più adatta a rappresentare “l’ipnotico talento che non ha paura di dire la sua”, come lo ha chiamato il Guardian nel febbraio del 2020. Una citazione diretta dello stesso Ziyech, che non si era tenuto nel rispondere a van Basten quando aveva detto che era “stupida” la sua decisione di scegliere il Marocco invece dell’Olanda.

Con il passaggio al Chelsea la sua storia di redenzione sembrava a un passo dal compiersi. Il ragazzo dall’adolescenza difficile, che aveva dovuto subire il trauma della morte del padre ad appena dieci anni, che aveva deciso di lasciare il calcio per prendere la strada sbagliata, che aveva visto due fratelli andare in prigione per piccoli furti. Poi l’incontro salvifico con Aziz Doufikar, il primo nazionale marocchino a giocare in Eredivisie, la decisione di riprendere dove aveva lasciato. «Questo è il passo giusto: Hakim è pronto adesso», aveva detto Doufikar del suo trasferimento in Inghilterra e sembrava la benedizione definitiva dall’uomo che aveva trovato le parole giuste per convincerlo a tornare a calciare un pallone. «Proprio com’è successo ad Hakim mio padre è morto prima che sfondassi, ed è difficile. Gli ho detto: i nostri padri ci guardano da lassù e dobbiamo renderli orgogliosi. Vieni, non preoccuparti, cominciamo».

Non si può dire che non abbia cominciato bene, Ziyech. Frank Lampard lo tiene sulla fascia destra in un 4-2-3-1 che con Havertz, Werner e Pulisic sembra un inno alla giovinezza. Ziyech mette a segno un gol e un assist alla terza partita giocata, contro il Burnley. In Champions League ce ne mette una in meno segnando in casa del Krasnodar, un tiro a incrociare da dentro l’area dopo essersi aggiustato il pallone con il tacco. Dopo quella partita Lampard lo riempie di complimenti. «Mi piace molto la sua personalità. Ci ho parlato appena dopo averlo comprato e sono rimasto colpito dalla sua autostima. Ha una fiducia interiore che amo. Abbiamo bisogno di giocatori che credano di essere esattamente nel posto in cui dovrebbero essere». Sembra l’inizio di una storia e invece saranno parole che nel tempo si accartocceranno al punto da diventare un ritratto negativo della sua esperienza a Londra, proprio come la doppia gestione Lampard d’altra parte.

Da quel momento Ziyech raramente sembrerà nel posto in cui sarebbe dovuto essere. Non con la fredda rigidità tattica di Tuchel, che dopo il passaggio alla difesa a tre non riuscirà più a trovargli un posto in campo. Non con il pragmatismo più solare di Potter, che pure era arrivato al Chelsea rigenerando giocatori che sembravano non avessero più nulla da dire.

La sua storia non è nemmeno una discesa agli inferi, non c’è alcun climax tragico che possa permetterci di riconciliarci con lui. Pochi alti (come la partita d'andata degli ottavi di finale di Champions contro l'Atletico, nel 2021) e moltissimi bassi, al di là dell’allenatore, senza nemmeno una parola di insofferenza. Ziyech gioca scampoli di partita mentre la sua squadra cerca di liberarsene in tutti i modi. Cos’è rimasto di quella luce che emanavano i suoi gesti? Dell’attesa che provavamo quando era in campo? Per lui si parla a lungo del Milan, poi addirittura di un ritorno all’Ajax, dove Tadic ha seppellito la sua memoria sotto una montagna di assist. Persino l’Olanda è diventata inspiegabilmente una terra ostile: i suoi più grandi estimatori, come van der Vaart, si augurano che non ritorni e gli unici a difenderlo tiepidamente sono i vecchi nemici. «Quando Tuchel lo fa entrare lo utilizza come centravanti. Può giocare in quel ruolo, considerando che è un buon giocatore, ma mi sembra una cosa abbastanza triste», dice van Basten «Il sistema di gioco di Tuchel non va semplicemente bene per lui. Se fossi Hakim direi a me stesso 'sapete che c'è, me ne vado’». Il problema è che nessuno sembra volerlo davvero. Se siano le sue richieste contrattuali o se semplicemente non sia più speciale agli occhi di chi lo guarda cambia poco.

La situazione diventa paradossalmente significativa nell’ultima sessione invernale di mercato. Ziyech viene da un Mondiale che ne ha in parte lucidato il valore. La federazione marocchina ha licenziato l’allenatore con cui ha litigato, Vahid Halilhodžić, pur di convincerlo a tornare in squadra. Il nuovo CT del Marocco, Walid Regragui, prima dell’esordio della Croazia dice: «Loro hanno Modric ma noi abbiamo Ziyech». Nel grande Mondiale del Marocco, che arriva fino alla semifinale, il giocatore del Chelsea non splende della luce delle parate di Bono, della personalità di Hakimi, delle finte di Boufal, ma sembra comunque in grado di poter ancora incidere a questo livello. Qualche anno prima il suo torneo sarebbe stata una delusione, adesso invece è una notizia. Forse, però, per i giocatori come Ziyech non fare poi così male è la peggiore delle notizie. Il riverbero del suo Mondiale in Europa non arriva. Potter accoglie il suo ritorno molto tiepidamente, dice che al Chelsea sono tanti i giocatori di qualità che stanno aspettando di entrare nell’undici titolare. Sul mercato, dove comunque continua a rimanere, diciamo che non c’è la fila per comprarlo.

C'è una certa assonanza tra la carriera di Ziyech e tutte le volte in cui ha provato a segnare da centrocampo, riuscendoci solo due volte e mai con le maglie di Ajax e Chelsea.

Solo negli ultimi giorni di mercato si riesce a imbastire una trattativa credibile con il PSG per un prestito secco di sei mesi. Un trasferimento che significherebbe la fine della carriera ad alti livelli per quasi tutti i calciatori, ma che nel grigiore degli ultimi anni di Ziyech è quasi un segno di vitalità. La trattativa si trascina avanti stancamente fino alle ultime ore di mercato e pare destinata a concretizzarsi, ma nel momento in cui ci sono gli ultimi documenti da firmare succede qualcosa di paranormale. Una specie di apparizione nel calciomercato del lapsus freudiano. Il PSG sbaglia una prima volta nel compilare i documenti, non sappiamo come, forse facendo un errore nello spelling del nome. Nel frattempo il tempo passa, ci si avvicina alla deadline e mi immagino gli impiegati del club parigino con le mani sudate e tremanti mentre i fogli gli si appiccicano sui polpastrelli e le penne gli sfuggono dalle mani. Il PSG sbaglia di nuovo una seconda volta e poi una terza volta mentre il tempo passa inesorabile. È impossibile pensare a questa scena senza mettersi a ridere. Ma per Ziyech è un’altra piccola tragedia, coronata dalla beffa di vedere il PSG fare appello contro la sua stessa incompetenza (non si saprà mai come andrà a finire).

Pochi giorni dopo scende in campo contro il Fulham, in quella che sarà la sua ultima apparizione da titolare con la maglia del Chelsea, ed è un disastro. Al 35esimo viene lanciato da Gallagher in area e, mentre prova a rincorrere la palla, sembra il negativo del giocatore che fu. Se l’allunga troppo con il primo controllo, poi prova a rallentarla con la punta del sinistro ma quella continua imperterrita la sua corsa dritto per dritto. Non vuole starlo a sentire. Alla fine, recuperato dalla difesa avversaria, decide di spostarsela sul destro e tentare il tiro, ma a quel punto è troppo lontana dal suo corpo perché possa uscire qualcosa di buono. La traiettoria sbilenca che finisce sul muro di tifosi dietro la porta è una parodia delle punizioni funamboliche con cui aveva costruito la sua street cred su YouTube. Il pubblico sembra esultare in maniera ironica, ma magari è il riflesso della mia coscienza a parlare. La partita finisce con un triste 0-0.

Adesso Ziyech sembra in procinto di muoversi di nuovo. I dirigenti sauditi sono passati a Cobham, hanno frugato nel cesto delle occasioni e hanno tirato fuori tre giocatori a caso: Mendy, Koulibaly e Ziyech. Tra i tre il trequartista marocchino è il più giovane e anche quello che sembra avere ancora qualche carta da giocarsi ad alti livelli. Ma ormai, credo, non lo sapremo mai. Forse è stato scelto anche per questo, perché con il suo profilo più fresco addolcisce l’immagine dell’Arabia Saudita come cimitero degli elefanti del calcio europeo. Chissà magari anche lui è contento di far risplendere nel mondo il nome della Saudi Professional League.

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