“Sei uno che per principio non s’aspetta più niente da niente. Tu sai che il meglio che ci si può aspettare è di evitare il peggio”. Lo scriveva Italo Calvino in Se una notte d'inverno un viaggiatore, pubblicato nel 1979. Lo ha pensato a lungo la Nazionale italiana di rugby, una squadra che per tanto tempo non si è aspettata "più niente da niente". Succederà di nuovo, in un futuro magari nemmeno troppo lontano, di tornare in campo cercando solo "di evitare il peggio". Ma non adesso, non dopo una vittoria come quella che gli Azzurri sono riusciti a conquistare sabato a Firenze, per la prima volta nella loro storia, contro l'Australia, che prima di sabato ci aveva sempre battuto, per ben diciotto volte.
Quello sceso in campo al Franchi è un XV che sembra finalmente pronto a giocare alla pari, dal punto di vista mentale almeno, contro qualsiasi formazione del mondo. Il gap tecnico con le Nazionali più importanti resta, e verrà probabilmente sottolineato già sabato prossimo, 19 novembre, nella sfida di Genova contro i campioni del mondo in carica del Sudafrica, eppure questa vittoria è diversa da tanti altri successi "storici", da match a volte conquistati più per andamento, che per convinzione.
L'Italia di Firenze è una squadra messa in campo da Kieran Crowley, cui vanno riconosciuti meriti sostanziali sia dal punto di vista tecnico che mentale, in maniera coraggiosa. La squadra italiana ha sfidato l'Australia decisa a prendersi rischi pesanti con i suoi tre-quarti, compatta nel difendere sulla linea dei cinque metri, micidiale nel ribaltare l'azione sulle palle riconquistate, finalmente competitiva anche nell'ultimo quarto di gara, grazie a una condizione atletica che ha sostenuto il gioco azzurro per ottanta minuti, consentendo alla mischia di battagliare sul breakdown senza mollare di un centimetro. La prima azione della partita è un condensato spettacolare della convinzione con la quale l'Italia è scesa in campo contro i "Wallabies".
Tommaso Allan, uno dei giocatori più "anziani" di una squadra molto giovane (29 anni e 64 caps sulle spalle), indossa la maglia numero 10 al posto di Garbisi, il talento più celebrato del rugby italiano recente, apertura titolare del Montpellier campione di Francia in carica, toccato duro nel match della settimana precedente, contro Samoa. Lancia un drop che precipita sulla linea dei 22 metri australiani, il seconda linea Darcy Swain non ci arriva, l'ovale lo supera e piomba addosso all'ala Tom Wright, che se lo fa sbattere addosso, commettendo un in-avanti. Gli "Azzurri" sono saliti forte, Morisi raccoglie il pallone e gioca il vantaggio, va a contatto, con un sottomano al volo per niente banale gira l'ovale al pilone Ferrari, che va a sbattere sul numero 9 Jake Gordon e imposta una ruck pulita. Arriva forte il sostegno, Varney tira fuori il pallone velocemente e lancia un altro punto d'incontro ad alta elettricità, con i fratelli Cannone che entrano a mille, uno accanto all'altro, e mettono a disposizione un ovale immacolato per il mediano italiano che, di nuovo, riapre rapidamente il gioco per il tallonatore Lucchesi: altra penetrazione durissima, e stavolta l'Australia deve difendere in fuorigioco per evitare il peggio. Ancora due fasi, poi Varney lascia andare in avanti il pallone su un tocco al braccio del seconda linea australiano Will Skelton, in uscita dalla fase a terra, per raccogliere la penalità. Tommaso Allan piazza per i primi tre punti: sono passati 1 minuto e 23 secondi dal fischio d'inizio.
L'arbitro neozelandese Pickerill fischia il calcio d'inizio e gli "Azzurri" partono subito alla conquista disperata del pallone.
La partita dell'Italia si è incardinata sul binario giusto grazie all'enorme lavoro della mischia, che ha dominato, per aggressività e forza mentale, gli avversari australiani. Il pacchetto degli avanti è stato trascinato da un Gianmarco Lucchesi, premiato come man of the match, invasato: quindici placcaggi, una quantità enorme di lavoro nelle fasi a terra, la penetrazione da touche che porterà poi alla prima meta di Bruno sull'ala destra del campo e poi tutta l'azione sulla seconda meta. Lucchesi prima sradica la palla uno contro uno su Skelton, quindi si rialza, si riposiziona sul fronte largo del terreno di gioco e sul cambio di fronte verso destra di Varney, all'uscita dalla ruck sul lato opposto, apre l'ovale, con un movimento da tre-quarti, lui che in teoria ricopre uno dei ruoli più tecnicamente "umili" della squadra, verso Allan. La sua prestazione e quella di Federico Ruzza (36 metri guadagnati, 15 placcaggi, 4 palloni portati avanti, 1 pallone recuperato), sono le più roboanti di un pacchetto che tutto insieme, da Lorenzo Cannone fino al capitano Lamaro, ha fatto la differenza nella fasi di gioco aperte così come in touche e in mischia.
La prestazione degli avanti italiani è un'iniezione di fiducia fondamentale per un gruppo che a luglio era uscito a pezzi dalla terribile sconfitta contro la Georgia, e che avrà adesso la prova del fuoco, sabato prossimo, contro gli avanti più massicci e abrasivi del rugby contemporaneo: la mischia degli Springboks.
La mischia italiana non si è fatta valere solo nelle fasi dinamiche, ma ha lavorato bene anche in quelle ordinate, disturbando le touche australiane e facendo soffrire tremendamente la prima linea "Wallabies".
Josh Garder, editor gallese della rivista Guitar, ma soprattutto co-host di uno dei più seguiti podcast di rugby in Europa, Blood & Mood, subito dopo la partita ha posto un interrogativo affascinante: "E se Capuozzo fosse il miglior giocatore del mondo in questo momento?".
La risposta, dopo un match come quello giocato dall'estremo italiano contro l'Australia, non sarebbe obiettiva, ma di sicuro il giocatore ventitreenne dello Stade Toulosain, appena sei presenze in maglia azzurra, è il giocatore che oggi più riesce ad accendere la fantasia degli appassionati di rugby di tutto il mondo. Se l'Italia è riuscita a sconfiggere l'Australia, una parte importante del merito va anche a questo giocatore, che ha nell'imprevedibilità delle sue giocate, nella velocità di punta, nel cambio di passo repentino e inatteso, nel coraggio di andare a combattere le battaglie aeree senza timore, nonostante un fisico (1 metro e 77 centimetri per 71 chili) non esattamente corazzato, caratteristiche uniche per la nostra squadra.
Pierre Bruno, Monty Ioane, Ignacio Brex, Edoardo Padovani, Luca Morisi, lo stesso Tommaso Allan, hanno tutti giocato una partita mostruosa, soprattutto per mentalità, giocando palla in mano senza timore reverenziale, attaccando da ogni parte del campo, mettendo sempre in difficoltà gli avversari negli uno contro uno in gioco aperto. Ma il talento del ragazzo nato e cresciuto in Francia, vicino a Grenoble, da padre napoletano e che ha voluto con tutte le sue forze vestire la maglia azzurra, rifiutando gli approcci dei "Bleus", nasconde qualcosa di unico e dà evidentemente una sicurezza diversa a tutto il reparto. Si nota da come lo cercano i compagni, da come Ioane gli lascia il pallone della seconda meta, che c'è grande fiducia, da parte della squadra, rispetto alle caratteristiche tecniche del nostro estremo. Capuozzo dà sempre la sensazione che, palla in mano, possa inventare in ogni momento un miracolo, che possa trovare una linea di corsa vincente, una sferzata elettrica con cui infilarsi dentro un canale aperto, e chiudere l'azione schiacciando l'ovale in area di meta.
Tutta l'azione mostra una confidenza palla in mano inedita per la squadra italiana a questi livelli, ma la naturalezza con cui Capuozzo taglia verso l'interno e chiude in meta è semplicemente incredibile.
La seconda segnatura italiana, con la finta del passaggio verso Bruno e poi il taglio secco verso l'interno, chiuso con la meta, è una combinazione di tecnica, esplosività, intelligenza tattica, convinzione nei propri mezzi: Capuozzo fa la scelta giusta, ma la fa alla velocità della luce e ci attacca un vero e proprio scoppio di potenza, una gioia per gli occhi di chi ama il rugby. Dopo la prestazione di Firenze, World Rugby ha ufficializzato la sua candidatura a Breakthrough Player of the Year per il 2022, il giocatore rivelazione dell'anno. Questo premio, che nelle edizioni precedenti è stato vinto da atleti del calibro di Maro Itoje e Romain Ntamack e per il quale Capuozzo sembra partire favorito, testimonia la stima assoluta, anche a livello internazionale, che c'è intorno alle potenzialità di questo ragazzo.
Se il suo percorso di crescita dovesse continuare al ritmo degli ultimi dodici mesi, l'Italia potrebbe, finalmente, aver trovato il punto di riferimento tecnico intorno al quale far crescere una generazione di giocatori pronta per compiere un salto di qualità definitivo.