
L’era dei big three ha avuto la grandezza immane e impensabile delle epoche della storia giapponese. Ha avuto la lentezza epica e gloriosa dei colossal, la solennità delle saghe. Abbiamo iniziato a seguire il tennis quando Federer vinceva tornei, ci siamo laureati con Djokovic che concludeva stagioni perfette, siamo entrati nel mondo del lavoro con Federer che ricominciava a vincere tornei e qualcuno di noi ha avuto figli mentre Nadal ancora vinceva il Roland Garros, anno dopo anno, ripetendo un rituale eterno come l’Halloween di Nightmare Before Christmas. Gli stessi dritti arpionati, gli stessi effetti, ma sempre un po’ più stanchi, dietro un’hairline in retrocessione.
Si è iniziato presto a parlare della loro fine, ma la loro fine non arrivava mai. Il tramonto è stato lungo, interminabile, e le sue ombre hanno finito per allungarsi su tutto. L’epoca di Djokovic, Federer e Nadal sembrava non poter finire mai e l’averne dichiarato precocemente la fine - si è iniziato a parlare nel 2009 di ritiro per Federer - ha acuito la percezione della sua durata. Oltre al funzionamento oligarchico del tennis, dove i giocatori più forti tendono ad affrontarsi di più, dandoci l’impressione di assistere all’eterno ritorno dell’identico. I loro scontri talvolta sono stati barbosi e prevedibili, altre volte titanici, indimenticabili.
Guardiamo indietro a quest’epoca ma siamo ancora troppo prossimi, per capirla completamente. E la sua fine è stata così lunga e progressiva che forse non ci siamo resi del tutto conto che oggi è finita.
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