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Antonio Cunazza
Perché sempre più maglie si ispirano all'architettura
17 set 2020
17 set 2020
Un binomio esploso quest'estate, con alcuni memorabili esempi nel passato.
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Antonio Cunazza
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Quest'estate le maglie da calcio hanno scoperto l’architettura. Una rivoluzione di colori e forme atterrata sui nuovi kit ufficiali, con gli sponsor tecnici che sembrano aver trovato un modo per portare sulle maglie una certa idea di identità attraverso la cultura e in particolar modo proprio usando l’architettura delle città.

 

Se è vero che il mondo della moda e del design da alcuni anni ha ormai definitivamente sdoganato l’abbigliamento sportivo come oggetto “fashion”, con una curva evolutiva iniziata con l’estetica pop lanciata negli anni ‘90, passando poi attraverso il traino di altri sport (in particolare il basket NBA e, in misura minore, il tennis), la decisione di alcuni marchi di esplorare i temi culturali delle città, e re-inventarli per le maglie da gioco, appare come una scelta eccezionale e dirompente, riuscita su più livelli.

 



Quando il Messico si presentò ai Mondiali di calcio 1998, in Francia, con una maglia che rappresentava la propria cultura di Età precolombiana stupì il grande pubblico. Sia la maglia da casa, di colore verde, che quella da trasferta, bianca, sfoggiavano un complesso disegno rappresentate il dio del sole Tonatiuh, circondato dall’intero intreccio di geometrie e simboli replicato dalla

(detta anche pietra di Tenochtitlan, oggi conservata al Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico), scoperta nel 1790 sotto la piazza principale della capitale del Paese.

 

Disegnata dal brand tecnico ABA Sport, marchio locale di Monterrey, quella maglia ambiva a rappresentare la cultura e la storia del Messico, e le faceva conoscere al mondo attraverso uno degli elementi estetici più semplici da comprendere per il grande pubblico.

 


OMAR TORRES/AFP via Getty Images


 

In un momento storico in cui i “pattern” colorati e geometrici degli anni ‘90 stavano arrivando al capolinea (spariranno quasi del tutto a cominciare dai successivi tornei di Euro 2000 e Mondiali 2002), e mentre l’unica fonte d’ispirazione sembrava essere la re-interpretazione di grandi classici del passato (la Francia campione, per esempio, indossava un kit che replicava quello vestito all’Europeo 1984), la maglia del Messico fu un oggetto di culto immediato – e lo è ancora oggi – ma per molto tempo rimase un caso isolato.

 



In anni recenti, dopo una fase di idee per le maglie da calcio molto minimali (con template replicati in serie da una squadra all’altra, solo variando i colori), con qualche spunto eccentrico completamente slegato dalla realtà (colori fluorescenti o maglie totalmente di rottura rispetto alla tradizione), qualche tentativo di inserire l’identità locale sulle maglie ha iniziato a fare capolino in particolare con il marchio inglese Umbro che, per la stagione 2016/2017, decise di inserire le coordinate geografiche dei rispettivi stadi all’interno del colletto delle maglie ufficiali. In abbinamento a questo, ma non per ogni squadra, veniva incluso anche un piccolo simbolo rappresentativo del club: sulla maglia dell’Everton ad esempio, venne inserita una trave reticolare stilizzata come riferimento a uno degli elementi strutturali più importanti di Goodison Park (anche il Bari quell’anno vestì Umbro ma, oltre alle coordinate dello Stadio San Nicola, riportava solo un motto sul retro del colletto).

 

Qualche squadra ha provato a esplorare il tema “identità cittadina” negli ultimi vent’anni con grafiche più “invasive”, seppur sempre in modo episodico, in particolare inserendo la sagoma del proprio stadio in filigrana sul fronte della maglia. Lo aveva fatto il Bologna nel 2016, con il profilo della Torre Maratona dello Stadio Dall’Ara sulla terza maglia; lo farà l’Atalanta sul kit da trasferta 2020/2021, con la struttura stilizzata del rinnovato Gewiss Stadium, e

: la maglia “Memorial Uniform”, un edizione limitata, riportava sul davanti una panoramica interna dello stadio Todoroki Athletics Stadium e, sul retro, addirittura una sezione di progetto della nuova tribuna appena rinnovata.

 

Apripista di quest’idea era comunque stato il Manchester United che sulla divisa Umbro del biennio 1994/1996 riportava una prospettiva interna di Old Trafford stampata in chiaroscuro.

 



 



Tutti gli esempi che abbiamo analizzato finora sono però da catalogare in un elenco di casi estemporanei, celebrativi, ma slegati da un contesto. Ciò a cui stiamo assistendo in questo periodo, invece, è totalmente nuovo e pensato in un modo molto più coerente.

 

La collezione “Crafted from Culture” realizzata da PUMA (tradotto, maglie modellate dalla cultura) è la definitiva consacrazione di un’idea ambiziosa e spesso accarezzata in passato, ma mai resa davvero concreta prima d’ora: veicolare la cultura attraverso il calcio, facendola conoscere ai tifosi e, perché no, provando a esplorarla per avvicinare nuovi segmenti di appassionati attraverso design che rafforzano il senso d’identità.

 

In questa lunga estate abbiamo assistito al lancio di tutta una serie di kit espressamente creati con questo obiettivo. E non soltanto con Puma, fra l’altro, ma anche con altri esempi sparsi fra Adidas, Kappa o Nike. Tutte maglie realizzate per rappresentare qualcosa che fa parte delle rispettive città, dei luoghi che le legano ai club e ai loro tifosi, e dei dettagli che possono sottolineare un senso di identità locale forse in contrasto alla globalizzazione del calcio contemporaneo che tende a annacquare il rapporto tra la squadra, il tifo e le città.

 

Come esempi legati all’arte spiccano i mosaici che definiscono le maglie Puma per il Rennes, il Milan (con

alla galleria Vittorio Emanuele II) e il Manchester City: da quelli realizzati in epoca Art-déco da Isidore Odorico (artista italo-francese che fu anche giocatore e poi presidente del club della Bretagna), a quelli urbani della

anni ‘80-’90, che rappresentano le sottoculture musicali e sociali di un’intera

.

 



 

Con il City, poi, Puma ha anche pescato dall’architettura, con i riferimenti alle aree industriali dell’Ottocento, così come ha fatto per il Valencia, riportando le linee tardo-gotiche della volta della Loggia della Seta, sotto la quale si sviluppava il viavai dei mercanti nel ‘500, e ancora con i riferimenti all’Orologio Astronomico di Praga sulle maglie dello Slavia (con i segni zodiacali che creano un pattern ripetuto, insieme al simbolo araldico della città).

 



 

Non è facile, ovviamente, riportare l’architettura su un capo d’abbigliamento. Si rischia l’effetto-stampato, come una semplice sagoma riportata fedelmente ma fuori dal contesto. Non mancano infatti i tentativi dimenticabili, come il marmo delle sale interne di Highbury replicato in modo piuttosto goffo sulla maglia dell’Arsenal, o l’effetto-cartolina sulla maglia del Monaco, con una serie di luoghi simbolo del Principato raggruppati in modo un po’ troppo banale.

 

Ma la ricerca che gli sponsor tecnici si sono prodigati nel fare, e che è alla base dei design prodotti, sottolinea un genuino tentativo di ritrarre i club attraverso luoghi che li rappresentano, scelti con cura per i significati che possono comunicare. Il tema, quindi, diventa la valorizzazione della squadra non come entità sportiva a sé stante, o come semplice marchio in cui credere ciecamente, ma riuscire a trasmettere al pubblico l’esistenza di una vera storia e di un percorso che lega ogni squadra alla propria città.

 

, ad esempio, sono diventate un

, come si dice, perché vanno ad attingere dalle diverse anime della città, con un pattern geometrico stilizzato che replica l’idea architettonica dell’Unité d’Habitation di Le Corbusier (che definì un’intera visione dell’edilizia abitativa post-Seconda Guerra Mondiale), per poi virare su una rappresentazione più affascinante e fantasiosa della città vecchia, sulla maglia da trasferta.

 



 



La delicatezza con cui i soggetti sono stati scelti, e re-inventati, per diventare forme e colori ripetibili su un’intera maglia, denota una sensibilità completamente nuova da parte da parte dei brand.

 

Se questo tentativo di mescolare sport e arte potrebbe essere letto, troppo sbrigativamente, come un’operazione di marketing, non si può negare la forte componente divulgativa che hanno queste maglie, per la capacità che ha una bella divisa da gioco di penetrare l’immaginario comune e quello del tifoso.

 

La maglia del Messico, nel 1998, contribuì a stimolare in molti adolescenti la curiosità e la fantasia riguardo la storia e l’arte del Paese centro-americano (e lo fece anche su chi vi scrive, a essere onesti). In modo ancor più profondo, e grazie a una globalizzazione mediatica di livello mondiale, veicolare messaggi culturali e architettonici oggi, come se fossero cartoline spedite a migliaia di persone in giro per il mondo, equivale a far conoscere certi luoghi e la loro storia a una platea più vasta di quella che può raggiungere un prodotto culturale più tradizionale.

 

È paradossale, ma proprio per questo molto interessante, come i club, sempre alla ricerca di ampliare la propria

(quel misto di appassionati che va dai tifosi locali, custodi delle tradizioni, ai followers stranieri, consumatori del prodotto), abbiano scelto un messaggio di vera identità storica per farlo. Quasi a voler portare le persone verso di sé attraverso l’espressione della propria identità più storica, e per questo a molti sconosciuta, piuttosto che provare ad accattivarseli vestendoli come un marchio di moda.

 

Ovviamente, e con un po’ di rammarico, la relazione tra maglie e architettura esplosa all’improvviso non potrà avere vita troppo lunga. Potrà senz’altro essere un tema riproposto in futuro, con nuovi soggetti frutto di ricerche ancora più mirate e approfondite, ma i brand non possono pensare di sfruttarlo per due o tre anni consecutivi in modo meccanico. Farlo significherebbe scadere nella ripetitività, trasformando una splendida operazione di ricerca estetica in un gioco di copia/incolla che finirebbe per svilire il senso divulgativo principale.

 

A cominciare dalle maglie “Rinascimento” della Nazionale Italiana, i nuovi kit legati ai soggetti culturali vanno presi come uno spiraglio sull’arte e sulla conoscenza. Un trend che, forse, ci fa essere un po’ meno tifosi e un po’ più appassionati, ma ci fornisce uno strumento eccezionale per conoscere luoghi nuovi, tradizioni e legami identitari che fanno del calcio un affascinante fenomeno sociale.

 

 

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