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Emanuele Mongiardo
Perché il Milan ha smesso di segnare
15 apr 2022
15 apr 2022
A cosa sono dovute le difficoltà in attacco avute nell'ultimo periodo.
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Emanuele Mongiardo
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A sei giornate dalla fine del campionato nessuna delle squadre in lotta per lo scudetto è stata ancora in grado di dare lo strappo decisivo per la vittoria finale, più per demeriti collettivi che per meriti. Milan, Inter e Napoli alternano momenti di brillantezza a gare in cui, contro ogni pronostico, lasciano punti per strada e rimettono tutto in discussione.

 

Dopo il colpo d’accetta di Bennacer contro il Cagliari, il Milan sembrava nettamente la squadra indirizzata verso lo scudetto. All’Unipol Domus, per i rossoneri, era arrivato il terzo successo consecutivo per 1-0 – dopo quelli con Napoli ed Empoli – un cinismo che in Italia è spesso sinonimo di trionfo. Invece al ritorno dalla pausa per le nazionali, la squadra ha finito per regredire ulteriormente: contro Bologna e Torino sono arrivati solo pareggi a reti inviolate. Due 0-0 molto diversi tra loro, come diversi erano gli avversari. Contro il Bologna ha pesato una certa povertà d’idee: il Milan non riusciva a segnare, si è fatto prendere dall’ansia, e così, una squadra che in media crossa 17 volte a partita (dati WhoScored), ne ha eseguiti ben 44, senza alcun risultato. Contro il Toro, invece, come confermato da Pioli nel post partita, il Milan aveva trovato il modo di volgere a proprio favore il sistema difensivo del Torino, ma cattive interpretazioni individuali avevano impedito di portare a buon fine il piano.

 

Il Milan ha già dimostrato nel corso della stagione di avere problemi d’approccio contro squadre medio-piccole, tuttavia le ragioni di una tale e improvvisa difficoltà offensiva non possono essere solo emotive.

 



Ciò che ha trasformato il Milan in una squadra da scudetto è stata l’affinità tra le idee dell’allenatore e le caratteristiche dei calciatori in rosa. Già nella squadra ereditata da Giampaolo era evidente come ci fossero calciatori perfetti per le idee di Pioli, uno degli allenatori più verticali del panorama italiano, forse quello più propenso all’uso del pressing alto in chiave offensiva. Pioli, però, non si è solo adagiato sulle caratteristiche dei suoi, ma li ha plasmati per arricchirne il bagaglio, fino a trasformarli in giocatori evoluti, capaci di assolvere a più funzioni e di calpestare zone di campo lontane da quelle abituali del proprio ruolo. Il Milan adesso è pieno di calciatori polivalenti, soprattutto tra centrocampo e difesa, e Pioli si può sbizzarrire a disporli in maniera differente a seconda degli avversari.

 

Theo, ad esempio, ormai passa più tempo accanto ai mediani che sulla fascia sinistra. È una scelta all’apparenza controintuitiva: di solito, da “falsi terzini” agiscono interpreti più cerebrali, mentre laterali con le qualità atletiche di Theo rimangono vicini alla fascia. Nel Milan, però, l’uso del francese in zona centrale ha senso: si lascia Leao libero di ricevere più aperto, quindi frontalmente, e, soprattutto, si dà la possibilità a Theo di provare con più frequenza il tiro dalla media distanza, situazione in cui raramente non centra la porta. Il francese è la personificazione della fluidità del Milan, che però coinvolge un po’ tutti: può capitare di vedere salire a centrocampo uno tra Kalulu e Tomori mentre le ali rimangono più aperte dove è più facile ricevere, è successo ad esempio col Torino, che spesso intasa il centro del campo.

 

Insomma, il Milan ruota con grande consapevolezza tra difesa e centrocampo: ci sono determinati spazi da occupare e ognuno, indipendentemente dalla propria posizione di partenza, deve essere in grado di riconoscerli e raggiungerli. Una disposizione di questo tipo, di solito, prelude una costruzione ragionata, volta a trovare compagni liberi sia sul lungo che sul corto. Il Milan sa come impostare con raziocinio – era evidente soprattutto nei mesi con Rebic punta, in cui i movimenti profondi del croato allungavano gli avversari e liberavano spazi tra le linee. Tuttavia, un po’ per la sua anima verticale, un po’ per la presenza di Giroud, spesso la disposizione ordinata in difesa serve a costruire un lancio pulito in avanti più che una risalita palla a terra, con i giocatori intorno a lui pronti a contendere la seconda palla. Questo però sta portando a un abuso del lancio lungo, opzione cercata dai difensori anche in assenza di pressing. È una soluzione efficace, perché il Milan legge bene le seconde palle - Bennacer in particolare è uno specialista – ma quello che sta mancando è la fase successiva.

 

In questo senso il Milan sta pagando il brutto momento di Brahim. Lo spagnolo a inizio stagione aveva fatto la differenza proprio grazie alla capacità di offrire uno scarico per consolidare il possesso dopo la seconda palla. La magia di quei mesi, però, sembra svanita. Tra Cagliari, Bologna e Torino, Brahim più volte non ha saputo convertire il lavoro a rimbalzo dei compagni in comode transizioni. Si è trattato di errori banali, appoggi fuori misura di diversi metri anche senza troppa pressione. Lo spagnolo è il caso più evidente della poca lucidità del Milan, ma neanche i suoi compagni d’attacco possono dirsi innocenti. Si è visto soprattutto contro il Torino: Pioli aveva un piano per ritorcere contro Juric i riferimenti sull’uomo, il margine di riuscita contro squadre così radicali nelle marcature, però, è molto ristretto. Il Milan riusciva a creare minuscole finestre di tempo in cui i suoi giocatori ricevevano alle spalle dei marcatori e quindi, per un attimo, riuscivano a scoprire la palla. I giocatori dovevano sfruttare al massimo quegli istanti di libertà con la palla, perché i giocatori del Toro sarebbero rientrati subito. Invece, le cattive scelte hanno negato occasioni pulite.

 

Uno dei pattern più ricercati, ad esempio, prevedeva lo scatto in profondità di Brahim per abbassare Lukic e creare un vuoto nel centrocampo del Toro. Contestualmente, da dietro doveva arrivare la verticalizzazione per Giroud, mentre da destra Saelemaekers – o più di rado Calabria – stringeva nel buco creato dal movimento di Brahim per raccogliere da terzo uomo la sponda di Giroud. A quel punto il Milan poteva puntare l’area, con la difesa del Toro costretta a correre all’indietro. Come detto, però, le letture errate hanno inficiato la rifinitura. Pioli stesso, a differenza dell’opinione pubblica, non si è detto insoddisfatto dopo la gara col Torino: «Ci sta mancando un pizzico di intuizione in più al momento giusto. tante situazioni potevano diventare chiare occasioni da gol ma poi non lo sono diventate. […] Avevamo preso il tempo giusto negli inserimenti ma tante volte non abbiamo fatto l’imbucata col tempo giusto».

 

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Le scelte sbagliate hanno inciso sul risultato, ma la fase offensiva del Milan è sembrata più viva. Merito, anche, del ritorno di Saelemaekers. Messias è un giocatore monotono nei movimenti senza palla, non avrebbe mai stretto verso il centro per raccogliere la sponda di Giroud. In più, il belga è migliore di lui nei controlli orientati, con cui riesce a distanziarsi dal marcatore e a preparare la conduzione o il passaggio. Insomma, al Milan in questo momento serve tutto meno che un’ala statica e monopiede e non sembrerebbe improbabile un ritorno stabile di Saelemaekers tra i titolari.

 



Se il fronte offensivo del Milan ha peccato di intelligenza nella gestione di possibili azioni da gol, delle volte al portatore di palla sono mancate proprio le opzioni. Quando i rossoneri si avvicinano al limite dell’area, c’è l’impressione che la squadra si appiattisca e giochi quasi con il paraocchi, con sole corse verso la porta. Ne ha parlato anche Pioli alla vigilia della partita col Genoa: «Nelle ultime partite non credo che il nostro problema sia stato riempire l’area con tanti giocatori. Credo che dobbiamo essere molto bravi a non riempirla troppo presto, perché se stai dentro l’area già in anticipo, sei un punto di riferimento più facile da marcare per l’avversario».

 

Soprattutto se la palla arriva sul vertice dell’area, spesso negli attacchi del Milan si vedono solo movimenti in avanti verso la porta. Le corse in profondità di alcuni, dovrebbero essere compensate da movimenti a sfilarsi incontro di altri, in modo che chi ha la palla non debba fossilizzare su dei cross che a quel punto la difesa si aspetta ma avere anche la possibilità dello scarico dietro. La poca varietà di movimenti ha avuto effetti deleteri soprattutto sulla fascia destra, dove Messias si è incaponito ancora di più nella ricerca del dribbling verso l’interno.

 


Messias rientra sul sinistro. In area ci stanno andando già Calabria e Giroud. Anche Brahim, però, decide di correre in avanti. Avrebbe dovuto rimanere più basso e avvicinarsi a Messias per dargli uno scarico. Il brasiliano conclude l’azione con un cross lento


 

Al Milan quindi serve una miglior ripartizione degli spazi vicino l’area, sia in fase di attacco posizionale che di transizione per essere pericoloso. Potrebbe offrire soluzioni alternative una maggior presenza dei centrocampisti negli ultimi trenta metri. Se gli attaccanti avevano la possibilità di correre, nelle ultime partite non sempre i mediani riuscivano ad accompagnare per offrire uno scarico all’indietro vicino al limite dell’area.

 



Vale la pena soffermarsi, infine, su una peculiarità del Milan. Tutte le squadre, ormai, occupano l’ampiezza su entrambi i lati sia per generare profondità e ricezioni tra le linee, sia per trovare l’uomo libero sul lato opposto. Pioli, invece, si allontana dal canone: raramente il Milan occupa in maniera fissa l’ampiezza sui due lati e, anzi, molte volte i rossoneri rimangono stretti anche sul lato palla. Più che servire sui piedi un giocatore aperto – soluzione a volte esplorata con Leao – a Pioli interessa occupare in maniera dinamica l’ampiezza. È un pattern evidente soprattutto a sinistra, dove sia Theo che Leao amano stringere. Sviluppare senza ampiezza è difficile, ma il Milan, nei suoi migliori momenti, riesce a ricavare vantaggi grazie alle straordinarie qualità del francese e, soprattutto, del portoghese.

 

Se terzino e ala partono stretti, gli avversari possono permettersi di rimanere più vicini al centro con la linea difensiva e se la difesa rimane stretta, allora c’è spazio in ampiezza. Lo spazio che si crea, il Milan lo usa per far combinare Leao e Theo (sempre loro). In particolare l’ala portoghese può generare vantaggi anche ricevendo molto largo, sulla linea laterale, grazie alla sua capacità di saltare l’uomo. A volte però Pioli vuole che Leao si stringa nel mezzo spazio mentre un giocatore più arretrato con una sovrapposizione esterna occupa in corsa lo spazio in ampiezza, così da ricevere lo scarico rivolto verso l’area. È un gioco che richiede precisione, soprattutto nell’attesa della sovrapposizione e nell’esecuzione dello scarico: contro il Bologna, Leao, dal mezzo spazio, ha avuto un paio d’occasioni per servire Tonali che si allargava in corsa, con la possibilità di costruire un comodo cross rasoterra da dentro; il portoghese, però, non è stato preciso oppure lo ha ignorato.

 

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Occupare l’ampiezza in corsa solo in un secondo momento richiede notevole dispendio per chi si allarga da dietro. A volte le distanze da percorrere sono ampie e, per quanto Leao o Brahim riescano a ricevere col terzino avversario stretto, non sempre c’è qualcuno disposto a sovrapporsi: a quel punto, la manovra senza ampiezza diventa monca e al Milan rimangono solo giocate facili da leggere per la difesa.

 


Stavolta è Brahim a ricevere sulla trequarti. Leao taglia profondo abbassando Zima. Si crea una voragine sulla fascia. Fuori inquadratura, Kessié, ma soprattutto Kalulu più alto e largo, potrebbero alzarsi per approfittarne e offrire uno scarico facile a Brahim. Invece restano ancorati alla posizione e Brahim, già frettoloso di suo, prova un filtrante velleitario per Leao


 

Se poi l’ampiezza manca sul lato debole invece che sul lato palla, i rossoneri non hanno nessuno pronto ad attaccare il secondo palo sui cross, un tratto distintivo della fase offensiva di quasi tutte le squadre di Serie A, a cui però Pioli rinuncia. Certo, Giroud se si stacca all’indietro riesce spesso a svettare, ma la presenza di qualcuno incaricato di stringere sul lato cieco renderebbe di certo più scomoda la vita alla difesa. Senza considerare che non avere nessuno aperto sul lato opposto permette agli avversari di scivolare più facilmente verso il lato palla.

 

Il prossimo avversario del Milan è il Genoa di Blessin, una delle squadre migliori dell’ultimo periodo dal punto di vista difensivo. I rossoblu, senza palla, sanno adottare diversi tipi di atteggiamenti. Se aggrediscono in alto, sanno accorciare e fare densità intorno alle seconde palle. Se abbassano il blocco, sanno tenere strette le linee. Insomma, un avversario davvero probante per il Milan in crisi di gol. Se però si giocasse a ritmi alti e i rossoneri si dimostrassero più preparati degli avversari nel recupero delle palle contese, allora lo scenario potrebbe favorirne le caratteristiche.

 

Un po’ per l’età, un po’ per il percorso, il Milan è una squadra particolarmente emotiva, nel bene e nel male. Nelle ultime partite, ogni contropiede fallito per un passaggio banale ha alimentato un errore successivo, fino a quando la frenesia non ha trascinato fuori partita anche i pilastri della squadra. Ad un gruppo che spesso va ad ondate, sia nell’arco di una stagione che nei novanta minuti, potrebbe bastare davvero poco per ritrovare l’entusiasmo e magari la lucidità, ciò che ha compromesso le ultime due partite.

 

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