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Nicholas Gineprini
Perché i cinesi non sono bravi negli sport di squadra?
16 ago 2017
16 ago 2017
La risposta è da cercare nel sistema educativo e culturale del paese.
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Nicholas Gineprini
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Quando si parla di sport cinese una questione comune è la seguente: «Perché in Cina ci sono più di un miliardo di persone ma non se ne riescono a trovare undici decenti per formare una squadra di calcio?».

 

Quando si prova a rispondere, usando uno stereotipo flebile, si dice che gli asiatici non hanno una struttura fisica adatta per il calcio. L’altra questione, ben più concreta, riguarda il fatto che in Cina la cultura calcistica si è sviluppata con parecchi anni di ritardo e non è radicata fra i bambini.

da qualche anno allena con la scuola internazionale wwcamp i bambini cinesi negli asili e nelle scuole primarie di Chongqing, la quarta municipalità cinese: «Sono rimasto stupito del fatto che i bambini hanno toccato per la prima volta un pallone da calcio con me. In Italia a 5-6 anni quando si arriva in una Scuola Calcio si ha una chiara concezione di questo sport, qua in Cina invece spesso non sanno cosa sia e devono capire il motivo per cui la palla deve entrare nella porta».

 

L’assenza di una

è un fattore penalizzante per le ambizioni di gloria della Cina, ma per trovare una vera risposta alle difficoltà nel calcio bisogna scavare ancora più in profondità. C’è bisogno di analizzare l’intera sfera sportiva cinese, non solo quella calcistica per porci un’altra domanda: «Perché la Cina eccelle nelle discipline individuali e raramente riesce a ottenere risultati a livello globale negli sport di squadra?».

 

Dopo aver partecipato a Helsinki 1952 senza aver vinto medaglie, la Repubblica Popolare Cinese di Mao Zedong si isolò dal mondo sportivo per la questione riguardante il riconoscimento di Taiwan. Il reintegro nel Comitato Olimpico Internazionale avvenne solo nel 1979 e i primi giochi conditi da medaglie furono le Olimpiadi di Los Angeles, boicottate dalla maggior parte degli stati del blocco orientale. Da quel momento la Cina ha portato a casa 541 medaglie, di cui 224 ori. L’apice è stato toccato nelle Olimpiadi casalinghe del 2008 con 100 medaglie e il primo posto nella classifica finale per la prima e unica volta nella sua storia.

 

La Cina eccelle negli sport individuali: 69 medaglie nei tuffi, 54 nel sollevamento pesi, 73 nella ginnastica, 53 nel table tennis, 56 nel tiro, 41 nel badminton, 43 nel nuoto, 27 nell’atletica e 22 nel judo. Queste medaglie, arrivate tutte da sport individuali, rappresentano l’80% del totale. Anche se alcune di queste competizioni annoverano anche più atleti (tuffo sincronizzato, squadre di ginnastica, staffette nel nuoto e nell’atletica), di base rimangono sport individuali. Le uniche medaglie di sport collettivi conquistate dalla Cina nel corso della sua storia riguardano il volleyball (3 ori, 1 argento e due bronzi), il canottaggio (1 oro, 4 argenti e 4 bronzi), il nuoto sincronizzato (3 argenti e 2 bronzi). Altri risultati minori: un argento e un bronzo su basket e beach volley; un argento su hockey su prato e soft ball, e infine un bronzo pallamano. Le medaglie negli sport di squadra rappresentano quindi appena il 4,9% del totale. Per dare una proporzione, per l’Italia costituiscono invece il 15,5% del totale.

 

Un dato interessante da sottolineare riguarda il genere. Le medaglie nel volleyball, basket e calcio sono solo femminili, così come la maggior parte di quelle conquistate nel canottaggio. Nel corso della storia ci sono stati alcuni atleti maschili di spicco internazionale in sport come calcio e basket. Negli anni 20 e 30 la nazionale calcistica della Repubblica Cinese, rappresentata quasi esclusivamente da elementi del South China di Hong Kong, è rimasta imbattuta per 13 anni, dal 1923 fino alle Olimpiadi berlinesi del 36, grazie anche alle leggendarie prestazioni di

. Anche nel Basket la Cina si è fatta notare per alcune stelle che hanno militato in NBA, sei, da Mengku Beteer (Denver Nuggets) a Yao Ming, la cui fama potrà essere ereditata da Zhou Qi, un colosso da 2.16 metri di soli 21 anni, che dalle montagne dello Xinjiang si è da poco trasferito a Houston.

 

Nel basket la Cina ha vinto 16 delle 21 manifestazioni per nazioni asiatiche, ma dal punto di vista mondiale il miglior piazzamento rimane l’ottavo posto nel 1994. Decisamente migliori i risultati della rappresentativa femminile, che oltre ad essere la compagine più titolata d’Asia, vanta un argento e un bronzo sia alle Olimpiadi che ai Mondiali. Se almeno nel basket le rappresentative maschili hanno sollevato trofei, per quanto riguarda volleyball e calcio il paragone fra i due sessi neanche sussiste.
Aggiustata un po’ allora, a questo punto la domanda diventa: «Perché la Cina eccelle nelle discipline individuali e raramente riesce ad ottenere risultati negli sport di squadra eccezion fatta per le donne?». Eliminando subito una questione: la risposta non risiede nel corpo ma nella mente, per cui dobbiamo addentrarci nel sistema culturale cinese per trovare una risposta.

 



 



 

I caratteri cinesi sono a decine di migliaia. Possono essere singoli o combinati fra loro per formare nuovi suoni e parole; senza contare i toni, che sono quattro nel mandarino standard, e addirittura sette nel cantonese. Il tono modifica il contenuto di un messaggio, con il rischio di incappare in qualche figuraccia: state attenti nel chiedere una penna (Bǐ笔) a una ragazza, perché se sbagliate il tono la richiesta riguarda il suo organo riproduttivo (Bī 屄).

 

La lingua cinese è dunque per la maggior parte è un puro esercizio mnemonico. Questa metodologia di apprendimento, che è induttiva, la si riscontra in tutte le altre materie scolastiche, incluso lo sport. Alle elementari il bambino deve imparare a memoria i classici e la poesia e il pensiero creativo di solito non viene sviluppato. La lingua cinese è induttiva anche di un comportamento sociale, un esempio è il carattere 好 “hao” che significa “Star Bene” oppure “molto” (questa cosa mi piace hao). Hao è l’associazione dei caratteri di donna 女 e figlio 子, quindi la condizione di ‘Star Bene’ si realizza mettendo su famiglia, e in Cina il matrimonio è una componente sociale importantissima. Se non ci si sposa entro i 25 anni anche nelle città più avanzate e moderne pesa l’etichetta della “vergogna”.

 



 



 

Con “abilità cognitive” si intende l’insieme dei processi e attività mentali, come il problem solving, il ragionamento, il pensiero, le capacità deduttive, che coordinano le nostre conoscenze, ovvero le rappresentazioni mentali di princìpi, procedure e teorie di un insieme di saperi dominio-specifici, in grado di favorire l’acquisizione di maggiori capacità adattive. Nel libro

di Nicholas Carr, si ripercorre l’evoluzione della lettura, dalle incisioni rupestri, ai geroglifici, alla nascita del libro fino ad arrivare al digitale. L’autore sottolinea come l’esperienza di lettura sia diversa da ogni popolo, dunque chi cresce imparando il cinese sviluppa delle abilità cognitive che sono completamente diverse da quelle di noi occidentali che abbiamo un alfabeto nella nostra lingua.

 

Lo studio

di Kevin F. Miller, pubblicato nel 1987, ci mostra che a cambiare del tutto, fra un ragazzo cinese e uno inglese, è il rapporto con i calcoli, determinato dalle abilità cognitive diverse sviluppate.

 

Un altro concetto importante per avvicinarci al nostro problema è quello di Intelligenza Emotiva (EI). Con questa si intende la capacità di controllare i sentimenti e le emozioni, proprie e altrui, distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni. La EI si basa su tre princìpi: Valutazione ed espressione delle emozioni, Regolazione delle emozioni e Utilizzo delle emozioni, parametri misurabili attraverso la Wong’s Emotional Intelligence Scale (WEIS). Lo studio

dimostra come i cinesi, rispetto ai pari età occidentali, possiedono parametri più bassi di EI. La correlazione fra EI e sport sono importanti: studi recenti hanno dimostrato, ad esempio, come

sia importante nella formazione calcistica.

 

In sostanza, per riassumere: le Abilità cognitive hanno a che fare con le capacità deduttive e di problem solving, L’Intelligenza Emotiva ha a che fare con la gestione delle proprie emozioni, con l’empatia. In ambito sportivo (e non solo) il cinese ha uno sviluppo mentale molto meccanico e induttivo, proprio per questo sono in grado di compiere un gesto perfetto nella ginnastica o nei tuffi, mentre nel calcio, sport situazionale (cognitivo) e di squadra (EI), andando a modificare alcune componenti o variabili, il giovane cinese va in tilt.

 

Francesco Abbonizio, interprete di Ferrara al Wuhan Zall e fondatore dell’academy Beijing Kickers, da anni allena nella capitale e sostiene che i cinesi sono poco creativi: «Pensiamo al sistema scolastico cinese, non ti spinge a pensare o a creare. Ad esempio, quella cinese è una lingua che devi imparare a memoria, non ci arrivi ragionando. Da qui nasce il tutto, la poca creatività. Negli sport di squadra come il calcio o il basket mancano di estro. La risoluzione di alcuni problemi, che per i bambini europei sono facilissimi, per il cinese possono rappresentare uno scoglio insormontabile».

 



 



 

Comparata alla nostra, quella cinese è una scuola da incubo, con orari e un carico di studi assolutamente fuori dei nostri standard. Sin dalle scuole primarie l’orario di lezione è dalle 8:00 alle 12:00 al mattino, mentre al pomeriggio vi sono due ore di lezione dalle 14:00 alle 16:00, dal lunedì al sabato, senza contare le attività extracurriculari pre e post scuola da svolgersi praticamente tutti i giorni. L’attività pre-scolastica, che dura circa una mezzora, nella maggior parte dei casi include esercizi di ginnastica e di risveglio muscolare da svolgersi nel cortile. Le attività post-scolastiche sono dette extra curriculari e possono riguardare vari corsi, dalla danza al calcio, oppure sono ore che gli studenti impiegano fra le mura scolastiche per confrontarsi nello studio e svolgere i compiti. In sostanza, la giornata dello studente cinese inizia e finisce a scuola sin dalle elementari. In tutto questo, come si inserisce l’attività calcistica?

 

Con la riforma varata dal governo il calcio è stato inserito nei programmi di Educazione Fisica e tale direttiva è stata adottata da oltre 7.000 scuole su tutto il territorio nazionale. Il grande problema è dato dal fatto che spesso il personale che insegna non ha nessuna esperienza in ambito calcistico e nelle scuole pubbliche, si ritrova a dover gestire classi da 50 bambini, per cui l’apprendimento in questo modo rischia di essere molto limitato. Il calcio può anche essere materia extracurriculare, da svolgersi nell’orario post-scolastico, per quegli studenti che vogliono approfondire la pratica, spesso con allenatori e scuole calcio internazionali esterne alla scuola.

 

Allo stato attuale, sport e studio non sono conciliabili e questa è una delle grandi sfide che deve cercare di vincere la Cina: secondo la tradizionale visione dei genitori, il calcio ruba solo tempo allo studio dei figli, che devono focalizzarsi maggiormente sui libri al fine di passare gli esami con il miglior voto.
In Cina esistono le “Scuole Chiave” alle quali si accede tramite borsa di studio e alcuni di questi istituti sono specializzati nel calcio, per cui si potrebbe pensare che le “Scuole Calcio Chiave” siano delle oasi felici nelle quali si riesce a far convivere la pratica calcistica con lo studio. Magari questo accade nella grande academy del Guangzhou Evergrande, ma nella maggioranza dei casi non è così.

 

È molto istruttiva in tal senso la lettura sul Forum Quora.com, alla discussione “

” dove l’utente Mochan Choon ci racconta la sua esperienza calcistica da giovane e in un passaggio smonta il modello delle Scuole Calcio Chiave, alle quali i genitori iscrivono i propri figli, non perché sono bravi con i piedi, bensì per il fatto che non vanno assolutamente bene a scuola, nella vana speranza che almeno possano diventare dei fenomeni in qualcos’altro. Mochan Choon si riferisce a una scuola in particolare, quella dello Shanghai Shenhua, famoso club della Chinese Super League: «Abbiamo giocato con loro due volte, e non sono bravi, non hanno una grande tecnica ma la potenza e una buona condizione fisica guadagnata dal lavoro negli allenamenti ogni giorno. Hanno abbandonato il sistema scolastico nazionale. Un mio amico che è lì mi ha detto che non ci sono le condizioni per studiare, l’unica cosa che puoi imparare dai compagni più grandi è guardare porno e masturbarti».

 



 



 

Per le sue radici comuniste, si immagina che la cultura contemporanea cinese sia fortemente influenzata dal concetto di “collettività”. In realtà nella Cina odierna questo è stato quasi integralmente spazzato via dall’individualismo e dalla serrata competizione che inizia già dalle scuole primarie. Quella cinese è una società che si basa sul confucianesimo, dunque su una netta suddivisione gerarchica che coinvolge tutti gli ambiti della vita sociale: dalla scuola, alla famiglia al mondo lavorativo.
Nelle scuole le classi vengono ristrutturate ogni anno in base al risultato ottenuto dagli alunni agli esami finali, per cui è molto difficile mantenere lo stesso gruppo di amici nella Scuola Pubblica. Quella cinese è detta anche la “società della vergogna” e questo lo si può notare nella totale assenza di privacy per quanto riguarda la valutazione dei compiti in classe: i risultati vengono esposti sulla bacheca in modo che tutti possono vedere chi è stato il migliore, ma soprattutto il peggiore.

 

Il rapporto autoritario è piuttosto esplicito. Negli Istituti Pubblici non è possibile instaurare un rapporto umano con l’insegnante, né tantomeno con l’allenatore. In Cina esiste una netta suddivisione gerarchica fra l’insegnante e lo studente. Non vi è contatto fisico con i ragazzi: non si baciano né abbracciano, in coerenza con le modalità di rapporto diffuse tra adulti e bambini anche in ambito famigliare.
L’individualismo è stato esasperato dalla Politica del Figlio Unico, che ha atomizzato i nuclei famigliari e creato delle ripercussioni psicologiche forti. Le famiglie hanno finito per riporre sul loro unico figlio tutte le speranze e spesso tutti i risparmi per garantirgli la miglior istruzione possibile, in modo da farlo emergere in una società da oltre un miliardo di persone. Si parla della “Sindrome del piccolo Imperatore” con lo sviluppo di una personalità prettamente egocentrica e individualista data dalla “Una Bocca e sei Tasche”, quelle riempite a dismisura da aspettative dai genitori e dai nonni. Crescendo, un volta finiti gli studi, la competizione nel mondo del lavoro diventa sempre più serrata e oggi in Cina si parla dei “Giovani dal nido vuoto”, ovvero di quei ragazzi fra i 20 e 30 anni, che si trasferiscono in città per lavoro, ma spesso vivono da soli e non godono di nessuna interazione sociale.

 

Per emergere nel calcio quindi i ragazzi devono riuscire a gestire non solo le normali pressioni che un giovane che cerca di diventare un professionista deve affrontare, ma anche quello di un sistema basato esplicitamente sulla pressione sociale.

 





 

Mao è onnipresente, nella società cinese, a Piazza Tienanmen, sulle banconote, sulle magliette, e ovviamente anche nella filosofia sportiva. Celebre è il saggio pubblicato dal Grande Timoniere nel 1917, A Study of Physical Education, dove viene esaltata la forza e la disciplina. «La nostra nazione manca in forza. Lo spirito militare non è stato incoraggiato. La condizione fisica della popolazione peggiora giorno dopo giorno. Questo è un fenomeno estremamente inquietante. I promotori dell’educazione fisica non hanno afferrato l’essenza del problema, i loro sforzi, per quanto prolungati, non sono stati ancora efficaci. Se questo stato si prolungherà, la nostra debolezza crescerà ulteriormente. Lo sviluppo della nostra forza fisica è una questione interna, una causa».

 

Questa filosofia dello sport, con un risalto particolare alla perfezione dell’esecuzione del gesto, è attuale ancora oggi. Se questa pratica - adatta per discipline che fanno perno su questi principi come tuffi, nuoto, ginnastica etc. - viene inserita nel calcio può avere effetti grotteschi. Allenatori italiani raccontano delle assurde metodologie adottate dagli istruttori cinesi, che ricercano la perfetta esecuzione del gesto atletico senza poi contestualizzarlo all’interno di una partita: una settimana si allena il tiro in porta e si esegue quasi esclusivamente quello in modo analitico, la settimana seguente il colpo di testa (senza riprendere il tiro), dopo ancora il dribbling e così via. Ma come si può pensare di poter eseguire correttamente un tiro in porta se non mi so orientare all’interno di un campo di calcio, se non so quando inserirmi o tagliare alle spalle dell’avversario per ricevere il pallone? Come posso impattare il pallone di testa se in determinate situazioni i gioco non so se attaccare il primo o il secondo palo?

 



 



 

Uno dei grandi meriti della Rivoluzione Culturale Maoista è stato quello di aver emancipato la figura della donna. Se guardiamo ai manifesti propagandistici dell’epoca, notiamo che le ragazzine cinesi svolgono le stesse attività dei pari età e le troviamo anche raffigurate con armi da fuoco in mano a guidare l’avanzata rivoluzionaria. Quando la Nazionale cinese femminile di calcio (le Steel Roses) ha fatto il suo ingresso in Coppa d’Asia con un certo ritardo, solo nel 1986, vinse subito la manifestazione demolendo le avversarie che erano già strutturate da anni. La Cina dall’86 al 1999 vinse tutte e sette le manifestazioni della Coppa d’Asia, disputando nel frattempo anche una finale mondiale e una olimpica. Oggi le

occupano il 14° posto nel ranking Fifa, rappresentando la terza forza asiatica, dato che il Giappone è sesto, mentre la Nord Corea è decima. Proprio le ragazze U20 della Nord Corea hanno conquistato il titolo di campione del mondo lo scorso anno nell’edizione svoltasi in Papua Nuova Guinea, battendo in finale la Francia per 3-1. Insomma, non solo in Cina ma in generale nell’Asia Orientale le squadre Asiatiche Femminili ottengono dei risultati decisamente migliori degli uomini.

 

, che ha allenato l’U-17 femminile della Mongolia Interna, vincendo una competizione: «Il calcio femminile in Cina è molto più avanzato rispetto a quello maschile per fattori intrinseci alla loro cultura. In Cina è noto che quasi tutte i migliori contabili e matematici sono femmine, perché hanno memoria, velocità intuito e riflessi. Nella fase dell’allenamento, nella spiegazione tattica o della strategia da adottare, le ragazze sono moto più sveglie, ci arrivano prima a quello che devono fare, usano di più il cervello e sono più elastiche mentalmente, per cui è molto più facile lavorare con loro. I maschi possono avere anche più talento e abilità tecniche, ma sono molto indietro nello sviluppo di un pensiero calcistico. Per quanto riguarda il gruppo, ho notato che le ragazze sono molto più unite, hanno una miglior intesa. I ragazzi in Cina stanno insieme solo nell’orario scolastico, poi ho notato che ognuno se ne sta per i fatti suoi, mentre il gruppo calcistico delle femmine è sempre assieme, nei laboratori scolastici, o in qualsiasi altra attività. Qua in Mongolia Interna a livello scolastico le strutture sono molto arretrate, spesso non ci sono spogliatoi, i ragazzi tendono a cambiarsi per strada o sugli spalti. Le ragazze invece si cambiano in classe e questo crea un’ambiente che può essere considerato un micro spogliatoio, quindi l’intimità e la fiducia cresce fra loro. Le ragazze inoltre hanno molta più fantasia, in una situazione riescono a ragionare e a trovare la soluzione con rapidità, mentre ai ragazzi gli devi dare quasi sempre un input».

 

Età diversa, così come pure il contesto urbano, ma anche il già citato Michele Luzi a Chongqing negli asili e nelle scuole primarie, ha constatato che le bambine sin da piccole riescono ad essere le migliori: «Le bambine in realtà riescono a sviluppare le proprie abilità prima rispetto ai ragazzini e nel calcio dai 5 agli 8 anni, per esperienza personale posso dire che spesso sono più forti dei maschi. Qua a Chongqing almeno, per quello che ho potuto constatare, non vi è proprio paragone e posso dirti che il 90% delle femmine è più forte dei maschi, sia per quel che riguarda gli aspetti mentali e di interazione con il resto del gruppo, sia per quel che riguarda il lato puramente tecnico e coordinativo».

 



 



 

Per concludere l’analisi torniamo a parlare dei fatti più evidenti. Nonostante gli sforzi profusi degli ultimi anni, camminando per le strade delle città cinesi sarà difficile imbattersi in qualche campetto (a differenza della facilità con cui si trovano quelli da basket). Le strutture rimangono prerogative delle scuole: i campi da calcio sono ancora pochi per lo sviluppo di una cultura di massa, dai più piccoli alle leghe del dopo lavoro.

 

Secondo quanto riportato dal sito Yutang Sports, nel 2016 i campetti da basket sono 10 volte tanto quelli da calcio. Per quel che riguarda invece i settori giovanili dei club professionistici bisogna stendere un velo pietoso: fatta eccezione per Shandong Luneng, Guangzhou Evergrande e Shanghai Sipg, la maggior parte dei club professionistici ha squadre giovanili che partono dall’U15 e la selezione avviene nelle scuole affiliate. Il Chongqing Lifan, nella Chinese Super League ha solamente l’U19 e l’U17 e sta cercando di instaurare una rappresentativa U15 in collaborazione con le scuole della municipalità, mentre il più famoso Beijing Guoan, ha annunciato solo di recente che verranno create le squadre U14 e U15. A parte qualche rara eccezione, i settori giovanili dei club professionistici non sono strutturati e il lavoro di formazione viene solitamente lasciato alle scuole pubbliche con tutti i problemi sopra esposti.

 

Per svilupparsi a livello calcistico la Cina ha bisogno di una vera e propria rivoluzione culturale. Come

Cameron Wilson, direttore del sito wildeastfootball: “In futuro la storia non ci dirà solo come la Cina ha cambiato il calcio, ma anche come il calcio cambierà la Cina.”.

 

 

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