Al 49' di Lazio-Empoli, Alessandro Budel ha un’epifania. Pochi istanti prima Razvan Marin era sgusciato via in contropiede tra le maglie biancocelesti, era arrivato fino allo spigolo destro dell’area di rigore e aveva messo dentro un cross teso a mezza altezza per la testa di Satriano. L’attaccante uruguaiano aveva cercato di avvitarsi per indirizzare la palla con la testa verso la porta da posizione quasi impossibile ma alle sue spalle aveva fatto scudo con il corpo Alessio Romagnoli. Il difensore della Lazio salta per andare di testa sul pallone ma contemporaneamente chiude le braccia dietro la schiena per evitare il rischio che un rimbalzo impazzito gli finisca sul braccio. Il telecronista è in estasi: «Bravo Romagnoli soprattutto nel mettere le braccia completamente dietro ed evitare qualsiasi tipo di guai». Alessandro Budel, che fa la seconda voce, è completamente d’accordo: «Mi hai anticipato, è stato veramente bravo, lì se fosse stato un minimo largo il braccio sicuramente sarebbe stato calcio di rigore, quindi bravissimo Romagnoli». Il pallone nel frattempo non si è mai fermato. Il fronte viene ribaltato di nuovo e la Lazio ottiene un fallo dal limite dell’area dell’Empoli per un fallo di Grassi su Milinkovic-Savic. La regia ne approfitta per mandare ben due replay di un’azione rilevante solo nel Paese con più avvocati d’Europa. Da quello da dietro è particolarmente evidente la torsione assurda a cui è costretto il corpo di Romagnoli, che deve saltare in alto con le mani dietro la schiena mentre prova a proteggersi il volto da una potenziale pallonata semplicemente girandosi dall’altra parte. È a quel punto che Budel ha la sua epifania: «È anche vero che è difficile giocare così». «Tu lo facevi quando eri in campo?», gli chiede il telecronista. «Ti dico la verità: no», risponde Budel «Perché è un movimento innaturale quello».
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In realtà la riflessione razionale e l’iniziale reazione epidermica del commento al gesto di Romagnoli non sono in contrasto tra loro: la bravura del difensore della Lazio sta proprio nel fatto di essere andato “contro la sua natura”, saltando cioè in quel modo surreale in una situazione concitata, ed evitando un rigore certo su una situazione che avrebbe potuto ingannare molti (e sul parziale di 1-0). Il fatto che però in un certo qual modo Budel ci abbia ripensato è significativo del fatto che abbia avvertito qualcosa di sbagliato in quello che aveva appena visto: effettivamente vi pare normale che un difensore per opporsi a una normalissima palla alta debba saltare in quel modo? Che addirittura venga ricoperto di elogi per averlo fatto? Ovviamente non è colpa né di Romagnoli né dei telecronisti di DAZN. È il calcio del 2023 ad aver reso sensato quel tipo di gesto, in assenza del quale probabilmente i giocatori dell’Empoli si sarebbero sentiti in diritto di protestare con l’arbitro con il piglio di chi è stato appena defraudato del più basilare dei diritti umani.
Basta guardare una qualsiasi giornata di Serie A, o di qualsiasi altro campionato professionistico, per avere esempi di questo tipo. In Sampdoria-Napoli, durante l’ultimo minuto di recupero del primo tempo, Elmas ha avuto una lunga discussione con l’arbitro dopo essere stato forse sfiorato in area da Ronaldo Vieira in un accidentale incrocio di gambe. In Milan-Roma i giocatori di Pioli al 72' hanno protestato per alcuni minuti dopo che Saelemaekers ha tirato il pallone sul mignolo della mano di Ibañez a meno di un metro, dentro l’area. Tonali, nella foga delle proteste, si è addirittura dimenticato di essere diffidato e ha preso un giallo che gli farà saltare la trasferta di Lecce. E questi sono i casi in cui gli arbitri hanno avuto il buon senso di non assegnare un rigore, e sappiamo che soprattutto in Serie A, un campionato che ha reso famoso il termine "rigorino", sono l'eccezione. Solo in questa stagione si potrebbero fare diversi esempi. Proprio in Sampdoria-Napoli dopo una manciata di secondi l'arbitro è stato richiamato al monitor dal VAR per un contatto veniale tra Anguissa e Murru. Ma si potrebbe citare anche il rigore assegnato in un Milan-Udinese di inizio stagione per uno scontro di gioco tra Soppy e Calabria. Oppure quello fischiato per il pallone sfiorato con la mano da Alex Ferrari, in un Sampdoria-Roma di qualche settimana fa. Sicuramente ci sono altri episodi come questi anche solo nell’ultima settimana di calcio che mi sto perdendo, ma credo che abbiate capito a cosa mi sto riferendo. La domanda semplice che vi pongo è questa: ne abbiamo davvero bisogno?
Non parlo solo delle proteste esagitate, di quanto finiscono per inquinare anche il dibattito fuori dal campo, e quindi inevitabilmente la cultura sportiva intorno a questo spettacolo maledetto che ci ostiniamo a guardare (vedi ciò che succede con gli screenshot sui social network). E non ne faccio nemmeno una questione di naturalità o normalità dei movimenti, che alla fine non significa nulla, e sarebbe un argomento ridicolo per uno sport come il calcio, reso interessante proprio dalla regola più innaturale di tutte, e cioè quello di vietare di prendere una palla rotonda con le mani. Mi appello invece all’unico principio che sembra guidare chi vive il calcio come mero orpello estetico del regolamento, e cioè quello di giustizia. Chiedo a voi: vi sembra un calcio giusto quello in cui viene data a una squadra la possibilità di segnare perché un innocuo colpo di testa ha colpito inavvertitamente il braccio largo di un difensore? Non so voi, ma a me che una squadra si rimetta in carreggiata oppure sigilli un risultato con rigori simili dà la stessa impressione di vedere qualcuno che fa una grossa X con una BIC su un quadro di Vermeer.
La verità la conosciamo tutti: le squadre in queste situazioni non protestano perché sentono di aver subito un’ingiustizia ma perché sanno che in uno sport in cui è generalmente difficile segnare il calcio di rigore è la scorciatoia più facile. Di fatto siamo di fronte al ribaltamento del principio di giustizia: il richiamo alla regola non per sanzionare un’infrazione ma per approfittare della pena.
Ora, non voglio addentrarmi nei meandri del regolamento. Abbiamo visto calcio per troppo tempo per non sapere che non esiste e non esisterà mai una regola esatta per il fallo di mano, così come non esisterà mai una valutazione assolutamente oggettiva dell’intensità di un contatto che giustifichi un calcio di rigore. Queste sono cose su cui discuteremo per sempre, e capisco anche chi prova un certo piacere nel farlo, non fraintendetemi. Il problema non sono i falli e la loro valutazione, cosa su cui è giusto che continui a regnare l’umana sensibilità dell’arbitro e la nostra ancora più umana disapprovazione. Il problema, per me, è più radicale: è l’esistenza stessa del calcio di rigore.
A cosa serve un calcio di rigore? La sua invenzione risale alla fine dell’'800 e la dobbiamo a un portiere irlandese, William McCrum. Figlio di una ricca famiglia borghese che aveva fatto le sue fortune nel settore del lino, McCrum si unì al neonato club della sua città, il Milford FC, dopo aver studiato a Dublino. Era il calcio degli albori: il Milford di lì a poco prese parte alla prima stagione nella storia del campionato irlandese (la 1890/91), il secondo più antico dopo quello inglese. Per McCrum fu un disastro: il Milford perse tutte e 14 le partite disputate in quella stagione, subendo 62 gol. L’esperienza per il 25enne portiere irlandese, però, non fu scioccante solo per gli oltre quattro gol a partita subiti ma anche per la violenza che vide in campo. Al tempo non esistevano ancora i cartellini, ovviamente non esistevano i rigori, e una parte del regolamento andava ancora scritta: erano anni, come riporta The Athletic, in cui si poteva morire in campo per un intervento avversario, come successe a un calciatore a Leicester. Fu la violenza, quindi, a spingere McCrum a ideare un argine, il rigore per l’appunto, almeno per gli interventi entro gli 11 metri dalla linea di porta (anche l’area di rigore non esisteva ancora). McCrum presentò la sua idea alla federazione irlandese e fu fortunato a sufficienza da trovare immediatamente il supporto del suo presidente, Jack Reid, che sedeva anche dentro l’IFAB, l’organo che già allora si occupava di scrivere e modificare il regolamento del calcio.
Nonostante la violenza e gli appoggi politici, l’idea del calcio di rigore inizialmente non fece breccia tra le alte sfere dell’IFAB, preoccupate dal mettere delle linee sul campo (ironico, se pensiamo a quanto sia iconico il campo da calcio oggi) e dal fatto che potesse rappresentare una pena eccessiva che potesse stimolare comportamenti antisportivi (allora c’è chi chiamò il rigore “la pena di morte” e “un insulto permanente agli uomini di sport”). Non fu quindi la morte a convincere gli uomini della bontà dell’idea del calcio di rigore, ma qualcosa di molto più grave: il salvataggio di mani sulla linea di un giocatore di movimento. Successe nei quarti di finale di FA Cup tra Notts County e Stoke City qualche mese dopo la presentazione della proposta: il Notts County era in vantaggio per 1-0 quando un suo giocatore respinse con la mano un tiro dello Stoke City sulla linea di porta. Venne assegnato un calcio di punizione, il calcio di punizione venne respinto, il Notts County vinse per 1-0 e il resto è storia. Prima venne introdotto il calcio di rigore per come era stato pensato inizialmente, cioè un tiro libero che poteva essere calciato da qualsiasi posizione su una linea orizzontale a 11 metri dalla porta, poi arrivò l’area di rigore, il divieto per il portiere di spostarsi dalla linea di porta, e così via fino al calcio di rigore per come lo conosciamo oggi.
Sono passati quasi 132 anni da quel momento, il calcio è cambiato completamente - sono arrivati il professionismo, i cartellini, il fuorigioco, il divieto per i portieri di giocare con le mani sul retropassaggio - eppure l’unica ragione valida per assegnare un calcio di rigore mi sembra sempre la stessa: il salvataggio di mani sulla linea di un giocatore di movimento. Pensateci: quali altri casi vi vengono in mente in cui la gravità della sanzione (cioè il calcio di rigore) è davvero commisurata al fallo commesso in area?
Per rispondere a questa domanda bisogna, ahi noi, scendere nell’arena della statistica. Da quando esistono gli Expected Goals possiamo (con tutti gli ineludibili limiti che ogni modello ha) conoscere la probabilità che un qualsiasi tiro su azione possa convertirsi in gol. Ma lo stesso si può fare anche con i rigori. Secondo una ricostruzione fatta da Tifo sulla base dell’elaborazione dei dati fatta da The Athletic, in Premier League la probabilità di conversione di un calcio di rigore è al 78% (cioè ogni rigore vale 0.78 xG). In Serie A, secondo i dati di Alfredo Giacobbe, questa percentuale scende solo leggermente al 77%. Questo significa che quando un giocatore di Serie A si presenta sul dischetto più di tre volte su quattro è ragionevole aspettarsi un gol. Ora, questa percentuale è di molto più alta rispetto alla stragrande maggioranza dei tiri arrivati su azione: secondo i dati di Alfredo Giacobbe, l’unico caso di un tiro con una probabilità di conversione paragonabile (ma mai superiore) è quello preso da meno di due metri dalla linea di porta nella zona centrale dell’area piccola. Dite la verità: quanti rigori avete visto assegnati per un fallo commesso su un giocatore che stava per tirare in questa situazione?
Secondo il video di Tifo già citato, che potete vedere qui sopra, la maggior parte dei rigori in Premier League in realtà vengono assegnati in una zona piuttosto lontana dall’area piccola, più vicina allo spigolo sinistro dell’area di rigore. Una porzione di campo in cui tirando su azione secondo gli Expected Goals si ha una probabilità di segnare che è minore al 20%. Questo significa che un rigore assegnato per un fallo in quella zona aumenta le possibilità di segnare per la squadra che lo ha ottenuto di circa il 60%. Per molti altri casi il divario è ancora più ampio. Secondo la stessa elaborazione, nella metà dei possessi durante i quali è stato assegnato un rigore in Premier League tra il 2011 e il 2022 la probabilità di segnare era minore del 6%. I rigori non hanno solo un potere sproporzionato nell’aumentare le possibilità di una squadra di segnare, ma anche di cambiare il risultato a proprio favore. Secondo lo stesso video, più di metà dei rigori assegnati in Premier League tra il 2011 e il 2022 hanno permesso alle squadre che lo hanno ottenuto di passare o dalla sconfitta al pareggio o dal pareggio alla vittoria. Pensate ancora che i rigori rendano il calcio più giusto?
Questi numeri, poi, vanno inseriti in un contesto in cui la mutazione del calcio è stata ulteriormente accelerata dall’introduzione del VAR. Oggi è molto più frequente vedere un rigore assegnato per un fallo di mano involontario in mischia che per una scivolata da ultimo uomo in area di rigore (fattispecie che comunque difficilmente giustificherebbe un calcio di rigore, almeno da un punto di vista statistico). La possibilità di rivedere al ralenti qualsiasi contatto in area ha reso ancora più fragile la lastra di ghiaccio su cui i difensori sono costretti a camminare e il vantaggio per chi attacca è stato ulteriormente aumentato dalla pignoleria con cui negli ultimi anni si controlla che il portiere non avanzi dalla linea di porta prima dell’effettivo calcio del rigore. Non credo sia un caso che negli ultimi anni in Serie A il numero di rigori assegnati sia aumentato, con l’incredibile anomalia della stagione 2019/20 che ha polverizzato il precedente record storico del nostro campionato (187 contro i precedenti 140 della stagione 1949/50; record che poi è stato battuto anche dalle stagioni 2020/21 e 2021/22).
Ora, mi sembra chiaro che i calci di rigore non abbiano nulla a che vedere con la giustizia, e anzi viene il dubbio che l’assenza di dibattito in Europa derivi oltre che dal feticismo per la tradizione proprio dall’importanza della loro carica aleatoria, che rende ancora più imprevedibile (e quindi ingiusto) uno sport a basso punteggio che ha una fobia ancestrale per la noia. A questo proposito è quanto meno ironico che una delle poche proposte significative per la loro abolizione arrivò agli inizi del Novecento dall’unico Paese che ciclicamente ha il coraggio di metterne in discussione la legittimità, e cioè gli Stati Uniti, e per il motivo opposto a cui penseremmo oggi. Il 22 dicembre del 1912 il Philadelphia Inquirer propose l’abolizione dei calci di rigore perché “invece di andare a beneficio della parte lesa ha in realtà spesso agito come un vero e proprio handicap”. Il motivo è che i rigori venivano assegnati solo per falli a salvataggio di gol certi (come quelli di mano sulla linea) ed erano più difficili da segnare rispetto a oggi, per via della tendenza dei portieri di avanzare dalla linea, degli attaccanti meno professionalizzati di oggi, dei palloni più pesanti e dei campi sconnessi. Non bisogna nemmeno immaginarsi il calcio in bianco e nero dei primi del Novecento per capire la legittimità di questa posizione. Basta ricordarsi del celebre fallo di mano sulla linea di Suarez contro il Ghana ai Mondiali del 2010, e del successivo rigore sbagliato dalla squadra africana, per capire perché il Philadelphia Inquirer propose di assegnare non il rigore ma direttamente il gol in casi come questo. Se ci pensate, questo sì che sarebbe un metodo giusto, almeno in un caso estremo come quello.
Ora, se state pensando che non tutte le regole debbano esistere per ristabilire la giustizia sul campo, che si debba trovare un equilibrio tra la sanzione e la spettacolarità di una partita, sono d’accordo con voi. Nonostante ciò, a me non sembra che il calcio di rigore sia la soluzione migliore per arrivare a questo equilibrio. Certo, sulla spettacolarità si può discutere. In questo senso, è interessante l’interpretazione quasi psicanalitica che diede del rigore l’editor letterario dell’Observer, Robert McCrum, quando nel 1997 scoprì che William McCrum era suo bisnonno, a seguito della sollevazione popolare che si levò a seguito dei progetti immobiliari che minacciarono la zona in cui iniziò a giocare a calcio. «Il calcio di rigore è il tipo di punizione che avrebbe potuto inventare solo un portiere, un eccezionale momento drammatico e di sacrificio personale che pone il portiere, di solito uno spettatore, al centro del palcoscenico». Per quanto questa interpretazione sia affascinante, e riconosca la carica spettacolare dei rigori (la lotteria dei rigori dopo i tempi supplementari rimane uno dei momenti più emozionanti di una partita), credo che la salvaguardia dell’ego dei portieri non sia una motivazione sufficientemente solida per giustificare l’esistenza dei rigori durante i 90 o 120 minuti di gioco.
Potrebbe esserlo invece la possibilità, data dai rigori, di segnare più facilmente, in uno sport a basso punteggio in cui è facile incorrere in partite bloccate. Ma a quel punto, invece di aggrapparsi all’ipocrisia di un mezzo fallo di mano o di un contatto visibile solo al quarto replay, non avrebbe più senso introdurre regole più pazze ma almeno più oneste, come quella che propose Walter Mazzarri qualche anno fa di assegnare un gol ogni tot di calci d’angolo o di pali? Alla fine i calci d’angolo sono effettivamente segno di un dominio di gioco di una squadra su un’altra e assegnare un gol ogni tot di pali avrebbe il merito di “risarcire” una squadra particolarmente sfortunata. Certo, a quel punto forse le squadre creerebbero apposite strategie per ottenere più calci d'angolo possibili, e vicini alla riga di fondo rischieremmo di assistere a imbarazzanti teatrini, tra chi brama un angolo e chi non vuole concederlo. Fatta la legge, trovato l'inganno.
Una soluzione meno estrema, e diretta invece a correggere lo squilibrio creato dai calci di rigore, sarebbe quella di riesumare la proposta che fecero due dirigenti statunitensi al Philadelphia Inquirer nell’ambito del dibattito aperto nel 1912, e cioè di modificare la forma dell’area di rigore in un semicerchio posto di fronte all’area piccola, di fatto rimpicciolendola. Se rivoluzioni come queste non fanno per voi, si potrebbe almeno giungere a un compromesso con una riforma del sistema esistente. Per esempio lasciare i rigori per come li conosciamo oggi solo per i falli commessi dentro l’area piccola e trovare altre soluzioni per tutti gli altri falli commessi nel resto dell’area di rigore. La storia del calcio ce ne ha offerte diverse, spettacolari almeno tanto quanto i rigori. Una, ad esempio, è quella delle punizioni a due in area, un momento surreale di una partita di calcio che a mio modo di vedere si vede troppo poco spesso in campo (vi consiglio la visione di questa compilation se non siete d’accordo). Un’altra è quella degli ingiustamente vituperati shoot-out all’americana: comunque un metodo iniquo in confronto alla stragrande maggioranza dei falli commessi in area di rigore, ma per lo meno in misura minore rispetto al calcio di rigore (il tasso di conversione degli shoot-out in MLS tra il 1996 e il 1999 si attestava intorno al 45%).
Il dibattito su come potrebbe essere questo nuovo mondo potrebbe andare avanti ancora a lungo, almeno per un altro pezzo, e con proposte anche più creative di queste. Ma il fine di questo pezzo rimane quello di accordarci per la fine di questo nostro vecchio mondo, in cui ci siamo talmente assuefatti all’assurdità a cui ci costringono i calci di rigore da non essere nemmeno più capaci di vederli. Il primo passo per risolvere un problema, come si dice, è ammettere la sua esistenza. Parafrasando una celebre citazione di un filosofo, è più facile immaginare la fine del mondo che la fine dei calci di rigore.