Il ritorno di TJ Dillashaw, reduce da un’assenza per squalifica lunga due anni e mezzo, ci ha ricordato quanto la divisione Pesi Gallo in UFC sia variegata ed eccitante. La divisione più bella e imprevedibile presente in UFC, senza alcun dubbio, insieme a quella dei Pesi Leggeri del dopo-Khabib.
TJ Dillashaw, dopo aver fatto i conti con una lunga squalifica per doping, è tornato, ha ammesso i propri errori e ha chiesto (già, perché queste cose non si dimenticano mai) di potersi lasciare senza troppi rimorsi la cattiva esperienza alle spalle. Dillashaw ha ammesso di aver barato, ma ha anche detto di voler ripartire da dove aveva lasciato ed è stato accontentato. Dopo un taglio del peso a dir poco brutale (girano foto in rete nelle quali sembra uno zombie con uno strato di pelle addosso) affrontato nel gennaio 2019, quando aveva provato a rubare il titolo ad Henry Cejudo in maniera vana, Dillashaw è rientrato nella divisione di cui è stato il re in passato, e lo ha fatto direttamente contro il numero 2 Cory Sandhagen.
A seguito della sconfitta patita contro Aljamain Sterling nel giugno 2020, Sandhagen aveva mostrato di essere in grande spolvero, annichilendo prima Frankie Edgar e poi l’ex contendente al titolo Marlon Moraes. Cory ha mostrato di essere un fighter da élite in virtù di capacità più uniche che rare, sia fisico-atletiche che mentali. Già, perché tornare alla riscossa dopo un’umiliazione come quella subita proprio da Sterling, che lo sottomise in appena un minuto e mezzo, non era certamente da tutti, ma il ventinovenne statunitense lo ha fatto nel migliore dei modi e sebbene non sia riuscito ad inanellare la terza vittoria consecutiva, di certo anche nella sconfitta ha fatto una figura magnifica.
Un po’ di ruggine al rientro per Dillashaw che non è sembrato lo stesso di sempre, pagando un minimo lo scotto per la ruggine accumulata. A parte l’immediatezza dei riflessi però, Dillashaw ha mostrato la solita durezza, la grande capacità di adattamento e l’eterogeneità stilistica che lo hanno sempre contraddistinto. Ed ha confessato di essere stato infortunato durante il camp, fatto che ne ha compromesso l'espressione all’interno della gabbia. Dillashaw si è aggiudicato il primo ed il terzo round della contesa, in maniera abbastanza netta, così come netto è stato il modo in cui Sandhagen si è affermato nel secondo e nel quarto round. Un match virtualmente alla pari e che quindi si è giocato fondamentalmente nel corso di un quinto round molto equilibrato.
Una parte del pubblico si è lamentata urlando allo scandalo per il “furto”, ma non può esserci furto in un match combattuto e che sarebbe potuto andare da ambo i lati, e che paga ancora una volta la troppa libertà d’interpretazione di un regolamento ancora limitato nella lettura.
Visualizza questo post su Instagram
Un post condiviso da TJ Dillashaw (@tjdillashaw)
TJ Dillashaw ha sofferto lo strappo del menisco e del legamento collaterale laterale.
Dillashaw ha dovuto forzare l’offensiva, al contrario di quello che è il suo solito atteggiamento perché l’altezza e l’allungo di Sandhagen erano troppo superiori rispetto a quelli del protegé di Duane Ludwig. Combattendo dall’interno, TJ si è trovato a dover fare i conti coi colpi singoli di un ottimo Cory, che lo ha centrato in maniera chirurgica con diretti, ginocchiate e tenuto a distanza alle volte con un sapiente uso del jab. I danni maggiori sul colpo singolo infatti li ha fatti lui. Anche su un post pubblicato sul suo profilo Instagram, anche Sandhagen ha detto di essere sicuro di aver fatto più danni, ma ha ammesso che il controllo è stato di Dillashaw, che dal canto suo ha gestito benissimo il dislivello fisico. Ogni volta che ha potuto, TJ ha accorciato e preso la schiena del suo avversario. Un dato curioso: secondo ufcstats.com, Dillashaw avrebbe messo a segno solo 2 takedown su 19, questo perché con tutta probabilità, ogni volta che Dillashaw prendeva la schiena, la statistica considerava il tutto come tentativo di takedown. Una visione palesemente sbagliata, poiché un fighter può anche decidere di optare singolarmente sul controllo, senza per forza tentare l’atterramento. I giudici a quanto pare non hanno dato peso alla statistica o comunque non l’hanno considerata tale, facendo una scelta a mio avviso sensata.
Visualizza questo post su Instagram
Un post condiviso da Cory Sandhagen (@enterthesandman135)
Il post di Sandhagen, dove ammette che avrebbe dovuto fare di più per vincere.
In ogni caso, la prestazione di Sandhagen ha riscosso grandi plausi, uno fra tutti quello di Khabib, che lo ha incensato, sottolineando come Cory sia materiale da contesto titolato.
Dillashaw, dal canto suo, ha ricevuto i complimenti dell’ex campione Petr Yan, già pronto al rematch contro Sterling, e non ha fatto mistero di essere tornato in scena per riacciuffare il titolo. Anche Yan ha indicato Dillashaw come suo prossimo obiettivo, visto che da molto tempo lo considera un grande guerriero e che batterlo è nella sua bucket list.
Ma cosa succede all’interno della divisione? Come mai è tutto così interessante?
Aljamain Sterling vs Petr Yan 2
In lavorazione per UFC 267 è in programma un rematch che i fan non vedono l’ora di vedere.
Petr Yan, defraudato della sua cintura a causa di un colpo illegale, una ginocchiata mentre il suo avversario era a terra, è l’esatta rappresentazione dell’antagonista di James Bond misto ad un mini-Terminator. Era riuscito nell’impresa di acciuffare il titolo dei Pesi Gallo sconfiggendo il grande Jose Aldo, ma ha visto sfumare con un gesto sciocco ogni sogno di gloria nella sua prima difesa titolata opposto ad Aljamain Sterling.
Apprezzatissimo sui social per una vena ironica non riscontrabile in tutti i combattenti, Yan ha condotto una campagna per ottenere il rematch immediato contro Sterling (che a dir la verità è sembrato restio a concedergliela, almeno finché Dana White non ha deciso che quello era il prossimo match da organizzare) già dall’epilogo di UFC 259.
Uno dei tweet al vetriolo di Petr Yan.
Sterling è stato ironicamente applaudito, sia da Yan che da alcuni fan, per la “prova attoriale” a seguito del colpo subito. Ora, il colpo è arrivato in pieno ed è stato davvero illegale; fino a quel momento però pareva Yan in pieno controllo del match e pertanto, con tutta probabilità, il russo partirà coi favori del pronostico nel match in programma a UFC 267.
Sterling è comunque un grappler straordinario, dotato di un footwork davvero irresistibile ed al limite dell’illegibilità (tranne a quanto pare che per Yan), caratterizzato da passi corti e rapidi, ognuno diverso dal precedente. Anche lui vero contendente meritevole, nella prima uscita pareva però non trovare soluzioni agli arrembaggi lenti ma inesorabili dell’ex campione. Il match da fare immediatamente per quanto riguarda le sorti della cintura è sicuramente quello fra lo squartatore russo ed il maestro del funk statunitense di origini giamaicane, ma al loro seguito c’è già una folta schiera di oppositori pronti a dire la propria.
Rob Font e Cody Garbrandt
In un match svoltosi a maggio dell’anno corrente, Rob Font ha superato, nel corso delle cinque riprese, un redivivo Cody Garbrandt che però, a parte la parentesi positiva contro il rebus Raphael Assunçao, non pare riuscire a trovare il vero se stesso. Proprio contro Assunçao è l’ultimo match perso da Font, datato luglio 2018. Da allora Font ha inanellato 4 vittorie di fila contro fighter del calibro di Sergio Pettis, Ricky Simon, Marlon Moraes ed il già citato Garbrandt. Una crescita esponenziale che ha portato Font a bussare alla porta della top 3. Font non ha match in programma, ma un incontro con Cory Sandhagen potrebbe essere la soluzione per sbloccare un viavai di volti noti ed incredibilmente dotati tutti ammassati nei piani alti della divisione. Lo scontro stilistico fra l’eccellente boxe di Font e la versatilità di Sandhagen potrebbe creare fuochi d’artificio, considerando anche il fatto che i due sono combattenti molto duri e resistenti e che sono davvero ad un passo dal contesto titolato.
Visualizza questo post su Instagram
Un post condiviso da Rob Font (@rob_font)
Font aveva già vagliato la possibilità di affrontare Sandhagen, ma ha preso in considerazione anche il match con Dillashaw.
Per quanto riguarda Garbrandt è dura e difficile dirlo, ma Cody farebbe bene a ritrovare se stesso con dei match meno impegnativi. Dopo il successo contro Dominick Cruz che pareva doverlo consacrare e farlo rimanere per molto tempo in alto, il tonfo è stato davvero sorprendente: due sconfitte con Dillashaw, una con Pedro Munhoz, la citata vittoria con Assunçao e la sconfitta con Font lo portano ad un triste record di una vittoria e quattro sconfitte negli ultimi cinque match, ridimensionandolo definitivamente in attesa di tempi migliori. Il protegé del Team Alpha Male ha ancora soltanto 30 anni, ma sembra un fighter che ha già dato il meglio di sé e, almeno al momento, non pare poter ambire a chance titolate. Da poco ha iniziato una battaglia social con Sean O’Malley e per entrambi questa potrebbe essere l’occasione di un’ottima promozione e di un grande match.
Marlon Moraes e Merab Dvalishvili
Marlon Moraes è in caduta libera. È ciò che viene da pensare guardando ad una delle più belle scalate degli ultimi anni nella divisione, seguita da un tonfo dopo l’altro dopo aver raggiunto la cima. C’è poco da dire, dopo il match contro Henry Cejudo, datato giugno 2019, Marlon Moraes non è più parso lo stesso. Nonostante vanti una vittoria su Jose Aldo, nemmeno tanto convincente in mezzo, Moraes ha inanellato due brutali sconfitte contro Cory Sandhagen e Rob Font che ne hanno notevolmente ridimensionato le ambizioni. Uno dei più furenti e precisi striker di categoria costretto a subire due punizioni esemplari che lo hanno confinato alla posizione numero sei, dopo aver sfiorato la cintura, in quella partenza razzo contro Cejudo.
Eppure, c’è ancora speranza. Il 25 settembre, allo UFC Apex di Las Vegas, il brasiliano incrocerà la strada del durissimo Merab Dvalishvili, grappler straordinario che si è distinto nell’ultimo periodo per una serie di vittorie precedute da prestazioni straordinarie contro fighter come Gustavo Lopez, John Dodson e Cody Stamann. Dvalishvili è a quota sei vittorie consecutive ed effettivamente il premio minimo era un avversario di livello: il numero sei di categoria è esattamente ciò che fa per lui. Nel più classico degli scontri fra striker e grappler, il georgiano tenterà di affermarsi definitivamente contro il brasiliano, in un match non da dentro o fuori in UFC, ma sicuramente da dentro o fuori nel contesto titolato. La palma di favorito penderà probabilmente leggermente dal lato di Dvalishvili, ma occhio al brasiliano e a darlo per morto: Moraes ha mostrato lacune dal punto di vista mentale, ma la purezza del suo talento è sotto gli occhi di tutti ed è innegabile che il suo soprannome “Magic” rispecchi nella maniera più adatta possibile le sue qualità all’interno dell’ottagono.
Visualizza questo post su Instagram
Un post condiviso da MERAB DVALISHVILI-THE MACHINE (@merab.dvalishvili)
Dvalishvili si allena e si diverte con Al Iaquinta ed il campione Aljamain Sterling.
Dominick Cruz e “Chito” Vera
Negli ultimi anni Dominick Cruz è stato molto presente in cabina di commento e sempre meno presente nell’ottagono. Un fatto inevitabile, dato il continuo deterioramento fisico che continua a martoriarlo da un decennio a questa parte, rendendogli impossibile un rientro definitivo.
Una vittoria non estremamente convincente - ma pur sempre di vittoria si tratta - contro il solido Casey Kenney (che in UFC aveva perso solo contro il sopracitato Dvalishvili) lo ha visto tornare nella colonna dei vincenti e sebbene il suo score sia ancora di tutto rispetto, negli ultimi anni le sue apparizioni si sono fatte sempre più centellinate e da grandi occasioni. Fra il 2016 ed il 2021, Cruz ha combattuto appena cinque volte, una all’anno, collezionando tre vittorie (contro TJ Dillashaw, Urijah Faber ed il citato Casey Kenney) e due sconfitte (contro Cody Garbrandt e Henry Cejudo). Cruz possiede e controlla lo stesso stile di sempre, quello del fighter estremamente mobile, dotato di un GPS mentale che riesce quasi sempre ad anticipare i colpi e la posizione del suo avversario. Per ovvie questioni anagrafiche, nelle ultime uscite la difficoltà di portare al massimo livello uno stile dispendioso come il suo si è fatta sempre più evidente, ma Cruz non si è mai perso d’animo e nonostante il deterioramento fisico, si è sempre presentato in condizioni più che decenti. All’età di 35 anni, questa è probabilmente la sua ultima corsa, partita dal binario Kenney, con obiettivo il titolo, come ha sempre fatto. La qualità degli avversari è cresciuta, lui è invecchiato, ma la volontà e l’intelligenza sembrano non averlo abbandonato (così come una sorta di narcisismo malcelato sia quando legge i match che quando li illustra) ed in un’ultima corsa, una leggenda del suo calibro può sempre sperare.
Ad averlo sfidato nella sua ultima uscita è stato Marlon Vera, noto ai più come “Chito”. Vera è l’unico fighter che vanta una vittoria su Sean O’Malley (che Sugar non vuole assolutamente ammettere, anche se è stata chiara) ed è un fan favorite per via dello stile aggressivo ed inarrestabile. A quota tre vittorie e due sconfitte negli ultimi cinque match, Vera non è un fighter dotato di uno striking molto intenso in termini di numero di colpi (colpisce infatti solo con 3.91 colpi al minuto), ma è molto preciso (50% dei colpi a segno, per fare un esempio, la percentuale a segno di Sandhagen è il 46%) e sceglie bene colpi e momenti per affondare sui propri avversari. Le sue sconfitte sono arrivate solo ai punti e dopo il 2018 ha perso solo contro Jose Aldo e Song Yadong, ma nella serata giusta è in grado di vedersela con chiunque. Battuto Davey Grant, come detto, ha sfidato Dominick Cruz che in cabina di commento è parso gradire. E d’altronde il match in questo momento sembra estremamente sensato, considerando anche che Vera si trova al numero 13 dei ranking, mentre Cruz è fermo alla posizione numero 9.
Pare che Cruz non sia del tutto convinto...
Jose Aldo e Pedro Munhoz
Il derby in casa brasiliana è stato uno di quei match che nessun fan di MMA dovrebbe perdersi. I coetanei Jose Aldo - leggenda vivente dello sport - e Pedro Munhoz, entrambi trentaquattrenni, si sono scontrati a UFC 265 ed il match è stato davvero epico. Aldo è sceso nella divisione Pesi Gallo per ottenere la seconda cintura in UFC, l’ennesimo allora che impreziosirebbe la già ricca bacheca, rendendolo ancor più un mito. Campione dei Pesi Piuma più longevo della storia di UFC e unico campione WEC (in UFC ha totalizzato sette difese titolate, per giunta consecutive, dati che lo rendono detentore di due record), Aldo ha un record negativo di due vittorie e due sconfitte nella divisione, avendo perso contro Marlon Moraes e Petr Yan ed essendosi ripreso la vittoria di forza poi contro Marlon Vera, prima di mettere a segno la prestazione più impressionante che ha regalato nei Pesi Gallo.
Il Re di Rio ha vinto tutti e tre i round, surclassando di colpi il durissimo Munhoz, il quale è stato portato a spasso per l’ottagono, soffrendo rapidità e timing di Aldo e non riuscendo ad inquadrarlo in nessuna maniera. Aldo ha gestito il ritmo della gara grazie alla sua difesa, elusiva e propositiva (i check prima dei contrattacchi sono stati emblematici in tal senso) ed alla fine l’ha spuntata in un match dai colpi duri ma col sapore della partita a scacchi sulle tre riprese. Nota ancor più positiva: Aldo ha stabilito il proprio record personale di colpi a segno in questo incontro sulle tre riprese, il che è sorprendente, se si considera che è anche uno dei fighter con più main event da cinque riprese sulle spalle.
Striker straordinario, nei primi tempi della sua carriera il suo stile era caratterizzato da una spietatezza più unica che rara, da colpi spettacolari come ginocchiate volanti, diretti mortiferi e da leg kick che mozzavano le gambe agli avversari. Oggi Aldo è un combattente più morigerato, dotato di un’ottima boxe che deve far fronte all’inevitabile segno del tempo e con un occhio particolare alla guardia ed alla protezione del mento, che risente di tutti i colpi subiti nelle battaglie passate. Aldo è anche un combattente intelligente, riesce a scegliere con accortezza i momenti in cui affondare ed è un combattente capace di gestire bene i propri avversari.
Accantonata la possibilità di tornare in cima alla piramide dei Pesi Piuma a seguito della doppia sconfitta contro Max Holloway, non ha del tutto accantonato i suoi sogni di gloria. E nonostante uno score negativo fra il 2015 ed oggi, l’ex dominatore dei Piuma si vede ancora come un fighter pronto e capace di impensierire i fighter della divisione al limite delle 135 libbre. Mai davvero evoluto nettamente, ma piuttosto adattatosi al peso e ai limiti fisici che lo hanno costretto alla maggior parte delle sconfitte patite negli ultimi tempi, finora Aldo ha fatto riferimento a gestione ed intelligenza per superare oggi i suoi avversari. La sua nuova versione però è tornata ad essere leggermente più aggressiva e la sua boxe pare essere addirittura migliorata.
Il punto debole di Pedro Munhoz in genere è rappresentato dai fighter dal ritmo medio-alto che riescono a gestire la medio-lunga distanza, “The Young Punisher” (non più tanto young a dir la verità) è più che altro un concentrato di tecnica ed esplosività. Dotato di un pugilato rapido e feroce, è capace di incassare colpi per l’intera durata dei cinque round, magari barcollando, senza però mai finire al tappeto. Non a caso nelle sei sconfitte patite in carriera (a fronte però di 19 vittorie) nessuno è mai riuscito a finalizzarlo, né con un KO, né con una sottomissione. Nel suo penultimo match a UFC FN 186, svoltosi a febbraio di quest’anno, Munhoz ha vendicato una sconfitta patita nel 2015 contro il forte Jimmie Rivera. Se preparato a dovere nel corpo e nella mentalità, Munhoz ha dimostrato di poter affrontare chiunque, senza alcuna remora, non a caso vanta vittorie su fighter quali Rob Font, Bryan Caraway e nientemeno che sull’ex campione Cody Garbrandt, abbattuto con un KO spettacolare. Detiene il secondo posto nella storia dei Gallo in UFC per numero di colpi a segno.
Visualizza questo post su Instagram
Un post condiviso da Pedro Munhoz (@pedromunhozmma)
Munhoz finalizza Garbrandt con un gancio perfetto.
La sconfitta contro Aldo non va per forza vista come un ridimensionamento: nel passato di Munhoz, se c’è una cosa chiara, è che Pedro soffre molto alcuni stili di combattimento, ma rimane uno dei fighter più duri della divisione, sebbene non riesca spesso a trovare la chiave di volta per far suoi i match stilisticamente avversi. Il Re di Rio ha dimostrato di sapere come farsi trovare preparato con i fighter dallo stile impetuoso e travolgente, non a caso nella divisione superiore aveva abbattuto come fa un boscaiolo con un albero, Jeremy Stephens a forza di colpi al corpo. Anche nel match di UFC 265 Aldo ha fatto ricorso più volte ai colpi al corpo, trovando praticamente sempre il successo ed ha riesumato anche i suoi low kick, garanzia di precisione e potenza, capaci di mozzare il footwork avversario.
La divisione dei Pesi Gallo è la più bella e interessante in UFC, insieme a quella dei leggeri. Come quella al limite delle 155 libbre non ha un solo re, anzi, è in attesa della risoluzione di un Gioco del Trono che porterà il fighter con più abilità e fame a dominare una divisione nella quale, per vari motivi, regna attualmente il caos. Un caos splendido e sorprendentemente piacevole.