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Alfredo Giacobbe
Per l'Inter la normalità non esiste
03 dic 2016
03 dic 2016
Se non era chiaro prima, lo è sicuramente di più dopo la sconfitta di Napoli.
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Alfredo Giacobbe
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Alla vigilia di Napoli e Inter, la sfida tra le due grandi avrebbe potuto essere etichettata come il “Derby delle Deluse”: l’infortunio di Milik ha rallentato la tabella di marcia della squadra di Sarri, già meno efficace di quello che ci si sarebbe aspettati; i nerazzurri, invece, hanno iniziato a pregiudicare la loro stagione ancora prima che il campionato iniziasse, con la sostituzione della guida tecnica che ha accentuato gli equivoci tattici, irrisolti da Mancini nell’arco di una stagione e mezza, e che neanche de Boer è riuscito a risolvere in un modo che la dirigenza ritenesse soddisfacente, spingendola al discutibile secondo cambio di panchina stagionale.

 

E forse anche alla ricerca di un minimo di continuità, l’Inter si è presentata al San Paolo con lo stesso undici che aveva sconfitto la Fiorentina nel turno precedente: in quella partita, Stefano Pioli aveva adottato il 5-2-3 in fase di non possesso, allo scopo di contrastare uomo contro uomo i tre difensori della Fiorentina durante il processo d’inizio azione, e il modulo era anche funzionale per fornire - con Candreva che scendeva di due linee rispetto alla sua posizione in attacco - protezione adeguata al terzino destro, D’Ambrosio, impegnato nella marcatura a uomo e a tutto campo di Federico Bernardeschi.

 


Contro il Napoli le contromisure erano differenti ma non i principi: un’aggressività nei confronti dei primi costruttori di gioco, attaccati in parità numerica e con scalate in avanti se una marcatura fosse saltata, necessaria per iniziare ad attaccare già senza il possesso del pallone. Quando il Napoli ha avuto la possibilità di costruire il gioco dal basso, come piace a Sarri, l’Inter si è sistemata con una sorta di centrocampo a rombo: Banega saliva sulla stessa linea di Icardi per mettere pressione ad Albiol e Koulibaly, mentre Kondogbia andava a marcare il vertice basso Diawara fino ai limiti dell’area avversaria.

 

Ma già nella cattiva dell’esecuzione di questi movimenti può essere individuato il segno del fallimento interista di ieri sera: la pressione sui centrali napoletani dei due giocatori più avanzati, appunto Banega e Icardi, è stata spesso indulgente e non ha mai condizionato l’azione degli avversari. Albiol e Koulibaly hanno spesso trovato lo scarico centrale per la sponda di una delle mezze ali, o la combinazione su Diawara, con Kondogbia che, dal canto suo, sembrava più preoccupato di recuperare la posizione davanti alla difesa, decine di metri più indietro, piuttosto che tenere una marcatura rigida sul centrocampista guineano.

 

Senza considerare, poi, che il Napoli ha in Reina una valida alternativa di gioco: il portiere spagnolo ieri sera ha passato il pallone col 66% di precisione, e in campionato viaggia con un’invidiabile media del 77% (solo Szczesny e Buffon meglio di lui).

 


La pessima attitudine dei giocatori interisti con la responsabilità di portare la prima pressione ha pregiudicato anche la prestazione degli uomini immediatamente alle loro spalle, che già in partenza avevano un compito faticoso e complesso. I soli Candreva, Brozovic e Perisic hanno dovuto affrontare quattro avversari (i due terzini napoletani in uscita dalla difesa, più le due mezzali) con scalate sì studiate a tavolino, ma a conti fatti rivelatesi inadeguate.

 

In teoria l’Inter avrebbe voluto forzare il Napoli a giocare palla sui terzini: a quel punto l’ala interista sul lato forte sarebbe uscita sul portatore di palla, Brozovic avrebbe scalato sulla mezzala più vicina al pallone e l’altra ala avrebbe marcato la mezzala sul lato debole. Ma dato che, come detto, gli attaccanti dell’Inter non riuscivano a orientare il giro palla degli azzurri, e che il pallone passava centralmente, i movimenti verticali ma con direzioni opposte di Hamsik e Zielinski hanno allargato il centro del campo in modo tale da renderlo incontrollabile per il solo Brozovic.

 

Il pallone trasmesso attraverso le mezzali premiava spesso il movimento incontro di Insigne o Callejon, seguiti centralmente a uomo da D’Ambrosio e Ansaldi. A quel punto i due esterni napoletani potevano ricercare il dialogo con la prima punta, Gabbiadini, ma più spesso hanno servito in modo molto semplice Ghoulam o Hysaj ai loro lati, ormai liberi al di là della prima linea di pressing interista.

 



 



 

La cattiva esecuzione di un’idea ambiziosa, punita con due reti nei primi cinque minuti, ha compromesso la partita interista. Nel modo in cui sono maturati i primi gol della partita sono rappresentati molti dei problemi che affliggono l’Inter in questo momento.

 

All’inizio dell’azione del gol di Zielinski che sblocca il punteggio, Gabbiadini si abbassa per appoggiare l’azione di Hysaj e Callejon. Miranda lo segue, salvo poi fermarsi di colpo sulla linea di centrocampo. Gabbiadini, senza alcuna pressione, può servire lucidamente Zielinski, che gioca poi un filtrante di prima intenzione verso Hamsik. Brozovic è preso in mezzo, mentre Candreva è rimasto troppo lontano per la velocità con cui si sviluppa l’azione.

 



 

Sul prosieguo, Hamsik riceve la sponda ancora da Gabbiadini, che era libero alle spalle di Ranocchia, uscito per prendere Insigne (su Gabbiadini non accorcia D’Ambrosio); Hamsik è bravo a trovare Callejon in isolamento contro Ansaldi, ma il centrocampo interista accorcia in ritardo verso il terzino argentino. Perisic guarda solo dritto davanti a sé e magari non può vedere Zielinski alle proprie spalle (anche se l’atteggiamento del corpo sembra comunicare un’eccessiva rilassatezza, mentre Zielinski scatta quando il pallone è ancora in aria in viaggio verso Callejon).

 

Sicuramente poteva vederlo Kondogbia, che è disposto frontalmente ma non velocizza la sua azione.

 



 

 

Nell’azione del secondo gol, Icardi e Banega non danno alcuna pressione ad Albiol e Koulibaly, che giocano palla a testa alta. Il primo movimento di Hamsik incontro alla palla attrae Brozovic e pulisce la linea di passaggio verso Insigne; sul napoletano entrano in due, sia D’Ambrosio, che era in marcatura, sia Ranocchia, ormai consapevole dei pericoli che l’uomo tra le linee può portare. È vero che è raro fronteggiare una squadra che ha un giocatore come Hamsik che immediatamente visualizza e aggredisce il buco nello schieramento avversario, e uno come Zielinski capace di vedere il movimento del compagno e servirlo di prima con precisione, e va dato merito all’eccezionale qualità dell’azione degli uomini di Sarri, ma l’atteggiamento degli interisti fa il resto: Miranda e Ansaldi non scappano all’indietro, stringendo verso la porta per coprire l’uscita del centrale; Candreva resta in una posizione intermedia tra Ghoulam e Hamsik, affiancando il secondo anziché frapporsi sulla sua linea di corsa verso la porta.

 



Convivendo con la sensazione di poter prendere gol ad ogni perdita del possesso, l’Inter ha comunque creato pericoli alla porta di Reina, principalmente sviluppando gioco sulle fasce, attraverso l’azione coordinata di terzino, ala e mediano. Impossibilitato a ricevere palla tra le linee, grazie alla densità in zona centrale fornita dal Napoli che difendeva col 4-5-1, Banega è stato costretto a muoversi in una posizione esterna, quasi da terzino, rendendo più fluida la circolazione sulla fascia destra (dove l’Inter ha fatto più gioco: per il 46% del tempo speso in possesso della palla).

 

Dalla zona di Banega il pallone poteva raggiungere lungo linea Candreva oppure in diagonale Perisic, che soprattutto nelle transizioni difesa-attacco stringeva in mezzo per ricevere ai lati di Diawara e fare da ponte per Candreva o Icardi, in uno schema che Pioli ha preso pari pari dal “playbook” della sua Lazio.

 



 

Tre delle occasioni più ghiotte della partita, due con Icardi e una con Perisic, l’Inter le ha costruite col risultato ancora sul 2-0. Una quarta, il colpo di testa di Perisic che si è spento fuori alla destra di Reina, è arrivata quando la partita era virtualmente chiusa.

 



Il Napoli ha fatto la sua solita partita, ha sfruttato al massimo il deficit organizzativo avversario e per una volta non ha affrontato una difesa arroccata. Diawara e Zielinski sembrano aver conquistato i galloni della titolarità in pianta stabile. Il guineano ha mostrato buoni doti difensive (ha recuperato più palloni di tutti, 6) pur mostrando di avere ancora da imparare circa il proprio posizionamento (una mancata copertura preventiva sugli attaccanti avversari lo ha costretto al fallo 3 volte).

 

Ma non c’è dubbio alcuno sulle sue doti con la palla tra i piedi, e sulla sicurezza da veterano mostrata da Diawara anche quando pressato, così come difficilmente si può discutere il suo atletismo, che si trasforma nella capacità di seguire sempre l’azione da vicino (quando gioca Diawara è sempre l’uomo in campo che corre di più, ieri ha percorso 12,1 km).

 



 

Zielinski non ha la sagacia tattica di Hamsik, e chissà se mai l’avrà, però ha un’ottima mobilità e resistenza allo sforzo, una dedizione all’applicazione degli schemi richiesti, una conduzione di palla veloce e sicura e, quando ha l’occasione di dimostrarlo come sul gol del capitano, ha anche piedi da trequartista.

 

Per vincere le partite nel calcio di oggi è fondamentale generare superiorità numerica al di là della prima linea di pressione. Sarri ha sempre in mente questo obiettivo e i tre uomini del suo centrocampo sono stati altamente funzionali allo scopo: il Napoli ha spezzato la pressione dell’Inter con continuità, ha girato il pallone velocemente alle spalle degli uomini della prima linea e ha finito per portare a casa la partita.

 


Pioli ieri ha confermato, come Federico Aqué aveva

sulle nostre pagine, di essere tutt’altro che un normalizzatore. È invece un allenatore con un’idea di calcio ben definitiva, per certi versi molto “olandese”, che difficilmente sarà disposto a compromettere.

 

Nel primo tempo di ieri, con gli interisti in evidente imbarazzo nell’eseguire i compiti assegnati, avrebbe avuto più senso per un allenatore chiedere ai propri giocatori di rinunciare al pressing in zone alte del campo, per compattare le linee in un blocco basso. Invece Pioli ha insistito nel suo intento, è sembrato quasi guidato dalla logica del “impariamo a nuotare o affoghiamo”.

 

L’aggressività sul primo possesso andrebbe accompagnata dalla salita della linea difensiva, ma Pioli non ha centrali dotati delle caratteristiche desiderate: Miranda non è a proprio agio quando è costretto a lasciare metri alle proprie spalle, Ranocchia si è fatto confondere dal disordine tattico.

 

E quando le qualità dei giocatori a disposizione nella rosa fanno a braccio di ferro con le idee dell’allenatore la domanda è sempre e solo una: chi cederà per primo? Anche se nessuno ne uscirà davvero vincitore.

 

 

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