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«Entusiasmo, impegno e tolleranza»: intervista a Peppe Poeta
15 mag 2025
Una lunga chiacchierata con l'allenatore della Germani Brescia, in attesa dei playoff.
(articolo)
13 min
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IMAGO / Giulio Ciamillo
(copertina) IMAGO / Giulio Ciamillo
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Ricordo ancora la prima volta che ho visto giocare Giuseppe Poeta - per tutti Peppe. Avevo 12 anni e, per una combinazione improbabile di fattori, mi ritrovai ad assistere a una partita dell’allora Serie B2 tra Gragnano e Salerno. Tra le fila degli ospiti c’era questo giovane playmaker 17enne, di cui si diceva già un gran bene, e ricordo tutto questo perché a fine partita mi avvicinai per chiedergli l’autografo. Era la prima volta che lo facevo con un giocatore di basket lontano dalla mia città, e non potevo ovviamente immaginare che quel ragazzo l’anno successivo sarebbe entrato nella storia del nostro basket per i 51 punti segnati in una partita di Serie B (Veroli-Forlì) e, in generale, che potesse diventare un giocatore con 120 presenze in Nazionale e una carriera fatta di stagioni e ricordi memorabili in diverse squadre del nostro paese. Non solo Italia, dal momento che un paio di parentesi in Spagna - tra Baskonia e Manresa - hanno contribuito a renderlo un nome in grado di valicare i confini del nostro paese, oltre a lasciargli in eredità uno sfumato accento iberico.

Poeta è sempre stato uno dei miei giocatori preferiti, ed essere testimone degli albori della sua carriera da allenatore mi sembra ancora surreale. Anche perché è lui stesso a non essersi mai definito un “coach in campo”, usando una metafora spesso abusata nella conversazione sportiva. «Sentivo che per limiti fisici dovevo arrivare un secondo prima degli altri, o essere più furbo», mi racconta in merito, durante un pranzo di fine gennaio prima delle Final Eight di Coppa Italia. «Questo nella mia carriera mi ha aiutato, con un fisico limitato, a capire prima le azioni, ma sono andato oltre le mie più rosee aspettative. Non ho mai pensato di diventare quello che sono oggi, ci credevano maggiormente gli allenatori che avevo. Io mi sono sempre divertito giocando, la parte tattica ho iniziato di più a scoprirla gli ultimi anni, quelli in cui il fisico andava ancora di meno. Allenatore in campo non mi ci sono mai sentito, avvertivo piuttosto di essere uno che con furbizia e intelligenza poteva prevedere una situazione».

Sicuramente, però, di esempi illustri in 20 anni di carriera Poeta ne avuti tanti: «È stata una grande fortuna. Messina, Banchi, Recalcati, Scariolo, Larry Brown, Andrea Capobianco. Ho provato ad attingere da ognuno dei tanti grandi allenatori che ho avuto, a rubare qualcosa da tutti. È stato un percorso molto formativo e oggi nel mio modo di allenare provo a portarmi caratteristiche di ognuno di loro, perché penso che nel fare questo lavoro si debba essere se stessi, non si può scimmiottare qualcuno. Da giocatore ero un grande ascoltatore, mettevo gli allenatori su un piedistallo anche umanamente: l’allenatore, per me, aveva sempre ragione. Nei giocatori che scelgo oggi cerco prima la persona e poi l’atleta. Non penso di essere in grado di allenare caratteri difficili. Finora non è mai successo, ma spero di non doverlo fare. Oggi sono fortunato ad avere una squadra con un grande senso di responsabilità e un’incredibile attitudine, credo che tanti meriti di questa stagione siano dovuti alle persone che abbiamo scelto, prima dei giocatori».

Alla prima stagione da capo allenatore, seduto sulla panchina di una Germani Brescia capace di confermarsi nei piani altissimi di una Serie A mai così equilibrata negli ultimi anni, Poeta è stato capace di creare un legame stretto e totale con i suoi giocatori. Non chiedetegli, però, quale sia il suo “stile” tattico: «Non penso che la pallacanestro sia di chi l’allena. Credo che un bravo allenatore sia colui che riesce a cucire il vestito giusto intorno ai propri giocatori, che riesce a nasconderne i difetti ed esaltarne i pregi. Io posso essere un amante o meno del post basso - detto che mi piace - ma avendo due giocatori come Bilan e Burnell sarei un fulminato poco intelligente se non lo utilizzassi. E siamo la prima squadra per uso del post in LBA. A livello senior secondo me è più l’allenatore che deve adattarsi alle caratteristiche del giocatore, piuttosto che il contrario. L’atleta può migliorare, ma questo avviene quando sei tu a costruire, a confezionare il vestito giusto. Un miglioramento lo vedi sull’arco di una o più stagioni, ed è diverso da quanto avviene nel settore giovanile, quando sei tu a spingere i giocatori a imparare a fare - anche tramite le sconfitte - solo per crescere, a creare dei percorsi».

«È un lavoro completamente diverso», continua, «rispetto a quello di chi lavora con una prima squadra, dove il risultato è fondamentale e la priorità è mettere i giocatori in condizione di fare qualcosa che è nelle loro corde. Non che ciò non avvenga nelle giovanili, ma lì devi più spingere l’atleta ad andare oltre i suoi limiti e le sue zone di comfort, a migliorare tramite l’errore. A livello senior se puoi evitarlo, l’errore, forse è meglio». Viene naturale quindi, in un periodo storico dove tanto si discute del tema dell’errore (e, per esteso, del concetto di fallimento), chiedere del rapporto con l’errore. «È super, un bel rapporto. Mi ritengo una persona molto tollerante, qualcosa che nel mio lavoro può essere un pregio come un difetto. Credo che l’errore fatto con impegno debba essere assolutamente accettato perché fa parte del percorso. È importante riconoscere l’impegno ed essere tolleranti, è uno dei pilastri del mio modo di allenare».

L'esordio in panchina.

«In assoluto e prima di tutto io chiedo tre cose: entusiasmo, impegno e tolleranza. Verso l’errore proprio, del compagno, dell’arbitro. La pallacanestro è un gioco di errori: pensa a come una partita in cui tiri il 50% sia una buona partita, una in cui hai sbagliato la metà delle tue conclusioni tentate. L’accettazione e la depenalizzazione dell’errore», conclude sul punto Poeta, «è una parte fondamentale dell’allenare, soprattutto adesso che la richiesta ai giocatori sta aumentando a livello di partite, di impegno, di fisicità in campo». Da un ottimo rapporto personale, quello con l’errore, a quello con la pallacanestro e quanto questo sia cambiato nel momento della transizione dal campo alla panchina, da 20 anni da atleta a tutti i livelli della piramide ‘senior’ a un percorso breve dal punto di vista temporale, ma indubbiamente intenso come esperienze e situazioni vissute, da allenatore.

«Ho avuto la fortuna di iniziare facendo da assistente ad Ettore (Messina, nda) che per richieste ed esigenze è il numero uno in assoluto», mi dice Poeta. «Ho appreso tanto sulla parte metodologica, di richieste quotidiane, di metodo di lavoro e di conoscenza del gioco, mi ha dato tutta un’altra prospettiva. E un’altra fortuna è stata quella di abbinare tutto questo all’essere assistente in Nazionale di Gianmarco (Pozzecco, nda), che mi ha aiutato molto nella transizione da giocatore ad allenatore anche nella condivisione di errori che aveva commesso lui, che mi ha fatto conoscere e pertanto evitare di commetterli. Sono stato veramente fortunato ad avere questa combo di visioni della pallacanestro molto diverse tra loro, di enorme aiuto per la mia transizione anche perché si è trattato di una formazione di due anni super intensa. Se avessi iniziato ad allenare subito dopo avere smesso di giocare mi sarei schiantato. Anche il fatto che da assistente ho iniziato a usare i programmi di scouting, a fare la parte video e a tagliare le partite. Oggi, quando lo chiedo a un assistente, so di cosa sto parlando, quanto lavoro c’è dietro e quanto una cosa sia fatta bene o meno».

Non può sorprendere nessuno, leggendo queste parole, sapere che la carriera in rampa di lancio di Poeta come allenatore - fresca di rinnovo fino al 2027 con la Germani Brescia - non sia stata una scelta scontata, quanto piuttosto una progressiva: «Non sapevo se volevo allenare. Parlandone con Ettore avevamo deciso di fare un anno da assistente per vedere se mi poteva piacere. Pensavo che per essere un allenatore bisognasse essere molto duri, tanto autoritari, vivere nei conflitti. Ed è una cosa che non sono bravissimo a fare, anche se non implica che io non sia esigente. Mi piace esserlo, ma non voglio vivere nei conflitti. Non sono uno duro, e penso che tra le caratteristiche dell’allenatore la durezza debba esserci. Pensavo di non essere portato, di potere diventare un dirigente: d’altronde molti che poi finiscono con l’essere General Manager o Direttori Sportivi iniziano facendo l’assistente allenatore, un percorso intermedio dove vedi tutto da un’altra prospettiva».

«L’ho intrapreso e mi è piaciuto, mi sono innamorato delle sfaccettature del gioco e della professione. Mi sono detto di provare a farlo a modo mio, senza mettermi una maschera da duro. Da persona esigente ma empatica: al momento sta andando tutto bene, poi… ci godiamo il momento». Il percorso anche come stile di vita, come mood quotidiano nell’approcciare la quotidianità: «Ho un’ottima capacità di vivere la giornata, sono uno che si gode il percorso. L’ho sempre fatto, sin da quando ero giocatore e rispondevo di non avere sogni. Quando giocavo in Serie B ero il più contento del mondo, perché mi davano 1500 euro al mese per farlo. Mi sembrava un sogno, lo vivevo come tale, e quando sono arrivato in Serie A è stata la stessa cosa. Oggi alleno una squadra importante come Brescia, mi godo questa cosa qui senza pensare al dopo, allo step successivo. Nello sport i momenti cambiano repentinamente, si può passare dalle stalle alle stelle - o viceversa - nello spazio di due mesi, di sei o otto partite. Quando giocavo a Torino siamo passati nello spazio di giorni da un allenatore che se ne è andato all’improvviso a una Coppa Italia vinta per la prima volta, e posso citarne altri cinquanta di episodi del genere».

«Per fare il nostro lavoro, quello dell’allenatore come del giocatore, bisogna avere un buon equilibrio interno», continua Poeta. «Avendo la fortuna di avere iniziato molto dal basso, dalla C2, vivo tutto come un bel momento, come un sogno, e me lo godo. Quando sei alla fine della tua carriera da giocatore a volte non ti rendi conto di quanto sei felice quando stai giocando, mentre stai facendo la cosa più bella del mondo. Io, invece, l’ho sempre capito e adesso è la stessa cosa. La ricchezza è il percorso, oggi mi godo un viaggio che non è detto che mi piacerà per sempre». Un viaggio che l’ha già portato ad allenare dei giocatori con cui ha condiviso lo spogliatoio, o che ha affrontato sui parquet italiani: «Credo che sia la cosa più difficile del mondo avere come allenatore uno con cui hai giocato insieme, che prima vedi ‘paritario’ e poi, il giorno dopo, ti dice cosa devi fare. Io ho dei modi molto ‘kind’, ma sono loro che quasi mi mettono in soggezione per come mi ascoltano, assorbono le cose che dico e faccio quanto chiedo loro. Mi hanno dato fiducia sin dal primo momento, se io faccio una correzione, la accolgono. Sono stati loro bravissimi nel rispetto dei ruoli, a partire da Amedeo (Della Valle, nda) e Cournooh con cui ho giocato insieme, a mantenere questa separazione aiutandomi tantissimo».

Il pranzo trascorre, e la conversazione scivola via verso aspetti più diretti della quotidianità del Poeta allenatore, a partire da quanta pallacanestro fa parte proprio della vita di tutti i giorni: «Ne guardo tanta, nonostante mi considero una persona abbastanza trasversale, che ha tanti interessi e che riesce a sapere staccare dalla pallacanestro. Guardo tutta la Serie A e l’Eurolega, quasi tutta l’Eurocup e la Basketball Champions League, so sempre cosa accade in A2. La fortuna è che con tutti i programmi da allenatore è molto più facile guardare le partite, per accesso e modi di visione: in una giornata normale guardo sempre tre o quattro partite. Ieri (28 gennaio, nda) ho visto Trento dal vivo, due o tre partite di Napoli contro cui dovremo giocare in campionato, una volta tornato a casa ho recuperato un pochino di Lubiana-Valencia. Certamente oggi le guardo diversamente, era la prima cosa che chiedevo ai miei ex allenatori. Se riuscivano a godersi le partite staccando da tutto, da spettatori, o se analizzavano inevitabilmente. La pallacanestro è uno sport dove in ogni possesso c’è una chiamata, c’è almeno una situazione di interesse: la verità è che non riesci a scindere. Quando diventi un allenatore guardi sempre un po’ all’aspetto tattico delle due squadre; quando guardi un giocatore, per esempio facendo scouting d’estate, riesci a concentrarti sul singolo».

Un aspetto importante, del primo triennio in panchina di Poeta, è il doppio incarico con la Nazionale che continuerà anche nei prossimi mesi, dal momento che dopo le esperienze al Mondiale 2023 e al Preolimpico 2024 il coach della Germani Brescia sarà assistente di Gianmarco Pozzecco anche a Eurobasket 2025. «Il doppio incarico lo faccio con molta serenità e leggerezza: durante l’anno non è un impegno gravoso, perché sono due settimane qui e lì dove giochi con gli stessi concetti allenati d’estate, non vai a cambiare niente. L’estate è invece un full commitment di 40 giorni, in cui riesci a staccare due cose che possono essere complementari. Mi ha dato tanto perché è un’esperienza di alto livello, in cui hai a che fare con i migliori giocatori italiani e diventi tu stesso un allenatore migliore. È una risorsa, ma devi avere anche l’energia per farlo, perché ti porta a essere continuamente in ballo per 12 mesi, a sacrificare famiglia e affetti. Ti dà tanto come esperienza e ti fa crescere come allenatore, ma ti toglie anche qualcosa. Oggi sono contentissimo, ma ho 40 anni: magari tra dieci sarà tutto diverso».

Interessante anche il rapporto con i numeri e con lo staff: «I dati li leggo, pur non essendo un grande amante, secondo me ti possono dare dei buoni spunti ma mi fido di più delle sensazioni. È importante che nello staff vi siano figure che sappiano leggere i numeri, perché sono un assistente aggiunto in grado di darti qualcosa che hai perso di vista, ma credo che durante la partita le sensazioni siano più importanti dei dati. Se un gioco che ho chiamato tre volte ci ha dato zero punti, le analytics possono dirmi di non chiamarlo più, ma se credo che siano stati tre buoni tiri che la difesa ha fatto fatica a difendere io lo richiamo. Ho uno staff giovane, con esperienze diverse. Ritengo che verso di loro la gratificazione sia molto importante: dire un bravo in più è benzina che ti fa continuare a dare il meglio, mi piace essere un mix tra l’esigente e il gratificante».

«Finora è stata una marea, un tourbillon di prime volte, tutte bellissime», continua Poeta. «Il primo allenamento, dove tutti ti aspettano e ti ‘pesano’. La prima amichevole, l’esordio in campionato, la prima brutta sconfitta. Una serie di prime volte che a modo loro mi hanno dato tanto, tutte. Sono cose che rimarranno». L’auspicio conclusivo si riferisce a una Coppa Italia che ha poi visto Brescia sconfitta in semifinale contro Milano, ma sono parole che possono benissimo applicarsi anche a dei playoff che vedranno la Germani come una delle prime quattro teste di serie, col vantaggio del fattore campo nei quarti di finale contro Trieste: «Vorrei che lo spirito sia lo stesso della prima partita di campionato, con quelle tre cose che ho detto prima (entusiasmo, impegno e tolleranza)», dice Poeta. «È normale che le partite abbiano un peso specifico diverso a un certo punto, quando diventano da dentro o fuori. La pressione è diversa, ma la chiave sta nel riuscire ad approcciare come durante il resto della stagione. Nella mia vita non ho mai visto un giocatore entrare in campo per non impegnarsi al massimo. Si può essere più o meno istintivi o pensierosi, cose che possono succedere anche in base al peso della partita. La chiave sta nel non fare impattare questo peso, nel riuscire a giocare essendo te stesso».

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