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(di)
Daniele Manusia
Pelé antinostalgico
31 dic 2022
31 dic 2022
Una riflessione sulla modernità del suo calcio.
(di)
Daniele Manusia
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Bettmann
(foto) Bettmann
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Pelé è stato il primo calciatore moderno, ok. Pelé ha portato il calcio degli aneddoti e delle leggende nella nostra quotidianità, il calcio omerico della tradizione orale nel calcio televisivo. Pelé ha portato il Brasile - e insieme al Brasile il resto del mondo, come un abito da sposa porta nel proprio strascico tutto quello che trova sulla sua strada - nella contemporaneità. Pelé è il vascello, l’astronave, che ha portato il calcio - questo sport piuttosto recente, almeno nella forma in cui lo intendiamo oggi - nei nostri giorni. Il cardine intorno a cui ha ruotato la porta che ha fatto passare il calcio da una stanza, quella dove si trovava prima (il calcio giocato con le teste dei nemici, oppure nei porti riempiti di inglesi ubriachi) a quella dove si trova oggi. Il primo vero professionista, il primo vero atleta totale prestato al calcio, il primo vero grande artista, il primo vero esperto di marketing. Tutto questo lo sappiamo già. Vorrei provare a spingermi oltre.

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Pelé è stato un calciatore da YouTube prima che ci fosse internet - e forse bisognerebbe chiedersi se internet e YouTube non siano stati inventati anche, proprio, per condividere video di Pelé in eterno. Pelé è stato un meme prima che la cultura dei meme si mangiasse tutto il resto - secondo la definizione Treccani: «singolo elemento di una cultura o di un sistema di comportamento, replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro o da uno strumento di comunicazione ed espressione a un altro». Ci sono i video “Pelé did it first” a testimoniarlo, a renderlo evidente, inconfutabile, come delle impronte lasciate da un assassino sul luogo del delitto: le impronte di Pelé sono dovunque nella storia del calcio. Sono su Cruyff, su Ronaldinho, su Messi, su Cristiano Ronaldo, su Mbappé, su Zidane (incredibile che il gol più che sembrava più irripetibile di Zidane, quello al Deportivo la Coruna in cui frena, finge di andare a destra e poi riallunga a sinistra, in realtà fosse stato già fatto, uguale uguale, su quella stessa diagonale, da Pelé, e non fosse neanche tra i suoi gol più ricordati). Come ha scritto Daniele V. Morrone: «È come se avesse inventato il linguaggio che oggi parlano tutti». Pelé è la Stele di Rosetta, la chiave per capire i codici del calcio. Basta guardare un suo video, anche uno breve senza data, senza sapere che partita fosse, che minuto fosse, cosa ci fosse in gioco, per avere presente tutto quello che il calcio può essere. Che è stato, che è, che per quel che ne sappiamo noi sarà.

Si dice spesso che è un peccato avere così pochi video di Pelé. Chi lo ha visto dal vivo - magari su una tv piccola e sgranata come un cellulare caduto in un acquario pieno di pesci - lo considera alla stregua di una verità che ha visto solo lui, solo loro, una verità incomunicabile, quindi un segreto. Una generazione intera che si sente come i pastorelli di Fátima a cui la Madonna in persona ha sussurrato nell’orecchio. Non sono d’accordo. Pelé non è stato solo il primo calciatore moderno, ma anche il più moderno di tutti, l’antinostalgico per eccellenza (anzi, ci sarebbe da chiedersi se non abbiamo “visto” Pelé di più e meglio noi di quanto abbia potuto vederlo la generazione di mio nonno), il primo calciatore che non aveva bisogno di contesto. Al pubblico di una volta Pelé doveva sembrare un alieno, un’eccezione, l’annuncio di un futuro incomprensibile quanto lo era quello che disegnavano con le macchine volanti; a noi sembra il calcio del presente condensato in un solo giocatore. In questo senso Pelé è Pelé oggi almeno quanto lo era ieri. Forse, per capirlo veramente era necessario vedere, poi, Cruyff, Zidane, Ronaldinho, Messi, Cristiano Ronaldo, Mbappé. E questo è vero per Pelé e per nessun altro. Ma già che ci sono, provo a spingermi ancora più in là. Dicendo che Pelé, pur avendo fatto la Storia e la cultura sportiva della sua epoca, nonostante la sua storia personale sia ancorata alla storia del proprio Paese, alla fine dello schiavismo, alla dittatura, ormai trascende la dimensione stessa della propria temporalità. Il talento di Pelé è arrivato a trascendere il corpo che ha abitato. E così Pelé è diventato il primo vero calciatore digitale. Nike e Adidas hanno creato entrambe pubblicità stranianti, con calciatori in carne e ossa vicini a repliche digitali di sé stessi giovani o di altri calciatori. In alcuni casi era difficile capire quale fosse il giocatore reale e quale no. Per Pelé non ci sarebbe alcuna differenza. Quando le partite si giocheranno negli stadi della realtà virtuale e non avremo più neanche bisogno di nuovi calciatori Pelé sarà di nuovo la star del calcio mondiale. Segnerà più gol delle repliche di Messi e Haaland, Andrà in rovesciata più in alto di Cristiano Ronaldo, brucerà la replica di Mbappé sullo scatto.

A conferma di ciò c’è il video del gol più bello in assoluto tra quelli realizzati da Pelé - e quindi, forse, il più bello in assoluto tout-court. Quello segnato al Clube Atlético Juventus il 2 agosto 1959, mai filmato, ricostruito attraverso i racconti, le testimonianze e reso visibile dalla tecnologia. La tradizione orale, dicevamo, che si fa realtà virtuale. Pelé che con la fluidità di un videogioco aggira un primo avversario con un tocco di collo al volo, ne salta un secondo e un terzo palleggiando, con due sombreri, poi palleggia ancora di ginocchio, aspetta il portiere e salta anche quello con un sombrero. Infine, sempre senza rimettere a terra il pallone, lo schiaccia in porta di testa. Un gol reale e virtuale al tempo stesso. Che porta Pelé dal 1959 direttamente nel 3000. Più bello, più finto e irreale dei gol più belli segnati a Fifa, eppure parte integrante della memoria di Pelé. Proprio come il gol segnato in rovesciata in un campo di prigionia tedesco, quello di Fuga per la vittoria. Finzione cinematografica, certo, ispirata a una partita realmente giocata a Kiev tra una squadra mista di Dynamo e Lokomotiv (a Kiev, sempre nel 1942) e all’iconica rovesciata realizzata in amichevole contro il Belgio nel 1965, una partita in cui ha segnato tre gol ma nessuno in rovesciata. Con quella rovesciata Pelé non ha neanche preso la porta, eppure l’immagine di quella stessa rovesciata è entrata a far parte della sua iconografia. Come il gol mancato in semifinale contro l’Uruguay nel 1970, dopo aver saltato il portiere senza neanche toccare la palla. La realtà è un dettaglio quando si parla di Pelé e questo forse è l’aspetto più antico e al tempo stesso moderno di tutti quelli tirati in ballo fin qui. Il suo gol più bello è il gol di un videogioco. I suoi momenti più iconici non sono “perfetti”, uno di quei momenti è addirittura inventato, vagamente ispirato a un momento reale. Non che Pelé non ci abbia fornito abbastanza “realtà” (basterebbero i tre Mondiali vinti, il gol in finale all’Italia, la doppietta in Svezia quando aveva diciassette anni). Semmai, Pelé, ci ha ricordato che siamo noi, in quanto essere umani, a non farci mai bastare la realtà.

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