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Patrick Mahomes, l'ultimo Gunslinger
11 gen 2019
11 gen 2019
Lo stile di gioco del quarterback dei Kansas City Chiefs non si era mai visto.
(articolo)
12 min
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Gunslinger è il titolo di un film Western del 1956 diretto da Roger Corman, nel quale John Ireland interpreta un cacciatore di taglie ingaggiato per uccidere lo sceriffo di un villaggio del Texas. Veste nero come il cavallo che monta, ha gli stivali impolverati e uno sguardo tagliente che tradisce pessime intenzioni. Si aggira per la cittadina di Oracle con la pistola nella fondina, alla ricerca di un motivo per estrarla e, come in ogni western che si rispetti, le occasioni per consumare polvere da sparo non gli mancano.

Gunslinger significa letteralmente pistolero, ed è un termine che evoca l’immaginario del vecchio West al pari dei motivetti del pianoforte nei bar e delle stellette sul cappotto dello sceriffo. Con il tempo, il mondo del football se n’è appropriato per definire lo stile di quei quarterback che vivono ogni partita come un duello fuori da un saloon. Come i pistoleri, i passatori gunslinger sono armati fino ai denti e muoiono dalla voglia di premere il grilletto. L’arma che usano per darsi battaglia è il braccio destro, il proiettile anziché essere un bossolo di piombo è un ovale di cuoio marrone con le cuciture bianche come impugnatura. Il gunslinger è un quarterback che gioca un football spregiudicato, che richiede una capacità di lancio fuori dal comune e una buona dose di incoscienza per testarla di continuo, anche quando la situazione richiederebbe prudenza. La totale fiducia nel suo “big arm” è spesso un’arma a doppio taglio: ogni sua azione può finire con un touchdown spettacolare o con un intercetto.

Chi è Pat Mahomes

«Mi piace estendere le giocate grazie al mio atletismo, lanciare lungo e creare roba ogni singola azione». In uscita dal college, Patrick Mahomes II rispondeva così a chi gli chiedeva di descrivere il suo stile di gioco. Si è sempre sentito un gunslinger e non ha mai fatto niente per nasconderlo. Dopo aver fatto fuoco e fiamme all’università di Texas Tech è stato scelto dai Kansas City Chiefs con la decima scelta del Draft 2017 della NFL. Una scelta rischiosa, presa da Coach Andy Reid contro il parere della maggior parte degli esperti, convinti che lo stile pirotecnico di Mahomes non avrebbe attecchito tra i professionisti. I Chiefs peraltro non avevano bisogno urgente di draftare un quarterback, avendo in rosa un onesto titolare come Alex Smith. Dopo un anno di panchina, Reid ha ritenuto che Mahomes fosse pronto per il grande salto, così ha ceduto Smith ai Redskins e ha nominato titolare il nuovo arrivato.

Con l’attenzione mediatica catalizzata da una nuova rookie class ricolma di quarterback di talento, l’avvicinamento di Mahomes alla prima stagione da titolare è avvenuto tutto sommato in sordina. Forse anche per questo, il suo esordio strepitoso ha fatto così tanto rumore. Nelle prime cinque partite ha trascinato i Chiefs al record di 5-0 grazie a 1513 yard e 16 touchdown a fronte di soli due intercetti. Numeri clamorosi, che Mahomes ha saputo mantenere per tutto l’anno. Con la stagione regolare appena conclusa, possiamo dire che coach Reid ha vinto la sua scommessa, perché Patrick Mahomes merita di essere l’MVP della NFL. Viste le premesse, non era per niente scontato che le cose andassero così bene così in fretta.

La carriera di Mahomes a Texas Tech è costellata di momenti iconici, come l’aver preso parte al più grande shootout (sparatoria) della storia del college football, un pirotecnico 66 a 59 tra i suoi Red Raiders e gli Oklahoma Sooners di Baker Mayfield, futura prima scelta al Draft 2018. Nei tre anni passati a Lubbock ha messo in mostra una capacità di lancio spettacolare, che aveva scomodato paralleli con i migliori “big arm” della storia dello sport.

Già al college mostrava una sicurezza infinita nei suoi mezzi, data dal fatto che, oltre ad essere sovradimensionato anche per gli standard di un gunslinger (ha dichiarato di saper lanciare a più di 80 yard di distanza), il suo braccio è preciso come quello di un giocatore di baseball. Del resto Patrick Lavon Mahomes II è il primogenito di Patrick Lavon Mahomes I, una carriera dignitosa come Pitcher nella Major League di Baseball. Oltre al nome di battesimo, Pat ha ricevuto in eredità dal padre due cose che, per motivi diversi, contribuiscono a renderlo speciale. La prima è un accento dall’inconfondibile cadenza texana, che unito a un timbro particolarmente grave rende la sua voce simile a quella di Kermit la rana, il pupazzo dei Muppets.

La voce è veramente quella di Mahomes.

La seconda è un talento innato nel lanciare palloni di qualunque dimensione. Pat ha avuto la possibilità di seguire le orme del padre nelle major di Baseball, ma ha rifiutato la chiamata dei Detroit Tigers per concentrarsi sul football. Ha comunque giocato per anni nella posizione di shortstop, un ruolo nel quale è necessario saper lanciare in posizioni non convenzionali, soprattuto in corsa.

Grazie alla sua esperienza nel baseball e alle routine di allenamento ideate dal padre, Mahomes è diventato fenomenale nel lanciare facendo affidamento solo sulla forza del braccio e sfruttando angoli poco ortodossi ma tremendamente efficaci. Mentre i quarterback normodotati hanno bisogno di piantare i piedi a terra per sfruttare la forza generata dalla torsione del busto, a lui basta la forza del tricipite per fiondare palloni a 40-50 yard di distanza, anche in direzione opposta a quella della sua corsa.

Cosa si intende per angoli poco ortodossi

Evolversi restando sé stessi

I gunslinger sono una specie in via d’estinzione, perché intorno a loro le condizioni sono cambiate rispetto agli anni 90’, quando Brett Favre - per distacco il miglior gunslinger di sempre - vinceva tre MVP consecutivi. La rivoluzione nell’uso dei dati statistici che ha investito la lega ha dimostrato che il loro modo di giocare, fondato su improvvisazione e rischiosi passaggi lunghi, è meno efficace rispetto ai lanci medio-corti che oggi vanno per la maggiore. Per sopravvivere nella nuova NFL, l’ultimo dei gunslinger ha dovuto imparare a domare l’istinto che lo portava a cercare sempre e comunque la big play, e in questo senso l’anno di apprendistato che gli ha permesso di maturare senza pressioni è stato fondamentale.

Sembra incredibile quanto il gioco di Mahomes si sia affinato dopo una stagione passata, salvo l’inutile comparsata in week 17 dello scorso Gennaio, a scaldare la panchina dello stadio di Arrowhead. Eppure il giocatore visto quest’anno mostra una comprensione del gioco degna di un veterano: Mahomes manipola le safety con lo sguardo, anticipa i blitz dei linebacker, cambia i compiti di blocco e gli schemi alla linea di scrimmage.

Sono tutti aspetti che un quarterback non impara a padroneggiare prima di tre-quattro anni di gavetta, con i quali tra l’altro Mahomes faticava parecchio al college. Contro ogni previsione, è riuscito a compiere questo step mentale e tattico decisivo senza far avvizzire quell’istinto per il playmaking che lo separa dal resto della lega. Ogni domenica Mahomes tira fuori dal cilindro tre-quattro giocate che nessun quarterback in attività al di fuori di sua maestà Aaron Rodgers si sognerebbe di tentare, perché nessuno possiede lo stesso mix di mobilità, gittata e creatività.

Guardando i suoi highlights, le immagini delle sue giocate più assurde sono accompagnate da una litania di “unbelievable!” e “are you kidding me?” esclamati dai telecronisti americani. Ecco una personalissima top 3 dei momenti in cui Mahomes ha fatto cadere la mascella in mondovisione a diversi commentatori.

Contro i 49ers mette in mostra i pezzi forti del suo repertorio nel giro di un minuto. Prima lancia una bomba di 50 yard per quel centometrista prestato al football che è Tyreek Hill. Poco dopo scappa da una tasca che collassa troppo presto e riesce a pescare Conley per il touchdown. Il suo modo di fuggire dai difensori ricorda Charlie Chaplin che scappa dalle guardie nella scena iniziale di “L’Evaso”.

Nello scontro con gli arcirivali dei Denver Broncos, Mahomes ha smentito chi riteneva che le sue giocate folli non avrebbero trovato posto tra i pro. Il numero 58 che lo insegue è Von Miller, MVP del SuperBowl 50, che mentre afferra le caviglie di Mahomes pregusta l’ennesimo sack della carriera. Mahomes lo “sente” alle spalle e cambia mano in tuffo, lanciando con la sinistra. Inutile dire che né Miller né chiunque altro aveva mai visto una giocata del genere.

Per certi versi Mahomes sta rivoluzionando i canoni di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato fare in campo. Sta completando con successo giocate che vanno contro il buonsenso e contro tutto quello che da decenni si insegna ai quarterback. Un impatto simile a quello avuto da Steph Curry in NBA.

In una stagione sensazionale, una delle poche note negative è stata che la maggior parte degli errori commessi da Mahomes si sono concentrati nelle partite di cartello, le trasferte a Los Angeles contro i Rams e a Foxborough contro i Patriots. Due sconfitte nelle quali ha lanciato complessivamente cinque intercetti, quasi la metà dei dodici stagionali. Nei due incontri ha messo però a referto complessivamente numeri strepitosi: 10 touchdown e 830 yard lanciate che sono valsi 91 punti, e in entrambe le sconfitte il margine è stato di soli tre punti. Se si considera che in quelle partite la difesa dei Chiefs, che sicuramente non passerà alla storia come la reincarnazione della Steel Curtain degli anni ’70, ha concesso in totale quasi 100 punti, è evidente che Mahomes ha dovuto rischiare ancora più del dovuto per tenere a galla la sua squadra in partite dai punteggi altissimi, e ciò ha portato ad un numero maggiore di turnover. Oltre a criticarlo per questi errori, i detrattori di Mahomes attribuiscono i meriti del suo successo al play calling geniale di Andy Reid e al cast stellare di cui dispone in attacco.

È innegabile che per un quarterback i Chiefs siano il palcoscenico ideale, ma le stesse armi che ha a disposizione Mahomes le aveva Alex Smith l’anno scorso, e il paragone tra i due è impietoso. Giusto per dare un’idea, Smith ha chiuso la stagione 2017 con 26 touchdown in 15 partite. Per raggiungere lo stesso numero a Mahomes ne sono bastate 8, praticamente la metà. Ha concluso la stagione con 50 touchdown e 5097 yard a referto, numeri che lo consegneranno ai libri di storia e che rendono giustizia all’impatto insensato della sua prima stagione da titolare: in 80 anni di storia della NFL solo due quarterback hanno lanciato per più di 50 touchdown e 5000 yard in una stagione regolare. Uno è Mahomes, l’altro è un certo Peyton Manning.

Quando il gioco si fa duro

Spesso si dice che la stagione inizia veramente solo dopo la festa del Ringraziamento. Verso i primi di Dicembre gli infortuni e l’abbassarsi delle temperature si rivelano il banco di prova ideale per capire quali squadre fanno sul serio e quali sono un fuoco di paglia.

Nello stesso periodo, la stagione dei Chiefs ha rischiato effettivamente di deragliare, anche se per cause diverse da crociati rotti o bufere di neve. Il 30 novembre scorso, il sito di gossip TMZ ha pubblicato un video girato dalle telecamere di sicurezza di un hotel di Cleveland, nel quale si vede Kareem Hunt spingere e prendere a calci una ragazza. Kareem Hunt era il running back di Kansas City. Se la frase precedente è al passato il motivo è che, poche ore dopo la pubblicazione del video, i Chiefs lo hanno tagliato. Senza l’apporto fondamentale di Hunt, Mahomes si è trovato ad affrontare la fenomenale difesa dei Baltimore Ravens senza un gioco di corse credibile che allentasse la pressione generata dai blitz avversari.

Com’era prevedibile ha sofferto terribilmente, commettendo un paio di errori che rischiavano di compromettere la partita. Ma nel momento peggiore, con la squadra sotto di 7 punti e poco più di un minuto sul cronometro, Mahomes ha dimostrato di appartenere al club esclusivo dei quarterback d’élite, quelli che riescono a redimere una partita piena di difficoltà con un lancio nel momento decisivo. Come diceva Santana Moss: «Big time players make big time plays in big time games».

In situazione di 4th and 9 i Ravens non “blitzano”, ma è sufficiente la pressione del loro front four perché la linea offensiva dei Chiefs collassi rapidamente sul suo fianco sinistro. Mahomes cerca di eludere la pressione correndo verso destra, ma mentre scappa alla disperata non distoglie mai gli occhi dal fondo del campo, alla ricerca di un ricevitore libero. All’ultimo istante disponibile lascia partire un lancio “across the body” (in direzione opposta alla sua corsa) che sarebbe più consono ad un diamante di baseball che a un campo da football. Cinquanta yard più avanti Tyreek Hill ha capito le intenzioni del suo quarterback, così riesce a sbucare tra due maglie bianche e ad agguantare il pallone che tiene vivo il drive. Poche azioni più tardi i Chiefs segnano il touchdown che porta la partita ai supplementari, dove riescono a portare a casa una vittoria brutta, sporca e terribilmente importante per le sorti della stagione.

E ora?/Il duello più difficile

Con la vittoria sui Ravens Mahomes ha compiuto l’allungo decisivo nella corsa al titolo di MVP, per il quale ha duellato a distanza con Drew Brees per tutta la stagione. Dovesse spuntarla, a 23 anni Mahomes diventerebbe il più giovane MVP della lega da quando, nel 1984, il quarterback dei Dolphins Dan Marino sfondò per primo la barriera delle 5000 yards di lanci in una stagione. Nei suoi diciassette anni in Florida Marino ha accumulato una lista di record e riconoscimenti più lunga della spiaggia di Miami Beach, ma non è mai riuscito a mettere le mani sul gioiello della corona che nobilita la carriera dei migliori quarterback. Marino è noto infatti come “The greatest quarterback never to win a Superbowl”.

La sua legacy è intaccata dal fatto di aver partecipato ad una sola edizione, quella persa contro i 49ers di Joe Montana. Ancora più che per Marino, il successo in postseason avrà un peso decisivo sulla percezione collettiva del talento di Mahomes. Vincere è l’unico modo per legittimare uno stile di gioco così anticovenzionale: se la mano di Curry si fosse raffreddata nei playoff, l’impatto della sua rivoluzione culturale sulla NBA ne sarebbe uscito parecchio ridimensionato. Allo stesso modo, a Mahomes toccherà dimostrare a chi lo dipinge come un fenomeno da baraccone di essere molto di più di una macchina da highlights fini a sé stessi. Per farlo dovrà riuscire a ribaltare la narrazione perdente che circonda la sua squadra. I Chiefs non vincono una partita di playoff in casa dai tempi della presidenza Clinton. Quando hanno vinto il loro unico Superbowl era il 1969, la guerra in Vietnam riempiva le prime pagine dei giornali e i Beatles pubblicavano Abbey Road. È una sfida incredibilmente complicata, da far tremare la gambe a più di un quarterback. Proprio per questo sarebbe perfetta per consacrare il successo dell’ultimo dei Gunslinger.

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