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La resurrezione di Gilbert sul pavé
15 apr 2019
15 apr 2019
A 37 anni il belga ha vinto un'altra classica monumento e nessuno se lo aspettava.
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«Quando ho deciso di intraprendere questa sfida, tutti mi dicevano che il pavé non faceva per me, ma sapevo come trasformare le mie qualità di scattista. Nella vita, hai bisogno di sfide entusiasmanti». Philippe Gilbert ieri pomeriggio, a quasi 37 anni, ha conquistato la Parigi Roubaix. In pochi potevano immaginare un epilogo simile, le luci dei riflettori erano puntate su altri corridori: Sagan, Stybar, Van Avermaet, Degenkolb, Kristoff.

Tanto per essere più chiari a chi è poco avvezzo di ciclismo, Philippe Gilbert, secondo tutti i bookmakers, non rientrava neanche tra i primi 10 corridori considerati favoriti per la vittoria finale. Quindi come ha fatto Gilbert a dominare le pietre della Parigi-Roubaix sbaragliando ogni pronostico e distruggendo ogni rivale?

L'araba fenice

Rispetto ai suoi avversari Gilbert partiva svantaggiato per diversi motivi. Peter Sagan, ad esempio, considerato il favorito numero uno, ha 8 anni in meno di Gilbert – 29 rispetto a 36 –, che da parte sua non ha mai vinto una Parigi-Roubaix e prima di ieri l'ha disputata solo due volte. Rispetto allo slovacco, in teoria le sue caratteristiche non si sposerebbero troppo per essere competitivo sugli enormi blocchi di pietra della Parigi-Roubaix.

Nonostante un'azione ai limiti dell'incredibile, grazie a cui due anni fa ha conquistato Il Giro delle Fiandre, Gilbert per molti non è ancora un corridore adatto al pavé. Certo, non possiamo paragonare, sia per numero che per dimensioni, le pietre del Fiandre a quella della Roubaix, e nonostante la durezza della prima, quella francese è una corsa più dura e difficile da interpretare.

Nel 1981 Bernard Hinault, dopo averla vinta, disse che quella non era una corsa, ma una “porcheria”, e promise di non farla mai più. E qualche anno prima Eddy Merckx raccontò che tutti i corridori avevano paura di affrontare la Parigi-Roubaix perché ogni volta tornavano in albergo con la schiena a pezzi e le mani che tremavano “come quelle dei vecchi”. Eppure, nonostante sia azzardato paragonare le due corse, è probabilmente che grazie a quella vittoria Phillippe Gilbert ha iniziato a coltivare il sogno di poter vincere la Parigi Roubaix, anche alla sua età. E soprattutto è li che ha preso forma una visione folle: vincere tutte e 5 le classiche monumento.

«Nel mio ruolo e col mio fisico nella prima parte della carriera mi sono dedicato alle corse più adatte a me come Amstel Gold Race Freccia Vallone, Liegi e Lombardia (vinto due volte, ndr). Quando le ho vinte tutte, ho deciso di passare alle corse fiamminghe e adesso dopo il Fiandre mi è toccata la Roubaix», ha dichiarato ieri, come se fosse un processo del tutto naturale. Nonostante un'età ai limiti per poter essere ancora competitivo, Gilbert non si è mai dato per vinto. Anzi, ha costruito una seconda e inedita carriera in pochi anni.

Dopo un ultimo periodo sottotono alla BMC, Gilbert ha rimesso insieme i pezzi e conquistato una serie di successi unici grazie anche al passaggio alla Quick Step. Con un team costruito per poter essere competitivo e concentrato sulle classiche, dopo una fase di rodaggio, il belga è rinato come un'araba fenice.

Nel 2017 non solo ha conquistato per la prima volta il Giro delle Fiandre ma anche la quarta – e sottolineiamo quarta – Amstel Gold Race. Nonostante questo, il 2018 non è stato un anno brillante per il belga: una solo vittoria, al GP d'Ispergues. Ma oltre alla conquistata del Fiandre, è stata anche la buona prova dello scorso anno alla Parigi-Roubaix - dove ha tagliato il traguardo come quindicesimo - che ha fatto capire a Gilbert di poter essere ancora competitivo; anche in una corsa poco incline alle sue caratteristiche.

Il 2019 però è il vero anno dell'araba fenice. Gilbert ha trionfato contro i pronostici, contro uno stato di forma poco brillante della sua squadra, in cui tra l'altro corre Stybar, più adatto a questo tipo di corse, contro l'età, contro talenti mondiali come Sagan, Van Avermaet e Kristoff. Ha vinto contro i pronostici ma persino contro la logica, almeno all’apparenza.

La corsa

È partendo dall'analisi della corsa che si può capire meglio il successo di Gilbert, provando a rispondere ad una domanda che forse non ha risposta. Quest'anno la Parigi-Roubaix misurava 259 km, di cui 56 sulle pietre, con partenza da Compiegne, a nord di Parigi, e arrivo nel solito velodromo di Roubaix.

A farla da padrone, gli storici tratti in pavé che hanno scolpito l'immaginario della corsa: la foresta di Arenberg, passaggio dove a 100 km dall'arrivo si accende la corsa e, come si dice sempre la parte in cui si può perdere la Roubaix. E poi gli altri: Mons en Pevele, Champin en Pevele e soprattutto Carrefour de l'Arbre: settore di 2 km con difficoltà a 5 stelle posto a 15 km dal traguardo dove di solito si assiste al duello finale prima dell'ingresso nel velodromo di Roubaix.

Il meteo quest'anno è stato “clemente”: niente pioggia, quindi niente fango. Eppure è stata lo stesso una corsa massacrante, complice anche il forte vento e la polvere che hanno rappresentato, oltre alla pietre, l'ostacolo principale della giornata. Questa Parigi-Roubaix è stata caratterizzata, come del resto ogni anno, da molte cadute e diverse forature. Quest'anno a farne le spese sono stati anche uomini di punta come Kristoff – tra i favoriti per la vittoria finale – e Daniel Oss, uomo chiave per Peter Sagan.

Nella foresta di Arenberg la corsa si è accesa, è lì che abbiamo assistito al calvario di Van Aert che, per colpa di una sbandata di Peter Sagan, è andato fuori strada perdendo diversi secondi e trovandosi improvvisamente con il cambio bloccato. Costretto già a rincorrere a 100 km dall'arrivo. Ma è stato durante il passaggio sul settore in pavé numero 15, da Tiloy a Sars-et-Rosières, a meno 69 km dall'arrivo, che è avvenuto uno dei primi momenti chiavi della corsa. Da un piccolo gruppo di corridori sono emersi Selig, Politt e Gilbert. Dopo 3 km il gruppo ha ripreso Kreder che aveva staccato tutti sul settore precedente.

A questo punto Gilbert, che è un corridore abituato ad attacchi da lontano ai limite della follia, ma anche dotato di grande intelligenza tattica, ha temporeggiato per aspettare l'arrivo di un gruppo più consistente di corridori.

Pochi chilometri dopo, con l'arrivo di Sagan, cambia tutto. Si forma un gruppetto di eccellenza al comando della corsa composto, oltre che da Gilbert e Sagan, anche da Van Aert, Vanmarcke e Lampaert. Il gruppo dei sei si avvantaggia sul resto della corsa, accumulando un vantaggio consistente e definitivo. A 20 km dal traguardo, Gilbert, non contento di aver contribuito alla fuga iniziale, decide di attaccare sull'asfalto. A tenere le ruote del belga ci sono sia Pollitt che Sagan, raggiunti in seguito da Lampaert e Vanmarcke. Cede invece Van Aert.

Ma è sul Carrefour de l'Arbre che si rimescolano le carte e cambia di nuovo tutto, stavolta in modo decisivo. Gilbert è scatenato, domina le pietre dell'ultimo tratto in pavé della corsa e continua ad attaccare come se non ci fosse più un domani. Sagan prova a reagire, i due fanno a spallate come fosse un incontro di boxe. Per un attimo dimenticano entrambi di trovarsi sparati a 30km/h sopra enormi blocchi di pietre a giocarsi la corsa più importante dell'anno.

Ma stavolta è Sagan ad alzare bandiera bianca. L'ex campione del mondo è stanco, cede diversi secondi durante l'uscita dal Carrefour de l'Arbre, prova a rincorrere i due rimasti in testa – l'indomabile Gilbert e il passistone Nils Pollitt – ma niente da fare. Non è giornata.

Al traguardo Sagan dichiara: «È stata una Parigi-Roubaix molto dura con il vento contrario che l’ha resa ancora più impegnativa. La squadra ha fatto ancora una volta un ottimo lavoro, abbiamo avuto alcuni incidenti ma tutti hanno profuso uno sforzo tremendo. Abbiamo seguito la tattica alla lettera fino al Carrefour de l’Arbre, m negli ultimi 15 chilometri non ho avuto le gambe per rispondere agli attacchi e cercare di prendermi un posto sul podio».

Ma la corsa non è finita. Terminati i settori in pavé, Gilbert e Pollitt proseguono gli ultimi km in accordo e si avvantaggiano ulteriormente sugli avversari rimasti. Sono loro due a giocarsi la vittoria finale in volata sul velodromo di Roubaix. La volata, partita a 200 metri dal traguardo, non ha storia. Il pronostico stavolta è rispettato e a vincere è Gilbert.

Gilbert, insomma, ha vinto perché ha fatto praticamente tutto: ha corso sempre in testa, è stato attento alle cadute, ha massacrato e sgretolato il gruppo con tre allunghi importanti, ha contribuito a promuovere la fuga decisiva, ha distrutto Peter Sagan, e ha vinto con distacco la volata finale nel veledromo di Roubaix.

Come nel 2017, quando ha conquistato il Fiandre, Gilbert ha superato nuovamente sé stesso. All'arrivo ha dichiarato: «È la prima volta che mi capita di piangere per una vittoria. Di solito vinco per distacco e ho tempo di metabolizzare quello che sto facendo, qui invece mi è esploso tutto addosso negli ultimi 50 metri. Se ho avuto un merito, è stato quello di osare: se non rischi mettendo i tuoi avversari alle corde difficilmente puoi vincere ed è quello che molti miei colleghi non capiscono. Sono quello che in francese di definisce un “puncheur”, un attaccante».

A quasi 37 anni la carriera di Gilbert si avvia alla conclusione, ma scrivere la parole fine sulla storia di un campione di questo livello è un azzardo. Per entrare nella leggenda, e vincere tutte e 5 le classiche monumento, manca ancora una corsa: la Milano-Sanremo. Quindi parta il conto alla rovescia, gli occhi sono già puntati a marzo 2020.

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