Se in Italia tutto il dibattito sulla convivenza tra sport e il virus è tutto sbilanciato verso il calcio, sulla discussione se riprendere o meno il campionato di Serie A ed eventualmente come, tutte le altre leghe sportive stanno affrontando problemi simili con risposte diverse. Basket e rugby hanno concluso i loro campionati, mentre nella pallavolo maschile di vertice si è aperta una frattura tra la Federvolley (cioè l'organismo affiliato al CONI che si occupa della pallavolo), che ha disposto la fine della stagione 2019/20, e la Legavolley (il consorzio che riunisce i club italiani di pallavolo), che invece non aveva escluso la possibilità di chiudere l’anno con una sorta di play-off. Ma ci sono stati dissidi anche tra gli stessi club della Superlega, divisi sulla possibilità o meno di tornare in campo, così come tra le società e i giocatori, alle prese con il taglio degli stipendi. Sullo sfondo un futuro sempre più incerto, con una stagione, quella che dovrebbe partire il prossimo autunno, che si preannuncia drammatica a causa di una cospicua riduzione delle risorse economiche con cui un po’ tutte le squadre dovranno fare i conti.
Legavolley vs Federvolley
L’ultima giornata disputata in Superlega risale all’8 marzo ed è stata segnata dal successo in rimonta per 3-2 della Lube Civitanova sull’Itas Trentino grazie alla quale ha mantenuto la testa della classifica. Un turno disputato a porte chiuse, dopo che le gare della settimana precedente erano state rinviate a data da destinarsi. Dopo un mese di incertezza, in cui alcune squadre erano pure tornate ad allenarsi, la consulta di Superlega del 6 aprile ha richiesto alla Federvolley con i voti di 11 società favorevoli su 13 (Sora e Vibo Valentia si sono astenute) di sospendere il campionato, discutendo la possibilità di riaprirlo per un eventuale play-off.
Due giorni più tardi però la federazione ha emesso un comunicato in cui dichiaravano conclusi “senza assegnazione degli scudetti, delle promozioni e delle retrocessioni tutti i campionati nazionali, regionali e territoriali”. Una decisione che la Legavolley ha recepito come unilaterale e con “totale disappunto”, al punto che il 9 aprile in una lettera congiunta di Legavolley e Legavolley femminile i due presidenti, Diego Mosna per la maschile e Mauro Fabris per la femminile, hanno rassegnato le loro dimissioni. La Lega infatti non solo non ha gradito il fatto di non essere stata interpellata, ma avrebbe voluto attendere le prossime settimane per capire se c’erano i presupposti per riprendere in estate ed allinearsi eventualmente alle decisioni prese dagli altri sport di squadra. «O tutti o nessuno» dichiarava l’amministratore delegato di Legavolley Massimo Righi il 5 aprile, che oltretutto aveva stimato perdite per il movimento da 24 milioni.
Gli stessi Mosna e Fabris hanno scritto una lettera aperta al ministro per lo sport Vincenzo Spadafora in data 19 aprile, in cui sostanzialmente hanno chiesto un incontro con il governo per arrivare a degli aiuti economici. “Le società, se non metteranno in sicurezza i conti di questa stagione, si troveranno costrette a tagliare dai bilanci della prossima stagione i cospicui investimenti sui settori giovanili (...) Le scriviamo per chiedere la possibilità di poterLa incontrare (...) per esaminare insieme, quali siano le modalità migliori, pensando alla salute dei nostri atleti ed atlete, dei nostri sostenitori, per riaprire in sicurezza i nostri palazzetti, il prima possibile, perché non possono rimanere 6/7 mesi chiusi. Dopo rischieremo la desertificazione del movimento”.
L’ultima partita giocata della stagione regolare.
Club vs club
Alcuni club però non si sono dati per vinti e, nonostante la serrata imposta dalla Federvolley, sperano ancora che si torni a giocare. Sono soprattutto le big, Civitanova, Perugia e Trento in testa, a voler riprendere, insistendo sul tema, ormai noto in questi giorni, della ripartenza come segnale di positività e reazione al covid-19, anche per contenere il danno economico. «Io l’ho visto come un ritiro» ha spiegato il presidente della Lube Fabio Giulianelli «non siamo stati in grado di trovare una soluzione e ci siamo fermati. E chi si ritira perde sempre. C’era bisogno di ripartire per dare una speranza». Mosna, che oltre a essere il presidente dimissionario di Lega è il numero uno di Trento, ha lanciato l’idea di disputare i play-off all’arena di Verona.
Dello stesso avviso il vulcanico patron di Perugia Gino Sirci. «Non è possibile che ci dobbiamo rimettere a guardare le partite degli anni precedenti, magari possiamo giocare a porte chiuse al Foro Italico tutte le sere. Capisco che alcuni presidenti e la federazione si siano lasciati impressionare, anche io mi sono spaventato. Ma la vita deve andare avanti, dobbiamo fronteggiare questa situazione con le dovute precauzioni». Uno stop definitivo secondo Sirci farebbe «male alla pallavolo, gli sponsor non pagano più e pensano che questo sport sia morto». Ipotesi suggestive ma allo stato attuale difficilmente praticabili in quanto, al di là di un improbabile ripensamento della Federvolley, bisognerebbe che i club richiamassero in Italia i tanti stranieri che sono tornati in patria (alcuni dei quali oltretutto hanno già comunicato ufficialmente che la prossima stagione cambieranno squadra).
L’intervento di Sirci nel corso della rubrica quotidiana con l’ex opposto della nazionale Andrea Zorzi e il giornalista Gian Luca Pasini.
Tra le big l’unica contraria alla ripresa è Modena, la cui presidente Catia Pedrini era stata la prima a invocare l’interruzione del campionato già a inizio marzo. La sua posizione è molto chiara: «Il campionato dovrebbe riprendere solo quando si riapriranno i palazzetti». Anche perché da un’eventuale ripresa a porte chiuse nel 2020/21 risulterebbe la squadra più danneggiata economicamente, considerato che Modena è quella con il maggior bacino d’utenza: «Giocare a porte chiuse per noi rappresenta un danno da 50.000 euro a partita» ha spiegato. Secondo le sue stime i mancati introiti di una eventuale finale di play-off senza pubblico potrebbero essere tra i 500.000 euro e il milione. Pure lo stesso presidente di Padova Fabio Cremonese ha ammesso che «a porte chiuse e senza la certezza di sicurezze sanitarie per gli atleti e lo staff, non penso ci siano le condizioni per giocare» mentre la numero uno di Piacenza Elisabetta Curti è stata ancora più dura: «Come si può pensare di tornare in campo a Piacenza con centinaia e centinaia di morti e ancora tantissime persone ricoverate? Il nostro territorio è nel pieno dell’emergenza, a breve non era credibile una ripresa. Però mi è sembrato che altre realtà non capissero cosa stesse realmente succedendo; noi siamo al centro dello tsunami, non potevamo decidere diversamente».
Il direttore sportivo della Lube Beppe Cormio dal canto suo ha alzato ulteriormente il livello delle polemiche, accusando le piccole di badare solo al proprio tornaconto. «Chi era praticamente retrocesso e aveva difficoltà economiche voleva chiudere. Se Modena ci avesse supportato come Monza, Perugia e Trento avremmo potuto tenere aperta questa finestra per fare una grande manifestazione finalizzata a vincere qualcosa».
Società vs atleti
In una situazione di emergenza è difficile intervenire in un dibattito del genere in maniera davvero disinteressata, con il solo obiettivo di salvaguardare gli interessi di questo sport o degli atleti. Le dichiarazioni di Cormio sono interessanti perché si legano al tema del taglio degli stipendi ai tesserati relativi alla stagione 2019/20, un altro punto cruciale, come abbiamo visto anche negli altri sport di squadra. Durante l’assemblea tra le 13 società della Legavolley era stata istituita una commissione per trattare collettivamente la riduzione dei compensi. Da una parte l’AD Righi e due legali in rappresentanza delle 13 società, dall’altra i giocatori capitanati da alcuni procuratori e i palleggiatori Dragan Travica e Daniele Sottile. I club hanno proposto un taglio del 30%, gli atleti si sono fermati al 20% più un 5% spalmato nel tempo. La trattativa si è interrotta venerdì 24 aprile, malgrado le parti sembrassero vicine a una riduzione attorno al 25% e a questo punto saranno le singole società a trattare direttamente coi loro tesserati. La stessa Legavolley però, in un comunicato diffuso lunedì, ha indicato alle società alcune linee guida da seguire, che non prevedono decurtazioni per gli stipendi netti fino ai 20.000 euro e un taglio del 30% per tutti gli altri.
È possibile inoltre che le squadre andranno a ridiscutere pure i contratti stipulati per la prossima stagione, comprese le trattative che sono state definite poche settimane prima dello scoppio della pandemia. Ed è il motivo per cui alcuni big, come Zaytsev e Anderson a Modena, nonostante abbiano il contratto per il 2020/21 potrebbero valutare le proposte dalla Cina e Russia, paesi con più risorse economiche e che forse potrebbero assorbire meglio gli effetti del coronavirus, pur avendo pochi slot a disposizione per gli stranieri (va ricordato che in vari paesi, Italia compresa, non si possono avere più di un certo numero di atleti in rosa o in campo).
Questa crisi ha fatto riemergere anche il tema del professionismo, che in un momento del genere avrebbe potuto garantire agli atleti quelle tutele previdenziali di cui però uno sport dilettantistico come il volley italiano non gode. Una questione che ciclicamente ritorna, anche se non sono mai stati compiuti passi concreti per renderlo una disciplina professionistica, come ad esempio in Francia, dove il governo versa l’84% dei salari netti ai giocatori. «Probabilmente abbiamo passato il momento più favorevole per fare questo salto» ha dichiarato Righi «cioè gli ultimi 2-3 anni in cui le risorse erano notevoli e una parte di queste potevano essere trasferite in fondi previdenziali e assistenza pensionistica. Adesso è molto complicato perché ci saranno meno risorse».
Il futuro della Superlega
Mentre la Cev ha annunciato l’annullamento delle tre coppe europee 2020 (Champions League, Cev Cup e Challenge Cup), ma ciò nonostante ha assegnato l’80% del montepremi alle squadre, da aggiungere a un piano da 11,5 milioni di investimenti e sgravi a beneficio delle parti della confederazione europea, è lecito interrogarsi sul futuro della Superlega. Innanzitutto a livello organizzativo: la stagione 2020/21 dovrà terminare entro il 15 aprile 2021, considerato che il week end successivo si giocano le finali di Champions League e i primi di maggio inizia la stagione delle nazionali con la Volley Nations League. In più la Federvolley non ha chiarito se verrà confermato il format a 13 squadre: teoricamente al termine del campionato 2019/20 sarebbero dovute retrocedere le ultime 2 squadre della regular season, ad oggi Sora e Vibo Valentia, e dall’A2 ne sarebbe salita una. Ma con la chiusura anticipata le classifiche sono state congelate ed è stata ipotizzata la discesa nella seconda serie solo dell’ultima, Sora, in modo da comporre un torneo a 12 squadre con relativo blocco delle retrocessioni in A2 esteso anche al prossimo anno.
È probabile però che lega e federazione stiano temporeggiando per capire quante società saranno in grado di iscriversi al prossimo campionato: ancora non ci sono notizie di club in difficoltà, ma di certo si preannuncia un 2020/21 molto complicato. Le entrate principali delle squadre derivano, al di là delle risorse stanziate dalle rispettive proprietà, dagli accordi con partner commerciali e dal ticketing. Come detto, il club che negli ultimi anni ha fatto registrare gli incassi migliori è Modena, 729.753 euro nella regular season 2018/19 con una media di 4822 spettatori (e 324.321 al termine del girone d’andata), seguita da Perugia (514.213 euro nella stagione regolare 2018/19), Civitanova (472.680), Trento (392.026) e Verona (379.265).
Se consideriamo che allestire una formazione di vertice indicativamente può costare anche 6-7 milioni - Pedrini nel 2019 ha dichiarato di aver speso poco più di 4,5 milioni di euro per una squadra che è arrivata fino a 5 gara 5 delle semifinali play-off - significa che queste squadre dovranno pianificare la prossima annata senza questo tipo di entrate (è difficile pensare, almeno per un po’ di mesi, ai palazzetti gremiti o comunque alle porte aperte), da sommare ai mancati rinnovi delle sponsorizzazioni con tutte quelle aziende che comprensibilmente verseranno in una situazione di analoga difficoltà. La presidentessa di Piacenza ha raccontato che gli sponsor costituiscono il 35% del bilancio, mentre il restante il 65% arriva dal Gruppo Gas Sales, che detiene il club, e dagli incassi. «Vediamo che tante attività continuano a esserci vicine, anche se in questo momento non ci sembra corretto sollecitare le aziende che ci avevano garantito un contributo».
Per una rosa di medio livello si può spendere sui 2/2,5 milioni, mentre le realtà più piccole investono intorno al milione: ad esempio due anni fa Marco Bonitta, DG di Ravenna, una delle piazze più virtuose nello scouting nonostante un budget ogni anno sempre più ridotto parlava di spese poco oltre il milione tra monte ingaggi e spese di gestione. Per fare un raffronto, lo schiacciatore di Perugia Wilfredo Leon, attualmente il giocatore più pagato in Italia, guadagna 900.000 all’anno e i laterali di Modena Anderson e Zaytsev superano il mezzo milione, anche se un giocatore medio non arriva a 150.000 euro.
Non sono noti gli introiti dei club dal merchandising e dai diritti televisivi (le partite di campionato e Coppa Italia sono coperte dalla piattaforma streaming elevensports.it ad eccezione di una/due partite a giornata trasmesse in esclusiva dalla Rai), sicuramente parliamo di cifre risibili che quindi hanno un’incidenza relativa nei bilanci. Si prospetta dunque una stagione molto dura, in cui la Superlega dovrà ripensarsi se vuole rimanere il campionato più competitivo al mondo. Il presidente di Civitanova ha parlato addirittura di anno zero e di ridimensionamento, in cui «le prime 5-6 squadre devono fare un passo indietro. Dobbiamo seminare, non rimanere esclusivi» sia come presenza sul territorio, ad esempio aprendo la Coppa Italia anche ai club di A2 e A3, ma anche in termini di travaso dalle giovanili alla prima squadra. «Serve una responsabilità sociale per capire il momento».