
La Palestina è sotto 2 a 0. Quando è ormai il settantottesimo, lo Yemen sembra avviarsi verso una vittoria tranquilla nel girone del West Asian Football Federation Championship 2010, torneo che riunisce nazionali dell’area che con un linguaggio eurocentrico chiamiamo Medio Oriente. Dalla destra parte un cross senza grandi pretese. All’altezza del secondo palo Suleiman Al-Obeid, con il numero 9, ha spazio per controllare il pallone ma sceglie d’istinto di avvitarsi in una semirovesciata con cui lo spedisce in rete dal lato opposto. Sugli spalti dello stadio Re Abdullah II di Amman, i tifosi con le kefiah e le bandiere con il triangolo rosso ritrovano la speranza.
L'autore di questo bellissimo gol è stato ucciso mercoledì 6 agosto.
Era in fila per gli aiuti umanitari in uno dei centri gestiti dall’esercito israeliano e dalla Gaza Humanitarian Foundation a Rafah. Aveva 41 anni, una moglie e cinque figli, ed era una leggenda del calcio palestinese. Molte testate hanno parlato di lui come il ‘Pelé palestinese’, ma in patria era conosciuto anche come ‘la Gazzella’, per il fisico longilineo e la corsa, ‘la Perla Nera’, per la carnagione e la classe delle giocate, o anche l’’Henry palestinese’. Al francese lo accomunavano l’eleganza e il ruolo. Anche Al-Obeid era una seconda punta, di quelle capaci da sole di far appassionare al gioco, di emozionare con un pallonetto o un calcio di punizione.
Era nato a Gaza City ed era cresciuto nel Khadamat Al-Shatea, squadra del campo profughi di Al-Shati, che dopo la Nakba del 1948 accolse rifugiati dalle regioni di Jaffa, Lod e Beersheba. Qui è nato anche Mosab Abu Toha, poeta e premio Pulitzer nel 2025, che ha ricordato il calciatore su X.
Al-Obeid esordisce in prima squadra nel 2007, in uno dei periodi più critici per la Striscia di Gaza. Il presidente Abu Mazen e molti Paesi occidentali e arabi non riconoscono la vittoria di Hamas alle elezioni legislative dell’Autorità Nazionale Palestinese del 2006 e a Gaza, dove è più forte il movimento islamista, scoppia un conflitto fratricida. Da quel momento i Territori Occupati Palestinesi vivono due esistenze separate.
Da sempre, però, la Federcalcio palestinese organizza due campionati diversi. Le squadre di Gaza e della Cisgiordania si sono affrontate solo dal 2015 al 2019 in occasione della finalissima della Coppa di Palestina. Sempre nel 2007 Al-Obeid esordisce in nazionale, con cui collezionerà 24 presenze. Giocherà anche le qualificazioni ai mondiali del 2014, quando, però, la situazione internazionale impone alla Palestina di non giocare in corrispondenza degli slot FIFA e ad affidarsi a soli giocatori dei due campionati locali.
Nel 2009 Obeid passa nella West Bank Premier Legue, dove gioca per quattro anni con lo Shabab di Al-Am'ari prima di rientrare nella Striscia, martoriata dall’operazione militare israeliana “Margine di Protezione”. Indossa ancora una volta la maglia del Khadamat. Con questa, e per una breve parentesi con quella del Gaza Al-Riyadi, vince per tre anni consecutivi la classifica marcatori. Da allora è sempre rimasto nella squadra in cui è cresciuto, nonostante la retrocessione del 2022 e l’avvicinarsi dei quarant’anni. «Onestamente, non penso al ritiro», aveva detto al sito arabo Kooora nel settembre 2023.
Al-Obeid è il terzo calciatore con presenze in Nazionale ucciso dall’esercito israeliano: Mouyin Al-Maghribi, nella squadra che vinse la medaglia di bronzo ai Giochi Panarabi del 1999, e Mohammed Barakat, conosciuto come “la leggenda di Khan Younis”, sono stati assassinati rispettivamente nel gennaio e nel marzo 2024. Sono solo 3 nomi dei 321 fra giocatori, allenatori, dirigenti e arbitri che, secondo i dati della Palestine Football Association, sono morti dall’inizio del genocidio.
Non solo nell’enclave sul mar Mediterraneo si piangono calciatori “martirizzati”. Come comunicato dalla Federcalcio palestinese, anche l’attivista e insegnate Awdah Kathaleen, ucciso dal colono israeliano Yinon Levy il 28 luglio nell’area di Masafer Yatta, a sud di Hebron, era anche un calciatore. Kathaleen, 31 anni e padre di tre figli, aveva partecipato al documentario premio Oscar No Other Land. Il suo corpo è stato riconsegnato dalla polizia israeliana ai familiari il 6 agosto, dopo più di una settimana.
Arrivati a oggi il conteggio del Comitato Olimpico palestinese arriva a 662 atleti membri di organizzazioni sportive, giovanili e di scoutismo uccisi. Ultimo, insieme a Suleiman Al-Obeid, è il lottatore Alaa Al-Madhoun.
Oltre alle vite degli atleti e delle atlete, sono state distrutte anche il 90% delle infrastrutture sportive della Striscia. Come riportato dall’agenzia di stampa turca Anadolu Ajansi, 268 sono legate al calcio fra palestre, stadi e sedi di club. Alla distruzione materiale si aggiunge la violazione morale perpetrata dall’IDF nello stadio Al-Yarmouk di Gaza City, trasformato in un campo di prigionia nel dicembre 2023.
Nonostante tutto, la Nazionale maschile ha emozionato con la sua corsa per la qualificazione ai Mondiali FIFA del 2026, interrotta per un gol al 97’ dell’Oman. Il prossimo 14 ottobre, invece, la Nazionale israeliana sarà ospite dell’Italia a Udine per le qualificazioni europee.
L’ex CT della nazionale maschile di pallavolo Mauro Berruto, oggi responsabile sport del Partito Democratico, l’ha definita «la partita che non si dovrebbe giocare» e ha evidenziato la doppia morale delle organizzazioni internazionali nei confronti di Israele rispetto al caso della Russia, sanzionata dal Comitato Internazionale Olimpico e dall principali confederazioni mondiali.
Una tesi respinta nettamente dal ministro dello sport Andrea Abodi, per cui «Israele è stato aggredito, la Russia è un Paese aggressore. Se non ci fosse stato il 7 ottobre e se Hamas non si nascondesse dietro la popolazione civile non saremmo in questa condizione».
Ma Suleiman Al-Obeid era solo in fila per il pane. Se difronte a quasi 60 mila morti Stati e istituzioni globali si limitano a vani appelli alla pace o alla moderazione, viene da chiedersi perché lo sporticidio palestinese dovrebbe portare le organizzazioni internazionali a imporre sanzioni o squalifiche.
È difficile, guardando le immagini aeree più recenti delle lande sterminate di macerie, soffermarsi su un singolo aspetto della vita quotidiana fra quelli spazzati via. Concentrare lo sguardo, però, può essere un modo per recuperare la lucidità, spezzare l’ipnosi dei numeri in continuo aumento e ricordarsi che dietro quelle cifre ci sono vite, affetti e storie. Come quelle di Ibrahim Qusai’a, Hassan Abu Zaiter, Ahmad Al-Mufti e del coach Wissam Jadallah. Quattro componenti della nazionale maschile di pallavolo che ha partecipato ai campionati arabi del 2016 uccisi lo scorso 19 giugno.
O della giovanissima karateka Yasmine Sharaf, 6 anni, fra le prime atlete a morire sotto i raid israeliani, che non potrà coronare il sogno di rappresentare il suo Paese.