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Nicola Palmiotto
Padroni di New York
11 mag 2015
11 mag 2015
Yankees e Mets: per una volta il comando di New York non è una cosa scontata.
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Nicola Palmiotto
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Chissà cosa sarà passato nelle menti dei tifosi dei New York Mets che venerdì 24 aprile hanno attraversato in macchina le 6 miglia e mezza di strada che separano il Queens dallo Yankee Stadium, nel cuore del Bronx. I Mets, reduci da 11 vittorie consecutive, si apprestavano a centrare la più lunga striscia vincente di sempre. Di fronte, come d’obbligo nei giorni destinati a essere consegnati all’album dei ricordi, gli Yankees. In realtà la posta in gioco era leggermente più alta: dimostrare chi comanda a New York.

 



Tifare Mets a New York deve essere molto simile a come Nanni Moretti immaginava un pasticciere trotzkista nell’Italia degli anni ’50: isolato e calunniato da una maggioranza schierata a favore di Stalin. C’è qualcosa di masochista nel parteggiare per una squadra destinata a vivere perennemente all’ombra degli Yankees, la ragazza che tutti vorrebbero accompagnare al ballo.

 

Esiste anche una linea di continuità tra baseball e football, che genera due aree di riferimento diverse per storia e spessore e sottolinea la contrapposizione filosofica che esiste a New York. I tifosi degli Yankees simpatizzano anche per Giants e Rangers, tenendo così alle squadre più antiche della città, fondate rispettivamente nel 1901, 1925 e 1926, club vincenti e carichi di anelli come nemmeno la Madonna delle Grazie. I Giants hanno, per dire, vinto 4 volte il Super Bowl (di cui gli ultimi due nel 2007 e 2011). I tifosi dei Mets sottolineano la propria filosofia da underdog nella simpatia per Jets e Islanders, squadre fondate nella seconda metà del ’900 e protagoniste di modesti risultati sportivi.

 



 

Giants e Yankees hanno giocato fino al ’74 nel vecchio Yankee Stadium, quello all’incrocio tra la 161st St. e River Avenue. La passione per gli Islanders invece potrebbe essere dovuta alla vicinanza geografica tra i quartieri di provenienza: Brooklyn per gli Islanders, Queens per i Mets.

 



 

Le questioni geografiche nel confronto Yankees-Mets reggono però fino a un certo punto. Aggregando i dati forniti da Facebook sulle preferenze dei tifosi divisi per codice postale di appartenenza, al

hanno scoperto che in città il dominio degli Yankees è assoluto. I tifosi pinstripe, (il nomignolo nasce dalle righe blu della famosa casacca indossata degli Yankees) sono in maggioranza perfino nei dintorni del Citi Field, lo stadio dei Mets nel Queens, quartiere da cui proviene la stragrande maggioranza dei tifosi arancio-blu. La differenza diventa schiacciante nel Bronx, dove i tifosi degli Yankees raggiungono punte del 70%.

 



Questo fenomeno è in parte spiegato dalle bacheche delle due squadre. In quella dei Mets si trovano soltanto due titoli (contro i 27 dei rivali), le stagioni vincenti non arrivano alla mezza dozzina e ultimamente vivono un declino che va avanti da un decennio. L’ultima apparizione ai playoff risale al 2006, mentre la striscia di stagioni perdenti è arrivata a sei consecutive.

 

Eppure quest’anno il vento sembra girato dalla loro parte. Un inizio travolgente li ha subito proiettati in testa alla National League East. Semplicemente strepitosa è stata la striscia di 11 vittorie consecutive conquistate a cavallo tra la seconda e la terza settimana di campionato, con la quale hanno spazzato via nell’ordine: Philadelphia, Florida e Atlanta. I detonatori dell’esplosione primaverile del club del Queens sono il talentuoso lanciatore Matt Harvey, 5-0 con 2.41 di Era (punti guadagnati sul lanciatore) al rientro dopo la temutissima Tommy John surgery (l’operazione che ricostruisce i legamenti del gomito), una difesa superlativa in cui brilla l’esterno centro Juan Lagares (golden glove nel 2014) e un reparto offensivo migliorato dall’arrivo dell’esterno Michael Cuddyer, che il manager Terry Collins ha voluto numero 4 nell’ordine di battuta in mezzo a due potenti slugger come Lucas Duda e David Wright.

 

La vittoria 6-3 al Citi Field contro Atlanta di giovedì 23 aprile, che uguagliava il record della franchigia, non solo ha spalancato le porte della storia, ma anche l’inconfessabile idea che l’ordine delle cose in città poteva essere finalmente sovvertito.

 



A evitare che la linea dello spazio-tempo si interrompesse ci ha pensato Mark Teixeira, che ha spedito fuori campo due palline lanciategli contro da Jacob deGrom tra il primo e il terzo inning di gara uno, regalando così agli Yankees una vittoria per 6-1, il cui primo effetto è stato quello di stroncare la striscia vincente dei Mets. I 1300 fedelissimi tifosi dei “The Seven Line Army”, la frangia più calda del tifo del Queens, che fiduciosi avevano preso parte alla “Bronx Invasion”, colorando di arancione una gradinata dello Yankee Stadium, se ne sono tornati a casa con la convinzione di aver perso una battaglia ma che la guerra è ancora lunga. Del resto le caratteristiche che gli stessi tifosi dei Mets riconoscono come comuni a tutti i fan sono la determinazione e la perseveranza nell’amare una squadra fondamentalmente deludente, a cui si unisce la frustrazione di doversi confrontare, dall’altra parte dell’East River, con la squadra conosciuta e amata praticamente da tutto il mondo.

 

Le sottigliezze psicologiche dei tifosi orange-blu non sembrano però interessare molto a quelli degli Yankees, che piuttosto che raccogliere il guanto di sfida, hanno preferito snobbare l’evento, lasciando vuoti diversi posti nello Yankee Stadium. Se i Mets sono giovani, forti e pronti a spaccare il mondo, gli Yankees appaiono invece come una squadra in piena ricostruzione che sta ancora metabolizzando gli addii di Mariano Rivera e Derek Jeter. Una squadra che resta temibile, come dimostra il primo posto nella division, ma che ha un roster piuttosto avanti con gli anni, con le maggiori stelle destinate al viale del tramonto e più soggette agli infortuni. L’appunto che gli incontentabili tifosi degli Yankees fanno al proprio club è quello di non aver saputo rinnovare la pattuglia di campionissimi che hanno permesso il dominio dei Bronx Bombers a cavallo del millennio. Al posto dei vari Jeter, Pettitte, Posada, Williams sono stati aggiunti sostanzialmente ottimi free agent, capaci di dimostrare ancora la propria classe, ma mai un prospetto come Bryce Harper o Mike Trout, capace di monopolizzare la scena delle Major per lungo tempo a venire e su cui fondare la ricostruzione della squadra.

 

È quindi in questo clima di disinteresse e senso di decadenza che i tifosi degli Yankees hanno guardato le Subway Series. L’origine del termine si deve al fatto che, già dagli anni ’20 del secolo scorso, gli stadi delle varie squadre di baseball della città (compresi i Ney York Giants e i Brooklyn Dodgers, trasferitisi in California a metà degli anni ‘50) erano potenzialmente raggiungibili con la metropolitana. Sebbene Subways Series inizialmente indicasse solo le gare di World Series, poiché era l’unica occasione in cui le squadre provenienti da due leghe diverse potevano affrontarsi, nel tempo è passato a definire anche le partite di interleague, introdotte nel 1997 anche per questo scopo.

 

Gara due è stata la lampante dimostrazione della diversità di condizione delle due squadre. Matt Harvey dei Mets ha tenuto in scacco i battitori avversari per quasi nove inning concedendo 2 punti e 5 valide, mentre il malandato CC Sabathia, sempre più lontano dai fasti di un tempo e ancora a secco di vittorie quest’anno, è stato perforato 7 volte con ben 3 home-run.

 

https://www.youtube.com/watch?v=yWYWIi9VtZM

La grande partita di Harvey.



 

Morale della favola: i Mets hanno pareggiato i conti con un 8-2 che ha cancellato in parte lo schiaffone di gara uno. La resa dei conti però ancora una volta ha sorriso agli Yankees, che hanno chiuso momentaneamente i conti, in attesa della serie di ritorno prevista a settembre, con il 6-4 di gara tre. A decidere le sorti dell’incontro, su cui hanno pesato 4 errori difensivi dei Mets che sono costati 2 punti, è stata la zampata di Alex Rodriguez, che al quinto inning ha mandato fuori campo la 659.esima pallina della sua carriera, portandosi a una sola lunghezza dal record di Willie Mays, quarto battitore di tutti i tempi.

 

https://www.youtube.com/watch?v=EIiBCxOhrYs

Se avete tempo procedete anche al video successivo: “Alex Rodriguez Greatest Home-Runs”.



 



Dopo la maxi squalifica di 211 gare, ridotta a 162, che gli ha impedito di scendere in campo per tutto il 2014, il potente terza base è finalmente ritornato a girare la mazza come solo lui sa fare. Riconosciuto colpevole di consumo di sostanze dopanti e coinvolto nello scandalo Biogenesis, la clinica della Florida specializzata in trattamenti a base di ormone, la MLB ha usato nei suoi confronti la mano pesantissima, affibbiandogli la più lunga squalifica per un giocatore ancora in attività.

 

Rodriguez, destabilizzato anche dai difficili rapporti con il club, che ha provato a ridiscutere il contratto multi-milionario sottoscritto nel 2007, non si è perso d’animo e si è presentato tirato a lucido per lo spring training camp del 2015. Il coach Girardi lo ha subito buttato nella mischia e Rodriguez ha iniziato a colpire pesantemente le palline che gli capitavano a tiro. Finora ha collezionato 6 home-run e 15 punti battuti a casa, che significano una media Ops (on base + slugging, l’equazione sabermetrica che calcola la reale capacità di un giocatore di incidere sull’attacco, sommando le volte in cui ha raggiunto una base e la potenza delle sue battute) che attualmente sfiora il .900.

 

Il fuori campo più importante l’ha colpito il primo maggio, scegliendosi un palcoscenico non casuale come il Fenway Park di Boston, spedendo sul Green Monster l’home-run numero 660 in carriera, ovvero quello che gli ha permesso di raggiungere il quarto posto nella classifica dei migliori battitori di sempre. Se i tifosi degli Yankees hanno riaccolto il figliol prodigo, che prima dell’inizio della stagione ha scritto di proprio pugno una lettera di scuse ai tifosi, tributandogli larghissime attestazioni di affetto, lo stesso non si può dire che succeda negli altri stadi d’America. Al momento del suo arrivo in battuta piovono fischi e boati di disapprovazione, segno inequivocabile della percezione collettiva nei suoi confronti. Per molti infatti A-Rod è ormai diventato l’America’s Bad Guy, colpevole non solo di una naturale antipatia, ma anche di un comportamento ondivago assunto durante lo scandalo che lo ha coinvolto. E poi guadagna una montagna dei soldi.

 

Rodriguez, ormai quasi 40enne e ultimo della stirpe dei battitori “addizionati” (dopati) degli anni ’90 come Barry Bonds, Mark McGwire o Sammy Sosa, però non sembra curarsene affatto, dimostrando nervi d’acciaio anche nei confronti del proprio club, a cui nonostante tutto la squalifica per doping non è ancora andata giù. Dall’inizio della stagione gli Yankees hanno fatto sapere che non intendono pagargli il bonus di 6 milioni di dollari pattuito per il raggiungimento del milestone di Willie Mays, appigliandosi al cavillo secondo il quale molti di quei fuoricampo sono stati ottenuti grazie all’ausilio di sostanze illegali.

 

Del resto non c’è stata molta enfasi nemmeno nei festeggiamenti, un segno tangibile della volontà di tutti, perfino di un club come gli Yankees, che non si è mai fatto troppi scrupoli pur di vincere, di mettersi definitivamente alle spalle la steroid-era.

 
 

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