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(di)
Cosimo Rubino
Ovunque giocherai ti seguirò
31 mag 2023
31 mag 2023
Racconto delle nutrite carovane di tifosi giallorossi in giro per l'Europa.
(di)
Cosimo Rubino
(foto)
IMAGO / Jan Huebner
(foto) IMAGO / Jan Huebner
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«Conosco qualcuno che è lì, Antonio, che lavora a Trigoria. Antonio per arrivare qua ha fatto una cosa incredibile: è andato in treno a Bologna, poi ha preso l'aereo per Colonia, domani prende l'aereo per Amsterdam. Una cosa incredibile. Penso ad Antonio e penso che ci sono tanti Antonio lì che hanno fatto questo sacrificio per venire qua e stare con la squadra, penso a loro. È parte del mio lavoro come allenatore pensare a questa gente. Ho sentito emozione per loro». Con queste parole José Mourinho ha commentato la sua commossa e commovente camminata a pugni stretti verso il settore ospiti della Bay Arena dopo il fischio finale della semifinale di Europa League. Quando mia madre ha sentito parlare Mourinho in questi termini ha pensato fosse assurdo che l’allenatore della Roma stesse descrivendo in modo quasi perfetto l’incomprensibile viaggio che ho fatto per raggiungere Leverkusen. Quello che le era sfuggito è che non sono che uno fra i migliaia di Antonio che con una perizia logistica da genio militare hanno organizzato viaggi semplicemente ridicoli pur di seguire la Roma nella sua seconda eccezionale campagna europea. Prendendo alla lettera la celebre (e forse un po’ stantia) frase per cui viaggiare non è mai una questione di soldi, ma di coraggio, le strategie sono essenzialmente due. La prima consiste nel prenotare con largo anticipo, ovvero prima ancora di essere certi della qualificazione, un volo più o meno comodo a prezzi vantaggiosi. È una strategia che punta a battere sul tempo gli algoritmi delle compagnie aeree, ma è anche un palese esercizio di hybris, senza contare il rischio di aggiungere un investimento economico nello stesso verso di quello emotivo. Pur consapevole di questi pericoli, appartiene a questa scuola di pensiero il mio amico Michele, 23 anni, studente di scienze politiche all’Università di Torino. Attraverso un sistema di specchi scaramantici, Michele ha prenotato un volo per Budapest quando la Roma era ancora ai quarti di finale, ripetendo la fortunata formula che lo aveva portato a Tirana con un volo comprato alla vigilia dei quarti di Conference contro il Bodø. Un altro dei rischi a cui si va incontro seguendo questa strategia è quello di non trovare il biglietto della partita, ed in efffeti è proprio quello che è successo a Michele lo scorso anno. Quest’anno però è riuscito a trovare il biglietto per la partita e la sua strategia si è dunque rivelata vincente su tutta la linea. Un altro brillante esempio di questa tecnica è il signore, a occhio e croce sulla sessantina, che sul treno da Leverkusen a Colonia ha schernito i poveri cristi che già aggiornavano compulsivamente le pagine delle compagnie aeree in vista della finale: “Io er bijetto pe’ Budapest l’ho fatto a marzo, quello pe’ Tirana l’avevo fatto a Natale”. La seconda e più caratteristica strategia, nonché quella celebrata da Mou, consiste invece nell’aspettare la certezza della qualificazione per poi raggiungere la città della partita attraverso rotte a dir poco creative. Una premessa doverosa: ingegnarsi con scali aerei improbabili per mettere in scacco le compagnie aeree che alzano i prezzi delle tratte interessate dalle partite è una pratica sicuramente non esclusiva dei tifosi romanisti e che, fra questi, non nasce certo negli ultimi dodici mesi. Lo scorso anno, peraltro, i tifosi giallorossi avevano già popolato settori esotici come quelli di Trebisonda, Lugansk, Sofia, Bodø (due volte), Vitesse e Leicester. Ma quello che rende rilevante questo fenomeno tanto per le scienze quanto per la poesia è la sua portata: è stato a partire da Tirana che, nonostante la capienza piuttosto ridotta dell’Arena Kombëtare abbia impedito un vero e proprio esodo, al nucleo duro di tifosi onnipresenti si è aggiunta una nutrita, rumorosa e soprattutto ingegnosa schiera di fantaccini pronti a girare per l’Europa pur di esserci.

Foto dell'autore.

Nella sociologia del romanismo c’è la vecchia guardia, perlopiù composta dai gruppi della Curva Sud, che segue la squadra letteralmente ovunque, dal Mar Nero al Circolo Polare Artico; c’è poi la marea giallorossa dell’Olimpico, il popolo meticcio dei sold out, che ha trovato una simbiosi inedita con la squadra di Mourinho e ha soffiato un vento decisivo sulle due clamorose cavalcate europee della Roma. Ma nelle partite più decisive tra quelle giocate lontano da Roma, a partire da Tirana e arrivando a Budapest passando per Leverkusen, al centro tra questi organismi ne è sorto un altro, un terzo stato di Sky Scanner che funge da avanguardia scapigliata del popolo dell’Olimpico ma al contempo si muove nell’orbita del nucleo ultras, arrivando spesso a farne parte a pieno titolo. La finale di Europa League, che porterà oltre 20mila romanisti a raggiungere la capitale ungherese tracciando rotte incredibili, sarà l’apoteosi di questo fenomeno.

***

Ho guardato il video delle parole di Mourinho insieme ad Alessio, all’aeroporto di Colonia, nell’attesa del pullman delle 3.05 per Bruxelles. Alessio è stato il mio personale Antonio, cioè il mio compagno nella trasferta della semifinale, Bruxelles soltanto una delle molte tappe del nostro viaggio. Ha 28 anni, lavora in una società di consulenza e lo ha fatto con i suoi due telefoni (ma senza il pc, al cui caricabatterie mancava un adattatore per le prese tedesche) anche durante il nostro viaggio, in una versione molto peculiare dello smart working facilitata dal fatto che il suo capo ha un abbonamento in Tevere. Non è del tutto esatto, quindi, che «a Roma c'è tanta gente che non lavora perché sono sempre tanti fuori casa», come ha detto scherzando lo stesso Mourinho l'anno scorso.Come in tutta la letteratura di viaggio che si rispetti, nel nostro itinerario si sono alternate tappe con insidie manifeste a tappe con ostacoli latenti. Anche noi, come l’Antonio idealtipico, abbiamo iniziato con un treno per Bologna nel mezzo della peggiore alluvione nella storia recente dell’Emilia-Romagna. A Pisa, l’ultimo dei nostri scali prima del rientro a Roma, abbiamo trovato le porte della stazione centrale chiuse e solo a pochi minuti dalla partenza dell’Intercity notte delle 2.21 siamo riusciti a raggiungere il nostro binario, dopo aver circumnavigato la stazione insieme a un manipolo di viaggiatori increduli. A Bologna, a Colonia, a Bruxelles, a Pisa: in ognuna di queste tappe abbiamo incontrato degli altri Antonio che come noi, insieme a noi, affrontavano questo viaggio in giro per l’Europa e ai confini della plausibilità. Descrivere un profilo esemplare dell’Antonio non è semplice e mai vorrei che l’operazione di sintesi escluda da questa celebrazione anche un solo Antonio – ma possiamo provare a delinearne dei tratti paradigmatici attraverso una breve rassegna dei miei personaggi preferiti fra i molti incrociati sulla via per e da Leverkusen.

Foto dell'autore.

Innanzitutto, possiamo dire che l’Antonio è in media giovane, a volte molto giovane, altre volte incredibilmente giovane. Mi trovo in quella fase della vita in cui inizia ad affacciarsi la circostanza di conoscere esseri umani più piccoli di un numero rilevante di anni, eppure adulti del tutto formati. Il primo giorno a Colonia, che io e Alessio abbiamo passato con Gabbo e Mattia (teneteli a mente, ne riparliamo fra un attimo), di 21 e 19 anni, era già stato un buon esempio di questa strana sensazione, nonché di un certo, bonario, senso di responsabilità da fratelli maggiori. Ma alla stazione di Colonia, mentre cercavamo di decifrare l’enigmatico tabellone delle partenze in tedesco, ci siamo imbattuti in una persona troppo piccola per essere definita ragazzo e che infatti si è subito guadagnata l’appellativo de “il bambino”. Il bambino, sulla cui presenza in uno stato estero pendono ancora in me alcuni dubbi in termini di legalità, ha viaggiato completamente da solo da Frascati, indossa la giacca North Face nera d’ordinanza per il tifoso casual, e fa di tutto per conservare la sua assurda indipendenza. L’ho visto per l’ultima volta nella fan zone di Leverkusen, a un chilometro e mezzo circa dalla Bay Arena, e se gli fosse successo qualcosa mi sarei sentito irrimediabilmente colpevole – ma non gli è successo niente, se non una delle notti più indimenticabili della sua tenera vita. Altra caratteristica: l’Antonio, in quanto viaggiatore ed eroe, è soggetto al capriccio degli dèi, in particolare quelli che manovrano gli scioperi del comparto aereo-aeroportuale. In ogni odissea che si rispetti ci sono dèi benevoli, come Atena, dea dell’intelligenza strategica che si nasconde nelle pieghe della complessità del reale per far cancellare il volo da Bruxelles Zaventem a Pisa prenotato da due Antonio che abbiamo incontrato sul treno per Leverkusen soltanto per permettere loro di sostituirlo gratuitamente con un comodissimo diretto per Fiumicino. In ogni odissea che si rispetti, però, ci sono anche dèi maldisposti o quantomeno dispettosi. Gabbo e Mattia, i due giovani Antonio di cui sopra, sono rispettivamente un operaio nel settore agricolo e uno studente dell’ultimo anno dell’Istituto tecnico turistico. La rotta del loro viaggio di ritorno prevedeva un volo da Colonia a Venezia, seguito da circa 8 ore di Flixbus per Roma. Gli dèi avversi non erano d’accordo: quando io e Alessio li abbiamo videochiamati da Piazza dei Miracoli hanno soverchiato lo stupore generato da una torre pendente raccontandoci di essere rimasti bloccati nientedimeno che a Budapest. Il loro volo Colonia-Venezia era stato cancellato e così avevano ripiegato su una soluzione da Dortmund con scalo nella capitale ungherese, salvo poi perdere la coincidenza a causa di un ritardo del primo volo. Questo capricicio degli déi li ha resi i primi romanisti in assoluto a raggiungere la meta della finale, o almeno credo. A un certo punto, non so più su impulso di chi, si è paventata l’idea di trovare un lavoretto lì per un paio di settimane per risparmiarsi il viaggio. Ieri (venerdì 27 maggio) ho incontrato per caso Gabbo a Testaccio: mi ha detto che partiranno con un minivan da 9 posti e che non ha il biglietto per la partita.

Foto dell'autore.

Anche io e Alessio partiremo con un minivan da 9 posti – anzi, quando questo pezzo sarà pubblicato probabilmente saremo già lungo la strada. Dopo aver passato quattro ore in uno Starbucks nella stazione centrale di Bruxelles ad aggiornare il sito della Roma e poi a fissare l’ormai celebre omino che scandisce la fila virtuale siamo riusciti a comprare i biglietti sia per noi che per i nostri papà. Abbiamo vagliato una buona dozzina di opzioni. E, oggi che mi sembra normale andare in macchina fino a Budapest, ho un brivido a ripensare al momento in cui abbiamo preso in considerazione anche questa: Roma-Trieste, Trieste-Gorizia, Nova Gorica-Jesenice (Slovenia), Jesenice-Lubiana (Slovenia), Lubiana-Maribor (Slovenia), Maribor-Pragersko (Slovenia), Pragersko-Budapest (Ungheria). Inevitabilmente abbiamo optato per la soluzione su gomma. A Roma, però, ogni minivan a noleggio esistente è in partenza per Budapest e mi chiedo se non sia lo stesso per i minivan di tutta Italia, considerando che il nostro è stato affittato da mio padre in Puglia. Quando tornerà alla base avrà percorso oltre 3.500 km.Lo scorso anno ho avuto il privilegio di raccontare il mio viaggio a Tirana e una vittoria che mancava da semplicemente troppo tempo. A quattordici anni dall’ultimo trofeo e a sessantuno dall’unica coppa internazionale, la dimensione del racconto non poteva che essere il tempo, quello infinito dell’attesa e quello unico del compimento. Sono passati 370 giorni da quei “chissà quando ci ricapita”, ed è troppo poco per fare un’altra volta della fame insostenibile della propria gente la motivazione principale su cui costruire la finale. Stavolta non si tratta della fame dei tifosi romanisti, ma della strada che hanno fatto per raggiungere questa tavola imbandita a festa. È una questione di spazio e non di tempo, è geografia prima ancora che storia. Ci sarebbe un’altra frase celebre e forse un po’ stantia secondo cui l’importante non è la meta, ma il viaggio. E il viaggio è stato senza dubbio straordinario.

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