
Mancano una trentina di giri al termine del Gran Premio d’Austria e Max Verstappen è saldamente al comando. Da qualche minuto, però, si sta lamentando via radio per il degrado dei suoi pneumatici, quasi presentisse il pericolo imminente. Dal muretto viene richiamato per montare l’ultimo set di gomme medie, ma qualcosa non funziona: la pistola si inceppa, il pit-stop si protrae troppo a lungo. Quando esce dalla corsia dei box, ha solo due secondi di vantaggio su Lando Norris. Pochi secondi dopo, un’altra sbavatura fa piombare l’inglese direttamente nei suoi scarichi.
Per defenestrare il suo rivale, Norris ha battezzato la famosa curva 3, non esattamente il punto più indicato per rimanere al riparo dai guai. I primi due tentativi non vanno a bersaglio: Verstappen respinge il primo con un cambio di traiettoria in frenata ai limiti del regolamento, poi, una manciata di giri più tardi, l’inglese si infila all’interno arrivando al bloccaggio dell’anteriore e finendo inevitabilmente oltre il cordolo. Rientra in pista in prima posizione ma per evitare penalità, saggiamente, restituisce il primato all’olandese. A quel punto, decide di cambiare strategia e di muoversi con astuzia: al giro 64 i due arrivano nuovamente appaiati in curva 3, ma, questa volta, il britannico mantiene l’esterno così da portare il campione del mondo fuori dalla traiettoria ideale e avere un maggiore abbrivio in trazione verso curva 4. Verstappen, intuendo il pericolo, sterza in maniera troppo aggressiva verso sinistra: il contatto è tanto inevitabile quanto rovinoso.
La posteriore sinistra di Verstappen e la posteriore destra di Norris entrano in rotta di collisione, sbriciolandosi all’istante. L’inglese prova a svoltare ma, a causa della foratura, si ritrova in traiettoria l’auto numero 1, finendo così per danneggiare irreparabilmente la sua ala anteriore. Mentre Norris è costretto al ritiro, però, Verstappen riesce a concludere la gara in quinta posizione, guadagnando ulteriore terreno nella lotta al titolo mondiale.
Nel post-gara Norris non usa giri di parole: «Pensavo fosse una battaglia corretta, ma così non è stato. Verstappen mi ha rovinato la gara, l’incidente non è colpa mia. Se ammetterà di essere stato stupido, continuerò ad avere rispetto per lui». Sono frasi forti, ma comprensibili nella concitazione del momento. Alla Formula 1, però, una rivalità come si deve manca da un po' e oltre le colline della Stiria si parla già di amicizia tradita. E poco importa se Norris abbia provato a chiamarsi fuori da un’inevitabile guerra di nervi e a non alzare oltremodo i toni della contesa: battere lo spietato Verstappen, usando le sue stesse armi, doveva essere il suo personalissimo rito di iniziazione, il definitivo passaggio alla maturità.
A dodici mesi di distanza, Lando Norris torna al Red Bull Ring con un bilancio chiaramente in perdita: la guerra con Verstappen è andata perduta. Solamente due settimane fa a Montreal, per dire l'inglese ha provato a sopravanzare il compagno di squadra con una manovra di sorpasso incomprensibile, concludendo anzitempo la propria gara. Ma soprattutto ha visto i rapporti di forza all’interno del team sovvertiti: Oscar Piastri, che fino a un anno fa sembrava costituire una minaccia secondaria, guida ora la classifica del Mondiale e pare avere tutte le carte in regola per portare a termine la missione.
PAPAYA RULES
Oscar Piastri era cresciuto molto già nella scorsa stagione, ma la sua traiettoria era stata poco notata. Come le migliori sottotrame si è innestata nell’economia del campionato in maniera silenziosa ma concreta, in un momento in cui l’interesse era completamente dirottato verso altri lidi. Del resto non sembravano esserci dubbi su quale dei due piloti Mclaren fosse il più accreditato a rivaleggiare con Verstappen: Norris regolarmente era davanti al compagno di squadra in qualifica, aveva più punti di lui nella classifica del mondiale piloti e, alla sesta stagione in Formula 1, portava in dote un maggior bagaglio di esperienza che giustificava la sua supremazia.
Durante la scorsa estate, mentre il dibattito ruotava attorno all’irruenza di Verstappen e alle vulnerabilità di Norris, Piastri lentamente risaliva la corrente: nel silenzio generale, a Silverstone, prima che una decisione errata del team compromettesse le sue chance di vittoria, era stato il pilota più veloce in pista per larghi tratti della gara. In Ungheria, senza troppi complimenti, superava il suo compagno di squadra, per poi ripetersi una settimana dopo a Spa. Persino la sua prima vittoria In Formula 1 ha avuto un sapore dolceamaro, assumendo le sembianze di una gentile concessione del team.
La vicenda è piuttosto nota: all’Hungaroring la prima fila è tutta Mclaren, con Norris in pole position. Allo spegnimento dei semafori rossi, tuttavia, Piastri ha uno scatto bruciante e si prende il comando della gara. La situazione rimane pressoché cristallizzata fino all’ultimo stint, quando Hamilton, che in quel momento si trova al terzo posto, decide di anticipare la sosta. Il divario con Norris è comunque considerevole, ma dal muretto Mclaren decidono di richiamare ai box il britannico per proteggerlo dall’undercut del baronetto. Le conseguenze sono prevedibili: Piastri, fermatosi anche lui per il suo pit-stop solamente due giri più tardi, rientra in pista alle spalle del compagno di squadra, dopo una gara condotta in testa sin dalla prima curva.
Gli ultimi giri sono un profluvio di team-radio: il il muretto comunica via radio e ordina a Norris di cedere la posizione a Piastri e nel contempo rassicura l’australiano che non gli verrà arrecato nessun torto. Alla fine, dopo una lunga battaglia con la sua coscienza, Norris si piega alle decisioni del team e si lascia sfilare dal compagno di squadra.Al termine della gara lo sconcerto tra i commentatori è palpabile. Al di là della gestione confusa dei pit stop, non si capisce per quale motivo la Mclaren non abbia deciso di abbracciare la via della realpolitik, sacrificando Piastri sull’altare delle ambizioni di Norris, il più diretto inseguitore di Verstappen nel Mondiale piloti.
In realtà, quella scelta a prima vista singolare si inserisce perfettamente nella politica voluta dal team principal Andrea Stella, che ha posto al di sopra di qualunque personalismo l’armonia e l’interesse collettivo del team, bandendo di fatto qualsiasi trattamento di favore per uno specifico pilota. Linee guida che spiegano la decisione dell’anno passato – poi rivelatasi vincente- di concentrare le proprie risorse più sul titolo costruttori che su quello piloti. Un trade-off a posteriori piuttosto saggio, visto che il divario tra Norris e Verstappen ha raggiunto un limite minimo di 44 punti, una forbice comunque difficile da colmare.
Del resto la preminenza del team costituisce anche il nucleo delle ormai celeberrime papaya rules, un insieme di direttive interne con cui la Mclaren ha voluto stabilire le regole di ingaggio tra i propri piloti, liberi di gareggiare l’uno contro l’altro, ma sempre in maniera subordinata all’integrità della squadra. A settembre, durante lo scorso Gran Premio di Monza, lo stesso Andrea Stella ha provato a definire in maniera più chiara i termini della questione: «Ancor prima di questo weekend brianzolo, abbiamo riconosciuto che Lando è in una posizione migliore rispetto ad Oscar. Questo non vuol dire che abbiamo un primo pilota e un numero 2 perché non credo funzioni bene nel mondo reale. Penso che sia meglio continuare a lavorare come una squadra, ottenere il feedback di entrambi i piloti e poi lavorare insieme per perseguire l’obiettivo di entrambi i Campionati, anche se quello Piloti rimane solamente una possibilità».
A Oscar Piastri, in effetti, non sono stati richiesti onerosi compiti di gregariato, fatta eccezione per la sprint race in Brasile, quando ha dovuto cedere la vittoria al compagno di squadra, un favore peraltro restituitogli in maniera gratuita dallo stesso Norris in Qatar, quasi a suggellare la perfetta sinergia con il proprio dirimpettaio.
Le papaya rules hanno incontrato più sacche di resistenza; sono state oggetto di ironia, forse anche in virtù del loro nome ridicolo. Il team manager della Red Bull, Christian Horner, per esempio, è stato molto pungente: «Non so cosa siano queste papaya rules ma sicuramente ci stanno dando una grossa mano». Non è solo Horner, però: le papaya rules sono state inizialmente ritenute confuse e rischiose, a causa della mancanza di una vera e propria gerarchia tra i piloti. Nella pratica, tuttavia, il lavoro diplomatico di Andrea Stella è stato particolarmente efficace nell’appianare i contrasti tra i due piloti e nel sopprimere sul nascere qualsiasi germe di ostilità. Almeno dall’esterno, la Mclaren appare piuttosto impermeabile alle malelingue.
Anche nel corso di questa stagione, in cui il Mondiale piloti sembra essere per ora una questione tra Piastri e Norris e in cui inevitabilmente il livello di competizione all’interno del team si è alzato, il confronto in pista tra i due piloti non è mai sconfinato nella guerra aperta. Sicuramente a Montreal c’è stato un bug nella strategia Mclaren e l’incidente poteva essere evitato vista la posta in gioco relativamente bassa, ma fino a questo momento non si sono registrati altri passi falsi. Prima del pasticcio di due settimane fa – di cui peraltro Norris si è prontamente scusato- si sono verificate alcune scaramucce tra i due compagni di squadra, ma alla prova dei fatti si sono rivelate delle punture di spillo: a Suzuka Piastri, forte di un ritmo migliore, ha provato con un team radio eloquente a chiedere lo scambio delle posizioni senza però essere accontentato; a Barcellona, invece, Norris ha cercato in Q3 di prendere la scia del compagno di squadra, ma Piastri ha prontamente intuito le sue intenzioni, etichettandole come «furbette». Nessuno di questi episodi, però, sembrava poter sfociare in qualcosa di grosso.
Norris dalle sue dichiarazioni sembra volersi giocare le sue carte in maniera trasparente, senza particolari giochi mentali: «Vogliamo sfidarci e siamo liberi di gareggiare l’uno contro l’altro, ma sappiamo anche che il nostro unico scopo è correre per la Mclaren». Dal canto suo Piastri, senza mai uscire dall’alveo della correttezza, è sicuramente il più bravo tra i due a mascherare le proprie intenzioni e a smarcarsi anche con ironia dalle domande dei giornalisti: «Abbiamo detto che stiamo cercando di ripetere il 2007», ha sentenziato qualche settimana fa, scherzando sulla rivalità brutale tra Alonso e Hamilton che costò il titolo alla McLaren.
Quel che è certo è che al pilota australiano non manca l’ambizione, visti i suoi trascorsi trionfali in Formula 3 e in Formula 2, categorie in cui è riuscito a diventare campione del mondo; ma soprattutto non sembra mancargli il coraggio – o l’ambiguità a seconda dei punti di vista- di sgattaiolare oltre il recinto impostogli dal team. Basti pensare al gran premio di Monza dello scorso anno, in cui, al primo giro, senza porsi troppi dilemmi morali ha superato il compagno di squadra alla variante della Roggia; una manovra decisa che ha permesso anche a Leclerc di scavalcare Norris e che ha fatto arrabbiare Andrea Stella. Il tutto, alla faccia delle papaya rules.
OCCHI DI GHIACCIO
Adesso comunque l'inerzia tra Norris e Piastri sembra essersi ribaltata, e dopo dieci Gran Premi sembra ormai pendere dalla parte dell'australiano: l’australiano ha già conquistato cinque gare (contro le due di Lando Norris) e, più in generale, al suo terzo anno in Formula 1, sta mostrando una curva di apprendimento in costante ascesa. Sicuramente nel suo primo anno e mezzo nella massima categoria ha pagato lo scotto della giovane età e tanti peccati di inesperienza hanno pregiudicato le sue performance. In particolare si è dovuto scontrare, come tanti altri prima di lui, con la difficile interpretazione e gestione degli pneumatici Pirelli.
Solamente un anno fa il portale The Race riportava tutti i suoi affanni: «In alcune piste dipendi molto dalle gomme posteriori, in altre dipendi più dalle gomme anteriori; a volte hai del graining, altre volte hai un surriscaldamento. Non c’è mai veramente la stessa cosa che causa il problema ogni settimana. Questo è ciò che rende difficile fare progressi rapidamente». Ma ad oggi il feeling con gli pneumatici sembra decisamente cresciuto e uno dei suoi più grandi deficit, la competitività sul giro secco, si è fortemente ridimensionato.
Ciò che veramente impressiona di Piastri è la sua capacità di manipolare a suo favore diversi contesti di gara. A Imola e a Montreal non ha voluto prendersi rischi inutili in partenza, anche a costo di subire sorpassi eclatanti, dando ragione a quella narrazione che lo vuole lucido e glaciale. A Jeddah non si è invece sottratto al corpo a corpo con Max Verstappen, uscendo vincitore dal confronto, anche grazie alla penalità inflitta al campione del mondo. Ma è a Miami dove è andato in scena il suo piccolo personalissimo capolavoro di strategia; dopo essersi sbarazzato di Antonelli con una manovra perentoria, Piastri si è ritrovato nuovamente sulla sua strada Verstappen; dapprima ha abbozzato un paio di tentativi di attacco in curva undici, ma Verstappen ha anticipato le sue mosse coprendo aggressivamente l’interno. A quel punto Piastri non si è lasciato sopraffare dal nervosismo evitando di ricorrere a sorpassi spericolati. Allo scoccare del giro quattordici, nel breve rettilineo che porta a curva uno, è riuscito finalmente ad affiancare l’olandese e a mettere per un istante il muso della sua Mclaren davanti alla RedBull numero uno; ed è lì che è riuscito a tendere la sua trappola. Sapendo bene che Verstappen avrebbe riproposto lo stesso schema difensivo proteggendo l’interno, Piastri ha leggermente anticipato la frenata inducendo il suo avversario all’errore; Verstappen è arrivato in curva 1 tirando una staccata al limite, ma occupando la parte più sporca della pista, è finito per bloccare l’anteriore concedendo a Piastri il pertugio in cui infilarsi.
Un altro fattore, in questo momento, sembra far pendere la bilancia a favore dell’australiano. Non è un mistero che Piastri prediliga uno stile più conservativo in ingresso curva, di modo da ottimizzare la velocità e la stabilità in uscita. Al contrario, Lando Norris ama tracciare traiettorie aggressive in entrata, anticipando la sterzata per massimizzare la velocità di percorrenza. A detta del britannico, la MCL39 non è esattamente vicina al suo stile di guida: «Alcune delle caratteristiche della vettura non mi piacciono, non si adattano al modo in cui voglio guidare quando attacco. Non si sposano con me in termini di aggredire l’ingresso curva e la frenata. Da questo punto di vista l’auto è molto debole». Indubbiamente Norris preferirebbe una macchina con un assetto maggiormente bilanciato sull’anteriore, ma come spiegato dallo stesso pilota inglese, questa scelta non porterebbe dei benefici: «Se volessi un anteriore più puntato a centro curva, attualmente potremmo averlo soltanto compromettendo le prestazioni alle alte o alle basse velocità, oppure rendendo l’auto più sensibile alle condizioni del vento». È chiaro quindi che, nonostante la supremazia tecnica, anche la Mclaren, come tutte le vetture di questa generazione, non risulta sempre di facile lettura; e, ad oggi Piastri sembra il pilota più in grado di piegare l’assetto della vettura alle sue preferenze.
Un accurato confronto tra lo stile di guida di Norris e quello di Piastri.
Tuttavia, nonostante Piastri continui a distinguersi per una gestione più pulita, anche dopo l’episodio di Montreal Andrea Stella ha ribadito che il team non accantonerà la sua politica e che non ci sarà alcuna gerarchia imposta tra i due piloti. Senza dubbio il gap con i più diretti inseguitori è rassicurante ma il Mondiale è ancora lungo e gli scenari potrebbero mutare. Del resto anche quest’anno la FIA si è divertita a rimescolare le carte, prima con la direttiva sulle ali flessibili e poi con quella relativa al fondo. Quest’ultima in particolare potrebbe avere qualche ripercussione sull’andamento del Mondiale. In tal caso, è chiaro che il team di Woking potrebbe vedersi costretto finalmente a scegliere tra Piastri e Norris, anche per indirizzare gli sviluppi futuri della vettura.
FRAGILITÀ
Il Mclaren Technology Centre è un luogo speciale, che trasuda innovazione. I suoi cinquanta lucenti ettari di vetro e acciaio corrono lungo il bordo di un piccolo laghetto artificiale. Le sue forme leggere sono perfettamente incastonate tra verdi prati e boschi di betulle. È una sorta di campus avveniristico, che funge da base per i dipendenti Mclaren e in cui viene assemblata ogni vettura, prima di venire testata in galleria del vento. Lo stesso Lando Norris, prima di trasferirsi a Montecarlo, non abitava lontano da qui.
Nel dicembre 2022, un noto magazine statunitense, particolarmente attento all’universo maschile, decide di inviarvi uno dei suoi collaboratori per una lunga chiacchierata proprio con il pilota britannico. Il motivo non è casuale: Lando Norris non ha ancora vinto un Gran Premio in Formula 1, ma la sua popolarità è in ascesa e la sua immagine fresca è facilmente vendibile. Solamente un anno prima, un sondaggio condotto attraverso 187 Paesi lo ha eletto pilota più popolare tra i fan di sesso femminile e della generazione Z. E anche le sue prestazioni in pista non sembrano riscuotere un successo minore: ESPN lo ha appena premiato con il titolo di miglior pilota della stagione, preceduto solamente dal campione del mondo Max Verstappen.
Qualche settimana più tardi, Norris compare finalmente in copertina: più che un’immagine reale, sembra davvero l’archetipo del giovane bello e rampante. Il suo volto emerge da uno sfondo blu notte, la pelle olivastra richiama splendide terre assolate. La manica arrotolata della camicia lascia intravedere un orologio alla moda. Veste abiti bianchi firmati che tanto riportano alla mente i morbidi campi da golf su cui è solito dilettarsi.
A tratti, l’intervistatore sembra quasi squadrarlo in contemplazione: "La prima cosa che ti colpisce è quanto sia bello Lando Norris. Cresciuto vicino a Bristol da padre britannico e madre belga, è abbronzato, con rassicuranti occhi nocciola, una schiuma di capelli castano scuro spazzolati sulla fronte e sopracciglia sorprendenti tanto quanto la sua mascella".
Ad oggi Norris non ha ancora compiuto ventisei anni, ma è difficile non accorgersi di quanto quel ritratto sia sfiorito con una facilità irrisoria; in particolare, c’è un passaggio di quell’intervista che sembra davvero essere invecchiato malamente, ovvero il momento in cui viene domandato a Norris che cosa si proverà ad essere un mentore per il debuttante Oscar Piastri.
Oggi Lando Norris è ritenuto un pilota incapace di reggere le pressioni, per nulla in grado di sedersi allo stesso tavolo dei migliori di questo sport. Ciclicamente alcuni soprannomi canzonatori, come Lando Nowins, tornano a farsi beffe delle sue incertezze e la severità dei giudizi stride con le belle parole che accompagnavano i suoi primi passi in Formula 1.
Personalmente se penso a Norris penso al gran premio di Sochi del 2021, una gara che per i suoi detrattori potrebbe benissimo riassumere il senso della sua carriera.
A quella domenica di autunno Norris arriva in rampa di lancio, dopo aver centrato nemmeno ventiquattrore prima la sua prima pole position in Formula 1. Di certo non una pole banale, ottenuta con una Mclaren in ripresa ma lontana dai fasti attuali e al culmine della faida Verstappen-Hamilton (val la pena ricordare che solamente due settimane prima a Monza l’olandese era letteralmente decollato alla prima variante).
Al via Norris si fa sopravanzare dal suo ex compagno di squadra Carlos Sainz, ma dopo una decina di giri riesce a riprendere il comando. Da lì in poi, al netto della girandola dei pit stop, riesce a condurre la gara sempre in testa, prima che gli ultimi convulsi giri arrivino a seminare il caos. La pioggia decide di fare capolino sul circuito, ma in maniera leggera e indecifrabile. Quando l’intensità delle precipitazioni aumenta, il muretto richiama Norris ai box, ma l’inglese tira dritto e decide di proseguire sulle slick. Una scelta che si rivela completamente sbagliata: d’un tratto la pioggia comincia scendere copiosa e implacabile, Norris inevitabilmente non riesce a mantenere il controllo della vettura e si vede costretto a cedere inesorabilmente il primato. Al termine della gara si dovrà accontentare della settima posizione.
All'epoca era ancora legittimo scambiare quel puerile errore di valutazione in un atto di ribellione di un pilota carismatico e sanguigno. Una predilezione per il proprio istinto che non può che essere propedeutica a una carriera di successi. Oggi quella valutazione sembra arrossire davanti alla realtà ma non credo che il motivo risieda nell’inadeguatezza che tanto spesso viene rinfacciata a Norris, quanto nell’ostinazione con cui cerchiamo di affibbiare a un campione degno di questo nome i soliti stanchi attributi.
Non è un mistero che a un vincente venga richiesto di essere spietato, freddo e calcolatore. Lando Norris non possiede nessuna di queste caratteristiche e per questo motivo non sembra avere diritto di cittadinanza. Troppo spesso gli si rimprovera di essere “gentile” ed emotivo, e dunque fragile. Un concetto che, anche recentemente, è tornato nelle parole di Ralph Schumacher. Interpellato sull’incidente di Montreal, il tedesco non ha certo usato i guanti di velluto: «Lando sta mostrando troppa debolezza e sta commettendo troppi errori. A questo si aggiunge il modo in cui ha gestito la situazione dopo l’incidente con Piastri. Si è scusato e questo dimostra che è una bella persona, ma le belle persone raramente vincono i titoli. Non puoi trasformare una mucca in una tigre».
Di certo la franchezza, l’onestà con cui davanti alle telecamere è solito giudicare le proprie performance, non lo ha aiutato, perché viene spesso scambiata per fragilità. In realtà, per sua stessa ammissione, Lando Norris è sempre stato un pilota alla costante ricerca della perfezione: «Sono molto critico nei confronti della mia prestazione. Penso sempre: cosa avrei potuto fare meglio? E poi, cosa avrebbe potuto fare meglio la squadra?». Un perfezionismo che lo ha portato a sviluppare ansie e insicurezze che hanno accompagnato i suoi esordi comunque brillanti in Formula 1: «Non sapevo proprio come farcela. La mia fiducia è arrivata al minimo storico. Dubitavo di me stesso: sono abbastanza bravo per stare in Formula 1?».
Qualche mese fa, al Guardian, ha rilasciato un’intervista a cuore aperto, ripercorrendo i momenti cruciali della sua carriera. Nuovamente ha messo in risalto le sue difficoltà, che poi mettono in risalto tutta la sua diversità: «Voglio semplicemente divertirmi e so che questo non è esattamente ciò che chiamiamo killer instinct. Semplicemente non penso che tu debba averlo per essere un campione del mondo. Credo ancora che potrò diventare un campione del mondo ma lo farò rimanendo un ragazzo perbene».
Chi se lo sarebbe aspettato che a contendergli il Mondiale, quando finalmente ne avrebbe avuto la possibilità, sarebbe stato un altro ragazzo perbene?