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(di)
Daniele V. Morrone
Oltre ogni logica
31 mag 2016
31 mag 2016
I Golden State Warriors hanno vinto la serie con OKC piegando la realtà al loro volere.
(di)
Daniele V. Morrone
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Forse, quando smetteremo di mitizzare il passato e di cullarci nel ricordo di epoche auree, saremo in grado di apprezzare pienamente quello che stiamo vedendo in questo momento storico del basket NBA. Magari ci riusciremo quando i discorsi dopo ogni singola gara non saranno più cronaca della sera prima, cosa che spesso limita una visione più generale perché troppo legata ad impressioni a caldo. Fatto sta che quella tra Golden State Warriors e Oklahoma City Thunder è una serie che ricorderemo veramente a lungo, di quelle che entrano di diritto tra le migliori della storia della NBA. E non è per fare della facile epica, c’è stato veramente di tutto: inizio choc, blowout contro chi ha vinto 73 partite di regular season, un sistema difensivo in grado di reggere l’urto del

, una delle migliori prestazioni singole di sempre ai playoff e una squadra in grado di rimontare tre partite quando sotto 1-3. E si può parlare di impresa, perché prima di questi Warriors era successo solo altre nove volte che una squadra di fronte a tre

consecutive vincesse la serie. Nove

.

 

 



 

In gara-7 i Thunder, dal punto di vista psicologico, si sono dimostrati bravissimi ad approcciare la partita puntando forte sulla circolazione di palla per far entrare tutti in ritmo, iniziando ogni azione presto con il pick and roll aggressivo di Westbrook. E ci sono riusciti piuttosto bene, nonostante gli errori al tiro e l’aggiustamento tattico con cui Steve Kerr ha iniziato la partita, facendo partire in quintetto Iguodala al posto di Barnes per evitare che Kevin Durant trovasse punti facili e per farlo lavorare duro fin da subito, concedendogli la prima tripla a bersaglio solo con 5:40 su cronometro (e solo 4/5 al tiro nel primo tempo). Un inizio a basse percentuali per entrambe le squadre da cui però i Thunder sono riusciti a scavare un buon margine da subito, per nulla spaventati dall’aggressività mostrata da Draymond Green fin dalla prima palla toccata — aggressività che infatti sembrava più per non pensare alle gambe che tremano che per spaventare gli avversari.

 



 

 

Il dominio a rimbalzo offensivo dei Thunder è stato evidente (nel primo tempo hanno preso il 50% dei rimbalzi offensivi disponibili) e rappresenta un vantaggio considerevole quando entrambe le squadre fanno fatica a segnare con continuità. La situazione non cambia neanche quando si inizia a fare veramente sul serio con l’entrata in campo di Barnes per Bogut e l’apertura delle danze per il Death Lineup. La scelta di iniziare tanto presto con un’arma che per gran parte della serie è stata disinnescata dalle braccia lunghissime di OKC è un vero attestato di fiducia di Kerr verso il suo sistema, incurante dei dubbi che l’ottima difesa fatta di cambi sistematici e di giocatori che si sacrificano uscendo ben oltre la loro zona di comfort (come Ibaka, che esce anche a otto metri dal canestro per coprire Curry) ha instillato nelle menti degli Warriors. La difesa di OKC infatti non ha sbagliato un colpo, aiutata anche da un Thompson totalmente fuori ritmo (0/7), costringendo Kerr a rinunciare al quintetto piccolo e attingendo dalla panchina con i vari Livingston e Ezeli per trovare forze fresche. È un momento strano della gara, in cui l’unico che sembra in grado di creare attacco è Steph Curry, che segna o assiste per 13 punti consecutivi e con OKC che non riesce a distanziarsi perché tenuta sotto il 40% dal campo.

 



 

 

A mantenere le distanze nel primo tempo è quindi il vantaggio dei Thunder sotto canestro, con un reparto lunghi che domina e che si adegua bene all’ottima difesa degli Warriors su Durant, costretto sempre ad affrontare un raddoppio e a scaricare per i compagni. Con il serbatoio delle energie ancora pieno però la palla gira benissimo (0 palle perse) e anche Kanter può contribuire con ben 8 punti nel secondo quarto, e più in generale con lui in campo i rimbalzi finiscono sempre per quelli in maglia blu (8 rimbalzi offensivi con il punteggio sul 31-22). La scelta della difesa degli Warriors di lasciar tirare tutti tranne Durant e di spingere Westbrook a far circolare il pallone non è sembrata pagare, soprattutto quando la difesa in transizione si è dimostrata incapace di arginare il numero 0.

 



 

Non che a difesa schierata sia andata molto meglio


 

Certo, a fine secondo quarto l’attacco degli Warriors ha iniziato ad ingranare, con Thompson finalmente a bersaglio e un 9-2 di parziale grazie a un buzzer beater di Curry per chiudere il quarto, ma l’inerzia della partita è sembrata comunque sotto il controllo dei Thunder, nettamente la miglior squadra in campo in un primo tempo chiuso a +6. Dal punto di vista statistico non c’è nulla che possa far dire il contrario e neanche l’inizio di terzo quarto, — con OKC che arriva a prendere il 13° rimbalzo offensivo e la difesa che sconsiglia anche solo l’idea di

un tiro in area, dando l’impressione di aver disinnescato la bomba GSW — può far presagire la tempesta che sta arrivando.

 

 



 

Improvvisamente, nell’arco di una manciata di possessi, tutto cambia: arriva la prima tripla, poi la seconda, la terza, la quarta. OKC si ritrova mentalmente fuori dalla partita in un attimo, con la frustrazione aumenta a livello di ebollizione perché i cambi dei lunghi sul pick and roll, eseguiti da manuale come nelle partite precedenti, stavolta vengono puntualmente puniti. Il basket altruista giocato da Westbrook in quel frangente diventa paradossalmente un problema, perché i compagni smettono di fare canestro e lui non attaccando si mette fuori ritmo da solo. Il numero 0 assume anche il peggior linguaggio del corpo tra i giocatori dei Thunder: le dita iniziano ad essere puntate ad ogni minimo errore e tutto diventa una lotta per rimanere mentalmente in partita e non gettare la spugna, con anche KD che viene visto rivolgere male parole nei confronti di Donovan in panchina. OKC non ha fatto nulla di sbagliato sulla carta: semplicemente, gli avversari hanno iniziato a segnare da 8 metri con la mano in faccia e loro si sono ritrovati a dover segnare per forza in attacco con una frustrazione montante. Da un vantaggio che aveva anche toccato i 13 punti nel primo tempo, la partita viene riportata di peso in parità da Curry e Thompson con dei tiri insensati fino all’inevitabile sorpasso.

 



 

 

Gli Warriors segnano dei tiri che paradossalmente li fanno passare per i cattivi della situazione — perché non esiste punizione divina per la tracotanza che dimostrano in quei momenti infuocati in cui riacchiappano la partita, trascinando gli avversari giù nel baratro della frustrazione. O gli Dei del basket non esistono, o gli Warriors li hanno uccisi. Perché i loro tiri sono marcati, a volte contro-tempo rispetto al ritmo della partita, e invece di diminuire le percentuali aumentano, fino a segnare quattro triple consecutive che avrebbero tramortito un gigante e dei canestri improbabili perfino di Barbosa e Varejao. E il più crudele di tutti in questo è proprio la stella.

 

https://youtu.be/evqpY7HNERg?t=2m53s

Steph Curry, tracotanza su parquet, 30 maggio 2016


 

A fermare l’agonia ci pensa coach Donovan con un timeout e un’ottima uscita con tripla successiva di Waiters per tornare a -1, ma ormai la partita ha cambiato completamente padrone. Gli Warriors sono in vantaggio e in controllo pur con 0 rimbalzi offensivi e 0 punti da contropiede nel quarto, nel finale di gara possono abbassare il ritmo (41 possessi nel secondo tempo, pochissimi per i loro standard) pur mantenendo la produzione offensiva (

) e potendo gestirsi in difesa, riuscendo a limitare al minimo i falli su Westbrook e Durant. Con i ritmi abbassati e l’uscita dal momento infuocato degli Warriors, OKC prova comunque a mettersi nelle migliori condizioni possibili per ricucire lo strappo, grazie soprattuto a un ultimo quarto fantastico di Durant, aggressivo con la palla e determinato nel trascinare i suoi con un parziale personale di 7-0 a coronare una partita da 27 punti con un 10/19 al tiro e soprattutto una difesa impeccabile (è il primo della sua squadra per tiri contestati con ben 16).

 



 

 

Purtroppo per lui però Curry continua a non sbagliare nulla, tanto nelle scelte quanto nell’esecuzione, e con un fallo procuratosi su di un tiro da tre su Ibaka con poco più di un minuto a cronometro annulla il parziale del 35 e consegna il passaggio del turno ai suoi, aggiungendo un’ultima tripla di pura onnipotenza con la quale costringe i Thunder a gettare definitivamente la spugna.

 



 

 

 



 

Gli Warriors sono quindi dovuti andare ancora oltre ogni logica per la seconda partita consecutiva per riuscire a superare una squadra che, nel corso della serie, si è dimostrata fisicamente e tatticamente superiore. Perché questo sono stati i Thunder prima dell’esplosione di Thompson in gara-6 e soprattutto del terzo quarto di gara-7: una squadra superiore agli Warriors pur senza avere il fattore campo, con un piano ed una esecuzione coerente nonostante lo choc dei pugni in faccia ricevuti.

 

Se però serviva una serie epica, un vero banco di prova per capire il “posto nella storia” di questi Golden State Warriors, eccovi accontentati. Questa serie ci ha dimostrato che non esiste parziale o deficit che questa squadra non possa colmare, e che ancora prima di vincerle, Curry e soci hanno la capacità sovrannaturale di

le partite. Si può cambiare su ogni loro singolo giocatore e rimanere a un centimetro di distanza quando si alzano per tirare, si può insomma difendere in modo perfetto, ma semplicemente è impossibile fermare la grandinata quando inizia a scendere.

 

Questo è ciò che rende gli Warriors una squadra irripetibile, ed è probabilmente questo che spaventa e allontana i “puristi” del gioco giocato “

”: il fatto che per quanto la difesa sia perfetta anche a nove metri dal canestro, Steph Curry e Klay Thompson riescono comunque a segnare e ribaltare qualsiasi partita per il più grande

che si sia mai visto. E questo non era neanche pensabile fino a pochi anni fa.

 

 

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