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Oleguer: un calciatore di sinistra
15 ott 2019
15 ott 2019
Cosa ha significato l'impegno politico dell'ex giocatore del Barcellona, tra indipendentismo catalano e anticapitalismo.
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Foto di Denis Doyle / Getty Images
(foto) Foto di Denis Doyle / Getty Images
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Il 17 maggio del 2006 a Parigi si giocava la finale di Champions League fra il Barcellona e l’Arsenal. Era l’epoca del quarto Barça oranje – quarto perché veniva dopo quello di Cruijff giocatore, quello di Cruijff allenatore (quando vinse la prima e fino a quel momento unica Champions contro la Sampdoria grazie a una rete di Ronald Koeman) e infine quello di van Gaal, che nel 1998-99, anno della seconda Liga consecutiva, annoverava ben otto olandesi in rosa, oltre a Figo, Rivaldo, Guardiola, Xavi e al padre di Sergio Busquets. Quarto Barcellona olandese perché l’allenatore era Rijkaard, consigliato dallo stesso Cruijff, con cui pure aveva avuto diverse polemiche da giocatore e a causa del quale aveva lasciato l’Ajax. Il centrocampista aveva infatti firmato un pre-contratto con il PSV Eindhoven e Cruijff, all’epoca allenatore dell'Ajax, cercò in tutti i modi di bloccarlo. Rijkaard non andò mai alla squadra rivale, ma decise di partire per la Spagna, al Real Saragozza. In realtà, fino alla firma con il Barcellona, la carriera di Rijkaard come allenatore non era stata straordinaria: aveva allenato l’Olanda all’Europeo del 2000, con cui era stato eliminato in semifinale ai rigori contro l’Italia, in casa, fra le parate di Toldo, i rigori sbagliati e il cucchiaio di Totti. L’anno successivo aveva preso la panchina dello Sparta Rotterdam, per la prima volta retrocesso in seconda divisione. La scelta del Barcellona era quindi una scelta di “filosofia”, non di curriculum, sulla stessa linea di quella che nel 2008 porterà sulla panchina blaugrana Guardiola. Rijkaard, in quella sera di maggio, non era però l’unico olandese di quella squadra – in campo c’erano anche van Bommel e van Bronckhorst, a fare da attori non protagonisti accanto a Ronaldinho e Eto’o. Come terzino destro, invece, in quella squadra non c’era nessun olandese. In quel ruolo il titolare è Oleguer Presas Renom, nativo di Sabadell, in Catalogna – l’unico catalano titolare insieme al portiere Victor Valdés. La finale di Champions League per Oleguer è complicata - una partita densa di occasioni, anche se spesso intervallate da lunghi momenti statici. Henry, a fine partita, affermò con acidità che Ronaldinho ed Eto’o “non si erano visti”, probabilmente infastidito dal fatto che il Barcellona avrebbe potuto chiuderla prima. Effettivamente era stata una partita dall’andamento imprevedibile, piena di colpi di scena e casualità: l’espulsione di Lehmann al diciottesimo minuto, il gol di Campbell che dà il vantaggio all’Arsenal, il palo di Eto’o nel primo tempo, i gol sbagliati da Henry e Ljungberg, il pareggio del camerunense e il gol vittoria del Barça a dieci minuti dal termine.

Il gol decisivo del Barcellona, a opera del brasiliano Belletti, è un tiro che passa sotto le gambe del portiere di riserva Almunia, e anche per lui non sarà una serata da ricordare, con due gol subiti sul primo palo. Belletti era entrato al settantunesimo del secondo tempo proprio al posto di Oleguer, che in quella finale sarà ricordato soprattutto per la sbavatura sul gol dell’Arsenal, per un’ammonizione e per aver lasciato il posto al giocatore che alla fine si rivelerà decisivo ai fini del risultato. Contro Ljungberg, che lo punta più volte e lo supera spesso, dà sempre l’impressione di essere inadeguato. Una prestazione negativa, insomma, decisiva solo se vista di luce riflessa. Alla fine della partita, però, Oleguer può alzare la coppa con i compagni e chissà che nei suoi festeggiamenti non ci sia anche un senso di sollievo per lo scampato pericolo. Tra i festeggiamenti per la vittoria, della sua prestazione ovviamente non se ne ricorda nessuno: il terzino catalano esulta insieme agli altri compagni, prende in mano e alza la coppa, ride e scherza e si mette in posa con il resto della squadra per le fotografie di rito. A guardarlo oggi, passato poco più di un decennio, non solo sembra un altro calcio, ma le espressioni e il portamento di Oleguer – giocatore allora già antico – sembrano di un’epoca ancora precedente. Pochi tatuaggi, pochi tagli da calciatore, nessun segno di quella sicurezza fisica quasi arrogante che hanno alcuni giocatori oggi, nessuno sfoggio di quel “dono di saper vivere” – direbbe Tommaso Pincio (pseudonimo dello scrittore italiano Marco Colapietro). Nei festeggiamenti Oleguer assomiglia al calciatore visto in campo quella sera: affannato, emozionato, felice ma di una felicità goffa, quasi adolescenziale. In fondo è solo un ragazzo di ventisei anni, i cui trascorsi comuni lo avvicinano a molti suoi coetanei occidentali. Oleguer ha giocato una brutta partita, ma non sembra interessargli più – alla fine in quel momento non è così importante sapere come sei diventato campione d’Europa. Oleguer e Barcellona Tra gli stessi tifosi del Barça, sono molti quelli che apprezzano Oleguer più come persona che come giocatore. Anche nella sua parentesi olandese, quando nel 2008 andò a giocare all’Ajax, le critiche furono accese, tanto che venne considerato fra i “bidoni” spagnoli che fecero il percorso inverso di Cruijff, insieme a Gabri e Bojan Krkic. Oleguer era nato come centrale difensivo e aveva raggiunto il Barça B non dalla Masia, come molti giocatori catalani, ma direttamente dal Gramenet, squadra di terza divisione vicina a Sabadell, la sua città di origine, nella cinta industriale di Barcellona. È Rijkaard a reinventarlo laterale difensivo destro, proprio per supplire alle lacune tattiche di Belletti, più portato ad attaccare che a difendere. L’intesa con Marquez e Puyol, allora al centro della difesa barcellonese, è molto buona, tanto che nel 2005-06 è Oleguer il titolare, ed è presente nell’undici iniziale di quasi tutte le partite più importanti. Certo, non ha una tecnica sopraffina, né è particolarmente portato al cross o alle sovrapposizioni, ma Rijkaard ne apprezza l’aggressività sull’uomo, l’attenzione in marcatura e la concentrazione nel non farsi saltare, oltre alle buone doti atletiche. La stagione della vittoria della Champions League, dal punto di vista sportivo, è senz’altro la sua migliore: oltre alla coppa, infatti, vince la sua seconda Liga consecutiva a cui si aggiungerà, pochi mesi dopo, la Supercoppa spagnola. È l’anno in cui viene convocato nella nazionale spagnola, ancora splendida perdente, nella quale però non giocherà mai, per scelta politica. Da indipendentista catalano, infatti, ribadirà a Luis Aragones, selezionatore della Spagna, l’intenzione di non indossare la camiseta roja. «Ho spiegato all’allenatore il mio modo di vedere il mondo», dirà in seguito, «preferivo lasciare il posto a chi ci credeva veramente». In seguito giocherà diverse partite con la maglia non ufficiale della nazionale catalana e nel suo palmares figurano anche tre coppe della Catalogna, tutte vinte quando militava nel Barcellona. Una scelta diversa, per esempio, da quella fatta a suo tempo da Guardiola, che da indipendentista scelse comunque di rispondere alla convocazione della Spagna per “professionalità”. Il 2006 poteva quindi essere anche l’anno del Mondiale. Invece per Oleguer fu l’anno della laurea in Economia alla Universitat Autonoma di Barcellona, attraverso un percorso brillante. A marzo di quello stesso anno era uscito anche il suo primo libro, scritto in collaborazione con lo scrittore e poeta catalano Roc Casagran, con cui all’epoca condivideva l’appartamento a Sabadell. È un testo completamente diverso rispetto alla maggior parte delle biografie degli atleti: i nomi di Oleguer e Casagran risultano uno sotto all’altro (l’editore aveva inizialmente chiesto a Casagran un libro-intervista più classico che sarebbe uscito sotto il nome del calciatore, ma entrambi rifiutarono); il libro, partendo dal pretesto simbolico del consueto giro in pullman scoperto che i giocatori del Barça organizzano dopo ogni vittoria di Liga, affronta diverse tematiche politico-sociali. Il suo è un viaggio della memoria, un percorso a ritroso nel tempo – attraverso le tappe scandite dai quartieri di Barcellona che il pullman scoperto percorre fra i tifosi festanti -, il tempo della sua infanzia e quello, più ampio, della storia catalana e spagnola.

L’impegno politico Già prima della pubblicazione di Camí a Itaca – questo il titolo del libro – Oleguer era politicamente e socialmente impegnato. L’attività nella sua città era stata costante: Sabadell era uno dei maggiori centri dell’industria tessile catalana, nota per l’avversione a Franco durante la dittatura e in seguito centro propulsore dell’indipendentismo di sinistra. Proprio a Sabadell, nel 2003, quando già è nel Barça B, Oleguer viene arrestato e poi rilasciato insieme ad altri esponenti della sinistra locale per aggressione alla polizia durante una manifestazione (un poliziotto chiederà un risarcimento di 450 euro). Inoltre aveva fatto parte della redazione della rivista locale autogestita Ordint la trama, che si occupava di tematiche socio-culturali. Sarà Camí a Itaca a dare a Oleguer la fama di calciatore di sinistra, come ha scritto nel bel libro Futbolistas de izquierdas il giornalista spagnolo Quique Peinado, in cui insieme alle sue vicende vengono raccontate le prese di posizione, fra gli altri, di del Bosque, Socrates e Lucarelli. E allora era una caratterizzazione non per forza positiva. Non certo e non solo per l’indipendentismo - in Catalogna sono abituati a giocatori schierati apertamente in favore dell’indipendenza catalana, con Guardiola, Xavi e Piqué come ultimi esempi illustri. Quello di Oleguer, infatti, non è semplicemente un libro a favore dell’indipendenza della Catalogna, anzi nelle pagine di Camí a Itaca i riferimenti espliciti al separatismo sono rari. Vengono affrontate tematiche diverse: il ricordo di una sua amica anoressica, durante l’adolescenza; il turismo di massa che aveva trasformato il volto di Barcellona; la scomparsa della Sabadell industriale all’indomani della crisi del tessile; la memoria del franchismo e della transizione democratica. Come detto, però, non tutti apprezzavano questo lato di Oleguer, anche nel Barcellona. In rete circola un video del gruppo comico “Crackovia” in cui alcuni giocatori del Barcellona – si riconosce Puyol dalla parrucca con i riccioli castani che gli scendono sulle spalle, oltre a un Messi dal fisico decisamente meno atletico – trovano un libro nell’armadietto di Oleguer. Lo guardano, senza capire che cosa sia, all’inizio spaventati: chiamano l’allenatore per farsi spiegare che tipo di oggetto sia. Alla risposta dell’allenatore è l’attore che impersona Puyol a parlare: «È come un DVD, no, mister?». Il video è forse eccessivamente semplicistico, ma ha il merito di mettere in luce la difficoltà del mondo del calcio ad accettare un personaggio del genere. Quando Oleguer andava a giocare a Siviglia, contro il Betis, ad esempio, lo speaker dello stadio storpiava il suo nome in “Olegario”, contraendolo con la parola “proletario”, anche per prendere in giro la distanza fra le sue idee e lo stipendio ricevuto. Eppure il suo stile di vita, anche quando giocava titolare al Barça, non era cambiato e sembrava molto simile a quello di un normale coetaneo. Anche dopo aver vinto la sua prima Liga, Oleguer ha continuato a vivere a Sabadell dividendo l’appartamento con due amici (fra cui Roc Casagran) come un ventenne qualsiasi, organizzando le sue giornate fra i corsi all’università e gli allenamenti, che raggiungeva in treno. La prima presentazione venne organizzata in un centro sociale di Barcellona, uno squat occupato in cui oltre che di calcio si parlò dei problemi abitativi della capitale catalana e del lascito della mentalità franchista. D’altronde questo era uno degli obiettivi del libro, anche secondo il coautore Roc Casagran: avvicinare, attraverso la figura di Oleguer, i giovani a tematiche e scrittori meno conosciuti. Nel testo troviamo una serie di citazioni che potrebbero stupire in un calciatore – ma in generale in un ragazzo di poco più di vent’anni: autori catalani come Joan Brossa e Salvador Espriu, ma anche scrittori e poeti come Kavafis, Garcia Lorca, Calderon de la Barca, Manuel Vazquez Montalbán o Rafael Alberti. Il mondo dei social era ancora agli inizi nel 2006, dunque le polemiche per la presentazione furono meno accese di quanto accadrebbe oggi, ma tanto bastò per stigmatizzarlo nell’ambiente. Il calciatore in molti forum online dell’epoca gestiti da tifosi venne definito come un «okupa milionario», mentre lo scrittore valenziano di lingua catalana Ferran Torres, che partecipò alla presentazione del libro, rinfocolò le polemiche fra Barça e Real Madrid, dicendo che «mai un calciatore del Real Madrid avrebbe potuto scrivere un libro del genere. Per alcuni è un libro molto scandaloso. Per noi è normale». Il terzino non usò mai il mestiere di calciatore per promuovere il libro: nelle interviste non cita mai aneddoti, non parla dei suoi compagni più famosi, si limita a raccontare l’amicizia con Roc Casagran, a spiegare il senso delle citazioni proposte, a ribadire alcuni concetti chiave. Il 29 maggio del 2006, dodici giorni dopo la finale di Champions, il canale online vilaweb tv intervista Oleguer, bicampeone della Liga e fresco campione d’Europa. Mancano pochi giorni al Mondiale, l’anno calcistico è stato intenso e non è ancora finito, la Spagna vive la seconda parte del primo mandato del socialista Zapatero e sta entrando nell’epoca dorata degli sport di squadra e individuali (dal tennis al basket passando per la pallamano), eppure le prime domande fatte a Oleguer sono «Finirà mai il capitalismo?», e poi «Può esistere democrazia senza capitalismo?». Nessuna domanda dell’intervista riguarderà il calcio. In quel momento l’Oleguer calciatore ha forse già dato il meglio di sé, pur continuando a giocare nel Barça per altri due anni. L’Oleguer intellettuale e politico, invece, continua a seguire un percorso inusuale. Nel 2007 pubblica sul giornale basco Berria (letteralmente “Nuova”) un articolo molto critico nei confronti del sistema giudiziario spagnolo, prendendo come esempio Iñaki da Juana Chaos, militante del gruppo terroristico basco ETA accusato di venticinque omicidi e condannato a diversi anni di carcere. In quel periodo il suo sciopero della fame e la successiva scarcerazione avevano generato tensioni fra la coalizione di Zapatero e l’opposizione. Oleguer si schiera apertamente per la scarcerazione immediata di Iñaki, creando polemiche con i parenti delle vittime, tanto da far intervenire perfino il presidente del Barcellona Joan Laporta per affermare che secondo lui il giocatore «aveva fatto un errore». Salva Ballesta, attaccante allora al Malaga di mai celate simpatie destrorse e franchiste, commentò con poche parole le posizioni di Oleguer: «Rispetto di più una cacca di cane».

L’articolo gli creò anche problemi con le sponsorizzazioni: Kelme, la marca di Alicante che aveva in carico i suoi scarpini, si ritirò e vinse la successiva causa intentata dal giocatore. Si propose allora la catalana Munich, ma finalmente fu Diadora a sponsorizzarlo, con Oleguer che diede l’intera somma del contratto firmato in beneficenza. L’impegno politico di Oleguer continua naturalmente anche dopo la conclusione della sua carriera nel mondo del calcio, arrivata nel 2011 dopo l’esperienza all’Ajax. Nel 2012 si candida per Crida per Sabadell, una formazione politica della sua città vicina alla CUP (Candidatura d’Unitat Popular), partito della sinistra indipendentista catalana, anticapitalista, ecologista e femminista. Nella presentazione della sua candidatura il passato recente da calciatore non viene mai menzionato, né gli vengono poste domande sul Barça o sullo sport. Il suo è un profilo da militante coerente, che spiega di aver scelto Crida per Sabadell per «spostare la politica dal parlamento alla strada». D’altra parte, la sua attività politica è iniziata prima di essere calciatore ed è continuata dopo la fine dell’attività agonistica. Anche adesso, che è solo un impiegato di un’azienda che si occupa di energie rinnovabili. In questo senso, non è neanche esatto dire che sia stato un calciatore impegnato politicamente. Oleguer, più che altro, è un uomo impegnato politicamente che per qualche anno ha fatto il calciatore professionista.

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