
È nato a Leningrado, in URSS, quando si chiamava Leningrado e quando c'era l'URSS. È stato nazionale sovietico, poi ucraino, poi russo. Nell'estate 1994 è stato il capocannoniere del Mondiale statunitense, a pari merito con Hristo Stoichkov. Lui: non Romario, Baggio, Klinsmann. No. Oleg Salenko.
Non era certo una stella. Per la maggior parte, chi seguiva la Coppa del Mondo non l'aveva mai sentito nominare. I bookmakers quotavano 100 a 1 la sua Scarpa d'Oro. Certo, i riflettori puntati Salenko ce li aveva, come tutta la nazionale russa: era la prima volta di un Mondiale senza l'URSS. Un Mondiale, poi, che si giocava negli Stati Uniti.
La sua storia è sorprendentemente simile a quella di un altro eroe per caso dei Mondiali, İlhan Mansız. Anche lui gioca solo una manciata di partite in nazionale, prima dell'estate di gloria. Anche lui avrà presto grossi problemi fisici, così che anche la sua carriera finisca presto e in un penoso strascico, a trentun anni. Anche lui si rivolgerà a un altro sport e a livelli professionistici.
In realtà Salenko aveva un passato tutt'altro che anonimo. L'esordio a sedici anni nello Zenit, il passaggio alla blasonata Dinamo Kiev. Un trasferimento che rappresentò una svolta nel calcio sovietico: fu il primo caso in cui ufficialmente un giocatore venne acquistato in cambio di denaro (36mila rubli).
Al Mondiale U20 del 1989, che si giocò in Arabia Saudita, Salenko si distinse con 5 gol in 4 partite. Non bastarono all'URSS per andare oltre ai Quarti, ma bastarono a lui per vincere la Scarpa d'Oro come miglior realizzatore del torneo.
Nel 1990 aveva poi vinto un Campionato sovietico con la Dinamo Kiev di Lobanovskyi (al quale subentrò poi Puzach). A soli diciannove anni, nonostante la concorrenza di una leggenda come Oleh Protasov, Salenko aveva trovato molto spazio in squadra. In quegli stessi mesi, la Dinamo aveva vinto anche la Coppa sovietica e lui aveva fatto una tripletta in finale.
L'impressione di Salenko, a posteriori, è che meritasse di essere convocato già ai Mondiali 1990. Il Ct sovietico era lo stesso Lobanovskyi che lo allenava nel club. Eppure la chiamata non arrivò. Salenko ha spiegato che il “Colonnello” ammise con lui, tempo dopo, l'errore.
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A Logroño, insieme al compagno José Ignacio.
Nasce il 25 ottobre 1969. L'URSS è guidata da Brežnev e da poco ha spento la primavera di Praga. Nasce da padre ucraino e madre russa, e continuerà a definirsi “sovietico” anche quando il mondo sovietico non esisterà più. Alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, nella confusione, giocherà una gara con la maglia della nazionale ucraina (la prima nella storia del Paese, nell'aprile '92), prima di scegliere quella russa.
Non si può dire che Salenko abbia un carattere facile. Da giovanissimo subì due incriminazioni per rissa, e la seconda volta per essersi battuto col figlio di un alto ufficiale del KGB. In caso gli chiedano se sia una persona litigiosa, lui preferisce parlare di forza e ambizioni di leadership. Comunque, anche da giovanissimo, era abbastanza talentuoso da far dimenticare le spigolosità.
A sedici anni, torna a Leningrado dopo una gara in Olanda con le giovanili. In aeroporto ci sono i genitori e la fidanzata a prenderlo. L'aereo atterra ma lui viene fermato e messo su un altro aereo, che è già in ritardo per averlo aspettato. È un normale volo di linea, diretto a Mosca. Sopra c'è la prima squadra dello Zenit che va in trasferta a casa della Torpedo. Poche ore dopo, Oleg Salenko esordisce nel Campionato sovietico.
La stagione che precede i Mondiali è la prima, per lui, fuori dai confini ex sovietici. La trascorre al Logroñés, nella cittadina che trae il nome da un guado, attraversata dall'Ebro e dai pellegrini del Cammino di Santiago. In Primera División spagnola, la squadra si salva dalla retrocessione e lui dà un contributo fondamentale: segna 16 reti, le stesse in campionato di Bebeto, Mijatović e Stoichkov. È il suo miglior risultato realizzativo fino a quel punto. Non riuscirà più a ripetersi.
La Russia a USA '94 è in un girone di ferro. Ci sono Brasile (poi campione del torneo), Svezia (poi terza classificata, già semifinalista agli Europei 1992) e Camerun (sorpresa del Mondiale precedente).
Salenko viene convocato, perché ha fatto bene in quella stagione e perché il Ct è Pavel Sadyrin, che l'ha allenato giovanissimo allo Zenit. Viene convocato, ma ha 6 presenze in nazionale e sembra soprattutto un attaccante di scorta.
Al debutto, contro il Brasile, entra solo nel secondo tempo. La Russia perde 2-0. Contro la Svezia parte titolare e ci mette poco a segnare: calcio di rigore, Salenko batte Ravelli. È il quarto minuto di gioco, per lui è il primo gol in nazionale. Gli svedesi poi rimontano e vincono 3-1.
Nell'ultima del girone bisognerà vincere con parecchi gol di scarto, per sperare di accedere agli Ottavi. Nella sua camera d'albergo, la notte prima di Russia-Camerun, Salenko sogna di fare molti gol. “A volte si hanno premonizioni del genere”.
Il 28 giugno 1994 allo Stanford Stadium di Palo Alto, California, va in scena l'ora e mezza che segna la vita di Oleg Salenko. All'intervallo i russi sono in vantaggio 3-0, lui ha segnato un rigore e due gol su azione. Nella ripresa il Camerun accorcia, con Roger Milla che è entrato da un minuto. A 42 anni, l'eroe di Italia '90 si prende il record di più anziano marcatore della storia dei Mondiali. Salenko segna un quarto gol. E poi un altro, il quinto personale: nessuno ci era mai riuscito prima: al minuto 75, così, sul maxischermo compare la scritta: “World Cup Record!”, ma Salenko non la nota.
Il sesto gol lo segna Radchenko, il suo compagno di stanza, ed è lui a servirgli l'assist. La gara finisce 6-1. La Russia è comunque eliminata: Brasile e Svezia pareggiano, e quella goleada non serve neanche a qualificarsi come migliore terza.
Subito dopo, mentre tutti parlano del suo record, Salenko sta cercando di fare pipì. Sono lui e Radchenko, nelle sale adibite ai controlli antidoping: il caldo dell'estate californiana li ha talmente disidratati che hanno bisogno di un'ora e mezza per consegnare un campione d'urina.

Salenko e Milla, uomini dei record a USA 1994.
Attribuirà quell'impresa personale al gioco emotivo del Camerun (che contrappone al calcio lucido degli italiani), e insomma più che merito suo sarebbe stato demerito di avversari troppo sbilanciati.
Allo stesso modo, attribuirà fuori da sé le responsabilità dell'esclusione dalla nazionale. Prima al nuovo selezionatore russo, Oleg Romantsev, che l'avrebbe messo da parte perché invidioso della sua reputazione. Poi se la prenderà con gli infortuni, che gli impedirono di rientrare sotto la guida del Ct successivo, Boris Ignatyev.
È vero, il suo titolo di capocannoniere conta ben 2 rigori su 6 reti totali. Ma bisogna anche dire che Salenko i rigori sapeva tirarli davvero bene: era il migliore in circolazione, a livello tecnico, secondo Predrag Mijatović. «Non mi sentivo come se stessi facendo la storia. Quando giochi, pensi sempre che ci siano cose migliori dietro l'angolo».
Dopo, ci sono i riflettori improvvisi, le interviste, le aspettative. Il titolo è condiviso con Stoichkov, è vero, ma il campione bulgaro ha giocato più partite, è arrivato alla Finale per il terzo posto. E c'è anche la disillusione, dopo, quasi subito. Dietro l'angolo non c'è niente di quanto Salenko sperasse. Il trampolino di lancio diventa la vetta, da cui si può solo scendere.

Il momento del quinto gol.
Nell'estate 1994 Salenko ha ventiquattro anni e sembra in piedi su un trampolino. Lascia il Logroñés e va a Valencia, dove trova uno spogliatoio di alto livello: ci sono Zubizarreta, Mijatović, Penev. E l'allenatore, Parreira, ha appena vinto il Mondiale col Brasile da Ct.
La stagione di Salenko però è più che deludente: prestazioni grige, scarsa fiducia. Segna appena 7 gol in 25 presenze (ma 1.656 minuti giocati). Nonostante questo, solo i limiti linguistici con lo spagnolo gli impediscono di diventare il leader dello spogliatoio, secondo lui stesso.
Nell'estate '95 lascia la Spagna, per raggiungere gli ambiziosi Rangers di Glasgow. Pensa che la squadra abbia qualche chance di vincere la Champions League. Il club lo paga 2,5 milioni di sterline. Contemporaneamente arriva Paul Gascoigne dalla Lazio, che gli farà alcuni scherzi dei suoi, come riempirlo di schiuma con un estintore.
Salenko resterà in Scozia appena sei mesi. La ricorderà come un'esperienza noiosa, dove bisognava giocare quattro volte contro ogni squadra del campionato. In verità è lui a deludere, di nuovo.
Si trasferisce così in Turchia. E l'esperienza all'İstanbulspor è il suo canto del cigno. La squadra è una neopromossa, lui ha un ruolo di primo piano. Salenko si ambienta subito, e convince: in sei mesi colleziona 11 gol in 15 presenze. Dietro l'angolo, però, anche stavolta non c'è niente di buono.
All'inizio della stagione che segue, un infortunio annuncia la fine. Non la realizza: per quello bisognerà aspettare qualche anno. La carriera di Salenko comunque può considerarsi esaurita lì. Due operazioni in Spagna, una in Germania, consulti medici negli USA. Si rivolge anche a un anziano mistico con doti paranormali, scovato dalla moglie nella regione di Leningrado.
È costretto a lunghi mesi di inattività. Poi faticosamente prova a rientrare: il Córdoba in Spagna, il Pogon di Stettino in Polonia. Ma non avrà più le condizioni fisiche per fare il calciatore. Tra l'autunno 1996 e l'estate 2001, quando si ritira ufficialmente, Salenko non giocherà neanche dieci partite. Dirà di essersi accorto d'aver ottenuto un record della Coppa del Mondo solo dopo aver smesso di giocare.
Il primo passo del dopo è dedicarsi al beach soccer. Lo fa sul serio, a livello professionistico. Arriva a diventare il tecnico dell'Ucraina, una nazionale che pure non ha una grande tradizione di calcio in spiaggia. E comunque nel Mondiale 2003 di categoria la selezione ucraina riesce a battere gli Stati Uniti, prima di essere sconfitta da Brasile e Spagna.
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Salenko (a sinistra) oggi, con la Scarpa d'Oro del Mondiale 1994.
Con Stoichkov hanno continuato a scherzare, anni dopo il Mondiale, su quel titolo condiviso: “Mi diceva: Dovresti essermi grato per non aver segnato un gol in più. Allora rispondevo: Dovresti essermi grato tu, per non aver segnato un gol in più contro il Camerun!”.
In un'intervista del 2014 gli chiesero quanto spesso gli venissero ricordati, dalle persone, quei cinque gol. Salenko rispose: “Ogni giorno”. Nel 2010, afflitto da qualche debito “a causa della crisi”, annuncia di esser pronto ad accettare un'offerta di mezzo milione di dollari dagli Emirati Arabi per vendere la sua Scarpa d'Oro. Il simbolo più prezioso della sua carriera. Gli sceicchi gli promettono di prendersene cura, esponendola in un museo, ma l'accordo non si conclude.
Oleg Salenko è oggi nello staff della Federcalcio ucraina. Negli ultimi anni ha fatto l'opinionista sportivo per la tv ucraina, ha aperto un centro benessere a Kiev e amministrato un pezzo di terra nelle campagne vicine. Non si considera un uomo d'affari di successo. Gli piace andare a giocare a scacchi allo Shevchenko Park. E al tempo stesso, non è certo un vecchio signore ripiegato sul passato. Corre su auto sportive, si circonda di grossi cani, salta gli ostacoli sul suo cavallo, e non esclude l'idea di sposarsi per la terza volta.
Lo Stanford Stadium, dove si giocò Russia-Camerun, è stato demolito e poi ricostruito tra 2005 e 2006. La Scarpa d'Oro, Salenko ha deciso di darla all'Olimpiyskiy Stadium di Kiev, dov'è esposta in una sala del ristorante.