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Foto Getty Images
Fondamentali Francesco Lisanti 15 settembre 2017 5'

Good old Gasperini

Il sistema di gioco dell’Atalanta ha distrutto l’Everton.

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Alla vigilia della gara, Ronnie Koeman aveva avvertito la stampa inglese: «L’esperienza mi insegna che non conta il nome della squadra, tutte le squadre italiane sono difficili da battere». Si aspettava di rispondere in fretta alla brutta sconfitta subita in casa contro il Tottenham (0-3) e aveva poi aggiunto, ironia della sorte, di essere rimasto particolarmente deluso in quell’occasione dalla debole reazione mostrata dopo il terzo gol, subito troppo presto, pochi secondi dopo l’inizio della ripresa.

 

L’Atalanta ci ha messo anche meno a segnare tre gol all’Everton, chiudendo di fatto la partita al minuto 44, con un inserimento centrale di Cristante che ha premiato una grande azione di Petagna. Anche stavolta, la reazione dei Toffees non è stata neanche abbozzata, ma la cosa veramente sorprendente è che, nonostante il rispetto dimostrato in conferenza, l’allenatore olandese non aveva studiato soluzioni per contrastare le marcature di Gasperini, né ha saputo trovarne in corso d’opera.

 

Nel suo tradizionale 4-2-3-1 ha schierato una mediana statica, composta da Schneiderlin e Besic con evidenti difficoltà a muoversi verso le fasce per contrastare i flussi di gioco atalantini. Sulla trequarti Rooney, Sigurdsson e Vlasic (fun fact: è il fratello di Blanka) e in attacco Calvert-Lewin, classe ‘97, che ha mostrato pochissima consapevolezza degli spazi da aggredire per rendersi pericoloso, che pure c’erano, come spesso accade tra le marcature a uomo di Gasperini.

 

In sostanza, Koeman ha fatto diventare la partita una specie di involontario omaggio al gioco di Gasperini. Un omaggio al sistema di pressing della sua Atalanta. E menomale che c’è qualcuno disposto a sacrificarsi per dare al Gasp quel che è di Gasp.

 

L’Atalanta ha interpretato la partita nel suo solito modo: la palla che non transita mai dal centro, a costo di ricorrere a complicati cambi di gioco, la continua formazione di triangoli e rombi sulle fasce che coinvolgono l’esterno, il centrocampista, il trequartista e persino Petagna, con i movimenti in perfetta sincronia che creano continuamente linee di passaggio in diagonale.

 

Quando la catena laterale si trova in inferiorità numerica, in questo caso quella costruita da Hateboer, De Roon e Cristante, si trova in inferiorità, si va subito dalla parte opposta. Gómez sa già dove farsi trovare, mentre Holgate rimane fermo; con perfetto tempismo Masiello parte a razzo e arriva al tiro da pochi passi (miracolo di Stekelenburg).

 

Probabilmente Koeman si aspettava di controllare il ritmo della partita, risalire il campo facendo leva sulla superiorità tecnica e numerica del centrocampo, e bucare l’aggressività delle marcature atalantine con gli scambi ravvicinati.

 

Perché questo accadesse, però, oltre a un paio di riferimenti sugli spazi da occupare e i giocatori da servire, avrebbe dovuto trasmettere tutt’altro tipo di atteggiamento alla squadra, rivelatasi fin dai primi minuti impaziente di verticalizzare, anche quando il destinatario del passaggio era già coperto dal marcatore: il miglior regalo possibile per premiare l’ossessiva pressione in avanti imposta da Gasperini.

 

I primi venti minuti dell’Everton hanno mostrato una squadra insicura e imbranata al momento di prendere decisioni con il pallone. I palloni pigrissimi di Schneiderlin, deboli e verticali, erano troppo invitanti per la pressione atalantina. In quest’occasione ,De Roon terrorizza Sigurdsson e l’Everton perde 20 metri.

 

Altri brevi e significativi esempi: Besic che si abbassa tra i centrali, crea la superiorità numerica, e lancia lungo tra le braccia di Berisha dopo un paio di secondi spesi a cercare compagni a cui servire il pallone; Keane che buca con il dribbling la marcatura di Gomez, ha tantissimo spazio per avanzare o servire Rooney sul mezzo spazio sinistro, invece si ferma e allarga sul terzino destro congelando di fatto l’azione.

 

O ancora: salide lavolpiane che non lo erano, causate ancora dall’incertezza decisionale riflessa negli occhi spaventati di Besic. Nel frattempo, per il principio dei vasi comunicanti, l’Atalanta alzava il suo baricentro acquisendo quella sicurezza che era tutto ciò di cui aveva bisogno per prendersi la partita. Non a caso, sulla rimessa laterale che seguiva, l’Atalanta costruiva il 2-0.

 

Le assegnazioni di Gasperini in fase di non possesso sono apparse subito molto chiare. Gómez e Petagna a schermare lo spazio tra i difensori centrali e il resto del campo, Cristante a inseguire il mediano incaricato di abbassarsi (talvolta Besic, talvolta Schneiderlin), Freuler sul mediano rimasto scoperto, De Roon incaricato di togliere il respiro e la voglia di vivere a Sigurdsson.

 

Ai terzini, Baines e Holgate, era lasciato leggermente più spazio di manovra, ma non appena il pallone si muoveva nella loro direzione tutta l’Atalanta andava ad accorciare sull’esterno per isolare il resto della squadra, approfittando della passività dei Toffees. Fondamentali si sono rivelate le uscite aggressive dei difensori, quelle di Masiello su Vlasic e quelle di Toloi su Rooney: dopo un altro pallone pigrissimo di Schneiderlin, l’Everton perdeva ogni riferimento e con tre passaggi l’Atalanta sfiorava il momentaneo raddoppio.

 

Gasperini ha scommesso sui punti forti della sua squadra e ha vinto facilmente, perché i movimenti dei trequartisti dell’Everton alle spalle della prima linea di pressione atalantina sono stati pressoché inesistenti: a fine primo tempo Sigurdsson, Vlasic e Calvert-Lewin erano i giocatori di movimento con meno tocchi e passaggi tentati (11 per Sigurdsson, solo Berisha ne aveva tentati meno). Contro una squadra così passiva, e incapace di ricavare qualcosa anche solo dai lanci lunghi, il baricentro dell’Atalanta poteva idealmente alzarsi all’infinito.

 

Wayne Rooney è stato l’unico fattore che ha tenuto in piedi per i primi minuti una partita sostanzialmente a senso unico dall’inizio alla fine, l’unico giocatore dell’Everton vagamente a suo agio tra le asfissianti maglie della marcatura atalantina (per quanto sfiancato dai compiti di copertura imposti dal ruolo di ala sinistra, e poi sostituito al minuto 66). In una delle più pericolose occasioni costruite dai Toffees, Rooney era costretto ad abbassarsi moltissimo, resistere all’aggressività di Toloi, prendersi un attimo per respirare e poi fare tutto da solo.

 

«È stata una grande lezione. Devo domandarmi dove ho sbagliato. È facile criticare i giocatori, la squadra, gli errori individuali, ma la squadra non era preparata bene per quello che si è visto nel primo tempo». Nel post-partita, a dispetto del momento complicatissimo della stagione, Ronnie Koeman si è lanciato in una lucida auto-analisi, riconoscendo i suoi errori e i meriti dell’avversario.

 

Ma che non fosse preparatissimo ad affrontare l’Atalanta lo si poteva intuire anche dalle precedenti dichiarazioni. È vero che tutte le squadre italiane sono difficili da battere, ed è stato molto piacevole riscoprirlo in questo giovedì di Europa League, dopo le difficoltà della Champions. È però altrettanto vero che, come ha dimenticato di aggiungere Koeman, ogni squadra italiana è difficile da battere a suo modo.

 

Ritornato in Europa League a distanza di 8 anni, dopo averci riportato una squadra che mancava da 26, Gasperini ha vinto decisamente alla sua maniera. Che non è neanche particolarmente “italiana” nei principi di fondo, ma è condivisa da tutta la squadra, e applicata a un’intensità insostenibile anche per una squadra inglese.

 

Per usare, ancora, le parole di Koeman: oltre che una grande vittoria, è stata una grande lezione.

 

 

Tags : europa league 2017/18fc atalantafc evertongian piero gasperinironald koeman

Francesco Lisanti è nato a Matera nel 1994, a Torino si è laureato ingegnere, a Milano ha iniziato a lavorare. Deve tutto al blog di Wannabe Radio. Al momento si divide tra la passione per il calcio e la pianificazione della produzione.

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