Nata a Triste nel 1989, alla fine dello scorso anno Sara Gama è stata inserita dal Guardian nella lista delle 100 migliori calciatrici del mondo. Oggi è una delle atlete italiane più seguite e riconosciute dal pubblico anche per le sue apparizioni con la Nazionale Italiana, una maglia che ha indossato per 118 volte. Era lei che, nel ruolo di capitana, guidava la difesa delle azzurre durante il Mondiale del 2019, il momento di svolta dell’intero movimento.
Dopo aver militato in seria A con Tavagnacco, Chiasiellis e Brescia, nel 2013 Gama si è trasferita al Paris Saint Germain in Francia. Quella è stata la prima vera esperienza nel calcio internazionale, che l’ha portata a confrontarsi con le migliori calciatrici al mondo e le ha permesso di potersi definire “una professionista”, a differenza di quanto succedeva in Italia, dove le calciatrici erano considerate dilettanti. Al suo ritorno in Italia, dopo altri due anni al Brescia, Sara Gama passa alla neonata Juventus Woman, diventandone la prima capitana. Con la maglia bianconera ha vinto tre Scudetti (a cui si aggiunge quello vinto con il Brescia), una Coppa Italia e due Supercoppe. Gama è stata uno dei volti più riconoscibili della crescita del calcio femminile, la cui situazione oggi è di gran lunga migliore in termini di contratti e che, dalla stagione 2022/23, vedrà le calciatrici diventare finalmente professioniste dopo anni di scioperi e richieste alla Federazione.
Presenting #JuventusWomen Captain: @SaraGama_ITA! 👏👏👏 #FinoAllaFine ⚪️⚫️ pic.twitter.com/70Y32dyoDl
— Juventus FC Women (@JuventusFCWomen) August 21, 2017
L’ho intervistata prima di una seduta di allenamento a Coverciano, dove la calciatrice si trovava in raduno con la Nazionale. Pochi giorni dopo avrebbero dovuto affrontare Israele in una sfida decisiva per la qualificazione diretta allo Women’s EURO 2022. Per un incastro di risultati l’Italia avrebbe dovuto vincere con almeno due gol di scarto per superare la Svizzera nella classifica delle migliori seconde. Un match che le Azzurre hanno gestito con facilità, sconfiggendo Israele con un netto 12-0. Una vittoria che ha permesso alla squadra di Milena Bertolini di qualificarsi direttamente all’Europeo come migliore seconda del girone.
Come si prepara una partita in cui l’obiettivo è vincere con almeno due gol di scarto?
Agli ultimi Mondiali in Francia sette delle prime otto squadre erano europee. Da cosa dipende l’alto profilo delle Nazionali in Europa?
I Mondiali in Francia hanno segnato un cambiamento netto. Sembra quasi che il calcio femminile sia improvvisamente nato nell’estate di due anni fa. Tu che hai vissuto questo risultato storico da dentro ci puoi raccontare cosa è successo fra Canada 2015 e Francia 2019?
E in questo panorama qual è il ruolo svolto della Nazionale?
LiveMedia/Lisa Guglielmi
Milena Bertolini ha affermato che per poter vincere un Mondiale bisognerebbe arrivare a centomila tesserate. I dati dichiarati ad inizio febbraio dalla FIGC parlano di 33000 tesserate circa. Come si possono raggiungere le altre 67000 che mancano all’appello?
Uno dei risultati più felici del Mondiale francese è che dalla stagione 2022 il calcio femminile verrà considerato come uno sport professionistico. Questo è il primo passo di un processo che andrebbe allargato a tutte le discipline, per togliere lo sport femminile dallo status di diletto personale e portarlo a quello di lavoro retribuito. Perché secondo te non siamo ancora davvero riusciti a superare la Legge 91/1981?
Fra l’altro c’è anche una grossa discrasia per quanto riguarda gli ingaggi nel mondo dello sport femminile. È vero che esiste un tetto annuo per giocatrice fissato a circa trentaquattromila euro?
La tua elezione a vice-presidente dell’AIC è storica e molti l’hanno paragonata alla candidatura di Antonella Bellutti alla Presidenza del CONI. Perché è importante che un’atleta raggiunga i ruoli direttivi nello sport? Cosa differenzia la gestione di una sportiva rispetto a quella di una manager e/o politica?
Foto Vincenzo Livieri – LaPresse
C’è un dialogo di questo tipo con altre calciatrici europee?
Ad oggi in Italia non ci sono molte calciatrici italiane che come te hanno avuto due esperienze importanti all’estero. In che modo è cambiato il tuo profilo di giocatrice e cosa hai poi riportato in Italia dall’esperienza americana e francese?
In Francia poi ho fatto la vera esperienza di due anni all’estero. Sono andata in un club professionistico di grandissimo livello che in quel momento stava sviluppando fortemente il calcio femminile e aveva grandi possibilità. Era il 2013 e io arrivavo dall’Italia, dove non c’era ancora il livello di oggi. È un’esperienza che mi ha lasciato molto e mi ha fatta crescere, anche se dal punto di vista calcistico mi sono infortunata e quindi non sono riuscita a esprimermi come avrei voluto in campo. Nonostante l’infortunio, però, giocare in una squadra forte come il PSG mi ha permesso di crescere anche da un punto di vista fisico. Lì mi allenavo ad alti ritmi e ho capito come bisogna lavorare per diventare una calciatrice importante.
Negli anni sei passata dal ruolo di terzina a quello di difensora centrale. Qual è stata la motivazione che ti ha portata in questo ruolo?
Sembri una di quelle atlete che spinge sempre per migliorarsi, anche oggi. Secondo te c’è un aspetto in cui puoi ancora migliorare?
In questi anni sono cambiate molte cose per una bambina che da grande vuole fare la calciatrice. Come vedi il futuro di questa Nazionale? Parlo delle nuove leve che adesso militano nelle squadre giovanili e che di fatto partono da una situazione privilegiata in termini di visibilità e possibilità rispetto a te e alle tue compagne.
A partire dalla base raggiunta quali sono gli altri obbiettivi che loro dovrebbero perseguire?