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OBJ è tornato?
09 ott 2020
09 ott 2020
Dopo anni di difficoltà pare aver ritrovato sé stesso.
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22 min
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Qualcosa stava bollendo in pentola. I più attenti se n’erano resi conto sabato sera, quando Odell Beckham Jr ha rispolverato il suo account Twitter per pubblicare una serie di messaggi tra il motivato e l’invasato («La fede può muovere le montagne», «Dio sa… Giuro che sa», «Sono stato destinato a qualcosa in più… Non mi fermerò»), culminati in una sorta di avvertimento: «Sono in missione». Beh, se la missione era disintegrare la difesa dei Cowboys, allora Odell l’ha compiuta alla grande.

Dopo le 153 yard e 3 touchdown di domenica sera possiamo dire che OBJ è tornato. Non che il wide receiver dei Cleveland Browns si fosse mai allontanato dal campo di gioco. Ad essere sparito era l’alone di spettacolarità che lo ha sempre circondato. Ultimamente Odell aveva smarrito il suo swag, il suo play making e la sua capacità paranormale di calamitare attenzioni. In sostanza, tutto quello che lo aveva reso OBJ, il giocatore di football americano più conosciuto e controverso al mondo. Per la prima volta da quando è stato parcheggiato a Cleveland, domenica OBJ è sembrato davvero felice di giocare a football. Questa prestazione vintage arriva in un momento particolare per il numero 13 dei Browns: solo un paio di settimane fa le cose andavano molto peggio, al punto che si sussurrava di problemi con lo spogliatoio e persino della possibilità di una trade. Del resto da quando era arrivato a Cleveland Odell era sembrato distaccato, quasi apatico, la copia sbiadita dello spettacolare entertainer dei tempi di New York, quasi che la maglia marrone dei Browns gli stesse scomoda come un sacco di iuta; all’ex principe di Manhattan la poco glamour Cleveland pareva andare stretta.

Ultimamente Odell sembrava una star di Broadway che canta svogliata in un teatro di provincia. Tra una stonata e l’altra aveva persino smesso di esultare dopo i rari touchdown segnati. Dopo il clamoroso touchdown con cui ha chiuso la partita invece è tornato ad esultare. Ha provato un trick da Joga Bonito e poi ha calciato di destro il pallone, più con gioia che con rabbia. Tornato in panchina ha fatto anche “bye bye” con la mano ai tifosi di Dallas. Per la prima volta da parecchio tempo, domenica i tifosi di Cleveland hanno assistito a un assolo del vero Odell. Questo monster game potrebbe aprire un nuovo capitolo di un percorso professionale che resta uno dei più affascinanti e ingarbugliati del panorama sportivo contemporaneo. Un percorso fatto di salti altissimi e cadute fragorose, alcune talmente forti da far dubitare di potersi rialzare. Per ripercorrerlo non si può che partire da un momento cruciale, il giorno in cui il mondo ha scoperto OBJ.

The Catch

Per arrivare alla fama, tante leggende NFL hanno dovuto scontrarsi con la diffidenza di chi non credeva in loro, affrontando un percorso lungo e pieno di difficoltà. Tom Brady non è stato scelto fino al sesto giro del suo draft. Fino a 24 anni un hall of famer come Kurt Warner imbustava la spesa al supermercato. Per Odell Beckham Jr le cose sono andate all’opposto. Come una giovane rockstar che azzecca il primo album, OBJ ha impiegato meno di tre mesi a diventare il giocatore più famoso della NFL. La hit che lo ha lanciato è uscita in anteprima il 23 novembre del 2014, suonata davanti agli ottantamila tifosi che assiepavano il Metlife stadium di New York per il rivalry game tra Cowboys e Giants. Al minuto 14.54 del secondo quarto Odell si trova sospeso a mezz’aria, in una posa innaturale, con la schiena inarcata come fosse una fisarmonica e il braccio destro alzato. In quel momento è ancora Odell Beckham Jr, un rookie promettente ma sconosciuto al pubblico mainstream.

Su Twitter, l’hall of famer Chris Carter lo ha appena chiamato Odell Beckum Jr. Quel rookie promettente si è involato a fondo campo per ricevere il pallone lanciato da Eli Manning. La palla non è altissima, Odell potrebbe riceverla facilmente, ma il contatto falloso del cornerback dei Cowboys gli ha impedito di usare la mano sinistra. Odell si contorce fino a trovarsi in una posizione sconsigliata per chi vuole effettuare una ricezione tradizionale. Il punto è che Odell non è un giocatore tradizionale. Sospeso a mezz’aria, estende il braccio destro e con una sola mano riesce miracolosamente a toccare un pallone che sembrava destinato a spegnersi fuori dal campo. Lo tiene solo con i polpastrelli, come fosse una tazza bollente, e nonostante la superficie di contatto minima riesce a non farselo scappare.

Il commentatore di NBC Chris Collinsworth è incredulo, definisce quello che a cui ha appena assistito «il miglior catch che ho mai visto in vita mia». Come lui la pensano milioni utenti Twitter, da LeBron James in giù. Le reazioni a quella ricezione a una mano rompe l’internet: appena toccato terra, Odell è diventato per tutti OBJ, l’acronimo che lo accompagnerà per tutta la vita e sarà per sempre legato a quel one-handed catch fantascentifico. In quel momento e a causa di quel momento nasce il mito di OBJ. Nessuno sbaglierà lo spelling del suo cognome, i guanti che indossava quella sera finiranno esposti in una teca nel museo della Hall of Fame, insieme ad altre reliquie della storia NFL. Quella sera, a New York, il palcoscenico ideale: la maglia storica dei New York Giants, che stavano giocando America’s Game of the week contro America’s team, i Dallas Cowboys. L’autore del catch è bello, carismatico e sembra nato per stare davanti ad una telecamera.

Predestinato

È difficile rovare una singola giocata che ha definito la carriera di un atleta come “The Catch” ha definito OBJ. Tutto quello che è successo dopo - vittorie, sconfitte, scandali, litigi - parte da quel momento. Odell lo sa benissimo, al punto che ha fatto mettere una statuetta di quel catch sopra il radiatore della sua Rolls Royce arancione - e di quel momento ha sempre offerto un’interpretazione escatologica, come se quel giorno fosse scritto nel suo destino. Odell allenava quel tipo di ricezione a una mano dai tempi del liceo, per poco a Louisiana State non glien’era uscita una simile.

Se non era scritto nelle stelle un momento del genere lo era nel suo codice genetico, perché la variabile imprescindibile di un gesto tecnico del genere è il talento fisico. Senza la velocità per correre a fondo campo, l’esplosività per elevarsi in aria nonostante il contatto e senza due mani sproporzionatamente grandi quel catch non sarebbe mai stato possibile. È figlio di Odell Beckham Sr e Heather Van Norman, allora student-athletes a Louisiana State University, un running back e una sprinter di successo, da cui è venuto fuori un virtuosismo della lotteria genetica, che ogni tanto si diverte ad assemblare esseri umani adatti a qualunque sport.

Odell può diventare professionista in qualunque disciplina: il giocatore di football come papà, lo sprinter come mamma, persino il cestista come il suo padrino Shaquille O’Neal, compagno di stanza di Odell Sr ai tempi del college. In realtà, il primo amore sportivo di OBJ è un altro. A quanto si dice, Odell era un fenomeno anche a calcio, idolatrava Ronaldinho e il suo omonimo David e a tredici anni ha anche considerato seriamente di lasciare casa per iscriversi ad un centro di formazione calcistica. Alla fine Odell decide di restare a casa per insistere su basket e football, passando la sua adolescenza a schiacciare, ricevere touchdown e ballare. In tutte e tre le attività c’è una componente ritmica e istintiva che lo definirà anche come professionista: Odell balla come gioca e gioca balla.

Cresce come un ragazzo esuberante - si definirà un giovane selvaggio - ma mai arrogante quando gioca. Quando si rende conto di essere superiore alla concorrenza, si ammorbidisce per non mortificare i suoi avversari. Un aspetto insolito per un atleta di quel livello, soprattutto nel football, la strada che Odell sceglie di perseguire a livello collegiale a LSU, l’Alma Mater di entrambi i genitori. Per lui è un ritorno a casa, visto che diciotto anni prima era letteralmente venuto al mondo nell’ospedale del campus. Da lì il suo percorso porta dritto in NFL, scelto dai Giants con la dodicesima scelta assoluta, ed esplode grazie a quel Sunday Night contro i Cowboys. Dopo “The Catch” Odell dimostra di non essere un “one hit wonder”. Nel corso di una rookie season da consegnare ai posteri mette in fila una serie di riconoscimenti strabilianti, dal premio di offensive rookie of the year all’apparizione al Pro Bowl, l’All Star Game del football. OBJ è un personaggio irresistibile, è irridente, istintivo, spesso strafottente. Durante un Monday Night contro i Dolphins segna un touchdown da 84 yard e lo festeggia imitando la celebre danza di Ray Lewis, che è presente a bordocampo come analista.

Nel giro di sei mesi dal suo esordio OBJ è diventato un entertainer come pochi altri nella storia del football. La gente arriva in anticipo allo stadio solo per vederlo arraffare palloni con una mano, migliaia di ragazzini provano a copiare il suo catch e il suo taglio di capelli. Insomma, Odell gioca come una superstar e vive come una superstar: in off-season, quando non si sta allenando o non è a una sfilata di moda, lo si può trovare a a Montecarlo con Lewis Hamilton, a casa di Drake, in un video di Nicky Minaj e, per non farsi mancare niente, anche sulla copertina dell’edizione 2016 di Madden.

Ovviamente, OBJ non è la prima superstar prodotta dalla NFL, che in passato ha saputo sfornare atleti riconoscibili e ricevitori/rockstar. Eppure, Odell è diverso: il primo giocatore di football diventato icona globale. Di sicuro qualcuno di coloro che stanno leggendo queste righe non è un grande fan di football, ma ha comunque cliccato perché in qualche modo conosceva o aveva sentito parlare di OBJ, lo aveva intravisto su Instagram o lo conosceva da lontano come «quello del catch a una mano». È proprio questa capacità di far presa anche fuori dagli Stati Uniti a separare OBJ. Non esiste un altro giocatore capace di bloccare una via di Monaco perché centinaia di ragazzi tedeschi vogliono una foto con lui. Durante quel viaggio in Germania conosce anche David Alaba, che diventerà un suo grande amico, e palleggia con Xabi Alonso. A dirla tutta Odell sembra essere più a suo agio attorno ai calciatori - qui un video con Cristiano Ronaldo - che attorno ai propri colleghi. Si può anche dire che Odell sembra più un giocatore di calcio (o al massimo di NBA) piuttosto che un atleta NFL, ed è curioso che il giocatore di football più riconoscibile sia anche quello che rappresenta meno l’ethos della lega.

Mosca bianca

C’è un motivo se la NFL produce meno superstar “marketizzabili” rispetto ad altri sport. Un motivo che è prima di tutto estetico. Bardati dietro caschi e paraspalle, i giocatori di football sono difficili da distinguere, soprattutto dall’inquadratura televisiva, sembrano tutti uguali, come fossero marines. Tutto il contrario dei giocatori NBA, che tra tatuaggi, scarpe e acconciature sono colorati e appariscenti come skin di Fortnite.

Per i giocatori di football è sicuramente più difficile spiccare dalla massa. Da un certo punto di vista, è meglio che i giocatori siano indistinguibili, perché l’idea all base del football è che nessuno debba svettare troppo sugli altri, che nell’“ultimate team game” tutti si debbano sacrificare per il successo dei compagni e il singolo ha senso solo finché favorisce il collettivo. In un contesto così spersonalizzante è meglio evitare di autocelebrarsi: quando un quarterback o un running back vincono un premio individuale, di solito regalano orologi o macchine agli uomini di linea, quelli che con il lavoro sporco in trincea hanno reso possibile il loro successo.

Odell di queste cose se n’è spesso fregato. Alcuni suoi atteggiamenti sono a tutti gli effetti un gigantesco dito medio a convenzioni e regole non scritte che un mondo tradizionalista come quello del football custodisce gelosamente. Se il football è una marching band dove tutti devono seguire lo stesso spartito alla perfezione, Odell suona al ritmo di una musica che sente solo lui e improvvisa a costo di stonare. Il cuore del suo brand è proprio quello di spiccare, nel look e nel modo di giocare.

Durante il Pro Bowl 2017, mentre dieci dei migliori giocatori della conference lo aspettavano nella huddle, OBJ interromperà la partita per un minuto abbondante per mettersi a ballare con la mascotte dei Colts. Non solo il suo atteggiamento, ma anche il suo modo di giocare è antitetico al football vecchia scuola. Il catch che lo ha reso famoso lo ha fatto con una mano, che è una cosa che fa drizzare la schiena ai coach più retrogradi: chi segue alla lettera il libro del football pretende che il pallone venga ricevuto con due mani. Insomma, in NFL chi tende a svettare e a godersi troppo il successo non viene visto di buon occhio. Per talento e attitudine, Odell ha svettato più in alto dell’Empire State Building, e in tanti, dentro e soprattutto fuori New York, questo non gliel’hanno mai perdonato.

Anche all’apice della popolarità Odell inizia a farsi nemici. Tanti compagni tollerano a fatica il suo atteggiamento istrionico e capriccioso. A volte OBJ sembra più interessato ai suoi numeri che al record di squadra, e quando Eli Manning non gli scarica addosso abbastanza palloni diventa intrattabile. Peggio ancora va il rapporto con i giocatori avversari, per non parlare di quello con i tifosi, che vivono il suo atteggiamento dissacrante come un oltraggio. È quello, oltre al colore della pelle, a renderlo il giocatore più odiato della NFL, addirittura, secondo una classifica del 2016, uno dei quaranta giocatori più odiati nella storia della NFL.

In tanti iniziano ad accusarlo di essere “soft”, esattamente com’era successo al suo amico Drake. Qualcuno sostiene sia omosessuale. A Odell l’odio dei tifosi inizia ad entrare sotto pelle. Pur dominando in campo, diventa vulnerabile anche al trash talk dei cornerback avversari. Nella partita contro i Carolina Panthers OBJ e il suo avversario Josh Norman iniziano a beccarsi subito. Dopo che Norman sussurra ad Odell parole che lo fanno imbestialire rapidamente, quelle che sembravano classiche schermaglie di gioco degenerano in una rissa senza quartiere. Adun certo punto Odell esagera. Mentre Norman è distratto da una corsa dei Giants, Odell lo carica da dietro e cerca di decapitarlo con un colpo violentissimo alla testa. La NFL lo squalificherà per una giornata. Dal canto loro, i Giants e la famiglia Mara lo supportano e lo sopportano allo stesso tempo, anche perché in quel momento Odell è sì uno dei giocatori più controversi e odiati della lega, ma a tutti gli effetti anche uno dei migliori. La speranza, per la proprietà, è che Odell possa trascinare i Giants a una post-season che manca da ormai cinque anni.

Del resto, i Giants 2016 sono un’ottima squadra, guidata da un’eccellente difesa e da un reparto ricevitori esplosivo, che finisce la stagione con una vittoria convincente a Washington ed è pronta ad affrontare i playoff. Quella che potrebbe essere la postseason della consacrazione per Odell, invece, porterà all’episodio che manderà a rotoli la sua carriera a New York.

La fatal Miami

Dopo la vittoria in Week 17, i Giants hanno una settimana per prepararsi alla trasferta playoff a Green Bay. Se c’è un momento nella carriera di Odell che può competere con The Catch per importanza, sono proprio quei sette giorni. Il martedì successivo, su Instagram inizia a circolare una foto. Ci sono ritratti tra gli altri quattro giocatori dei Giants e il rapper Trey Songz. Su una barca. A Miami. A pochi giorni dalla partita più importante della stagione. In prima linea, con pantaloni neri e Timberland di pelo, Odell Beckham Jr.

Sembra stiano posando per la copertina dell’album rap dell’anno, più che prepararsi per i playoff nella tundra gelata di Lambeau Field. Ovviamente, la stampa di New York su quella foto ci banchetta per tutto il periodo di avvicinamento alla partita, e il bersaglio principale delle critiche è proprio OBJ. Tutti lo aspettano al varco, pronti a farlo a pezzi in caso di sconfitta. La domenica pomeriggio a Green Bay, pronti via e Odell si fa scivolare dalle mani un touchdown fatto e finito con la partita ancora sullo 0-0. È solo uno dei drop clamorosi che finiranno per decidere la partita. I Packers quindi demoliscono i Giants e Odell, che a sua volta demolisce la parete dello spogliatoio di Lambeau per sfogare la frustrazione. A peggiorare la cose, nelle interviste post partita Odell non fa nemmeno una volta uso della parola “I”, generalizzando le colpe al “we” dell’attacco. Improvvisamente, un giocatore che ha sempre accentrato le attenzioni sul “me” parla solo di “noi” quando c’è da prendersi le responsabilità di una disfatta. Ovviamente la stampa di New York lo mette in croce e OBJ, assecondando un istinto autodistruttivo, fa ben poco per ripulirsi l’immagine. Il giochino in questi casi è molto semplice, lo aveva spiegato Mike Tomlin ad Antonio Brown, un altro ricevitore “esuberante”: «As long as you’re succesful on the field, I’ll put up with your bullshit off the field». Finché fai miracoli in campo, tollererò le tue stronzate fuori dal campo. Appena le prestazioni di Odell e quelle dei Giants calano, il tasso di sopportazione per le sue “stronzate" cala drasticamente.

Complice l’infortunio che gli farà saltare la stagione 2017 e i pessimi record dei Giants, da quel momento in poi Odell non riuscirà a farsi perdonare. La giuria su di lui ormai si è pronunciata: gran giocatore, grandissimo entertainer, locker room cancer, un pessimo compagno di squadra. Non passa praticamente settimana senza che Odell sia al centro di polemiche e critiche, talvolta meritate, spesso pretestuose. Il clima si fa sempre più pesante, la pressione è talmente forte che ad un certo punto Odell pensa seriamente di ritirarsi. Ha 25 anni, non ha ancora raggiunto il prime della sua carriera, eppure sembra completamente sfibrato da un mondo che continua a riversargli addosso odio. Tre anni dopo quel ballo a Miami, lo stesso Ray Lewis dirà che Odell ha perso la strada: «dove non c’è Dio, c’è il caos, Odell ha rimosso Dio della sua vita, gli manca una foundation». Magari non ha rimosso Dio dalla sua vita come sosteneva Lewis, ma di sicuro Odell considera di rimuovere il football. Inizia a pensare con un po’ di rimorso alle altre strade che avrebbe potuto intraprendere in sport meno repressivi verso l’individualità degli atleti. Ogni tanto chiama sua mamma e gli dice «Momma, se smettessi adesso col football, saresti comunque orgogliosa di me?». Le voci che provano a difenderlo, o perlomeno a capirlo, sono poche ma aprono uno spiraglio al di là dell’immagine ingombrante e tossica del personaggio-OBJ. Kim Jones è una beat reporter che segue i Giants da anni, in quelle settimane racconta un lato di Odell sconosciuto al grande pubblico, quello di un ragazzo estremamente sensibile, che le scriveva tutti i giorni durante la grave malattia che aveva colpito la giornalista.

Questi dubbi e questa sensibilità potrebbero umanizzarlo agli occhi di chi lo critica, ma Odell se li tiene dentro, mentre al mondo fa vedere solo il lato più sgradevole di sé, quello egomaniacale e spocchioso. Odell diventa il villain che stampa e tifosi vogliono che sia. Alla fine la corda dei Giants, che Odell aveva tirato senza conseguenze per anni, si fa sempre più rigida fino a spezzarsi durante la stagione 2018. Dopo l’ennesima sconfitta dei Giants, Odell accetta l’invito di Jamele Hill ad un’intervista doppia con il rapper Lil Wayne. Ci sono due problemi. Il primo, i Giants non sanno nulla di questa iniziativa. Il secondo, quella sera Odell tira bordate fragorose contro l’ambiente, Eli Manning e la società. La reporter di ESPN lo incalza con domande scomode, inizialmente OBJ risponde con una melina imbarazzata e fin troppo esplicita, dalla quale traspare un concetto messo nero su bianco da Odell qualche mese dopo:

«Ci mettono comunque in prima serata, anche se abbiamo un record perdente. Perché? Perché la gente vuole lo show. Vuole vedermi giocare. Questo è vero rap. Non sono qui a dire “è tutto merito mio”, ma diciamo le cose come stanno».

Dopo nemmeno cinque minuti la voce robotica di Lil Wayne esprime una verità solare: «quando penso a Odell, penso al numero dietro, non alla squadra». Involontariamente, Lil Wayne ha spiegato alla perfezione quanto Odell sia l’antitesi più evidente della retorica su cui si fonda il football, il cui primo comandamento è proprio: “you play for the team on the front of the shirt, not the name on the back”. Un episodio d’insubordinazione così grave è troppo anche per la famiglia Mara. I proprietari finiscono per avallare la cessione di Odell, che avverrà a fine stagione.

Goodbye New York

Come farebbero con un figlio indisciplinato da mandare in riformatorio, i Mara spediscono OBJ ai Cleveland Browns, nel Midwest operoso e operaio, quanto di più lontano dal glamour di Manhattan. In una sorta di viaggio di Willie il Principe di Bel Air al contrario, Odell passa dalle sfilate al Met Gala al festival delle alte barche, da uno dei franchise più gloriosi della NFL al luogo dove le carriere vanno a morire. In realtà, assenza di nightlife a parte, dal punto di visto tecnico Cleveland è una destinazione intrigante. Con l’aggiunta di OBJ i Browns hanno uno dei roster più talentuosi della lega, soprattutto in attacco, dove ad attenderlo ci sono il suo migliore amico Jarvis Landry e il giovane quarterback più caldo in circolazione, Baker Mayfield. Cleveland, dopo un record combinato di 8-39-1 nelle precedenti tre stagioni, inizia a respirare aria di playoff. Sembra tutto pronto alla redenzione dei Browns e di Odell, invece le cose fanno a sud piuttosto in fretta. I Browns iniziano male la stagione con una sconfitta contro i Titans e la proseguono peggio. Dal canto suo, Odell non è nemmeno l’ombra del fattore offensivo che prometteva di essere. Anche a causa di un problema alla schiena, sembra muoversi più lento e giocare fuori ritmo e così, con la stagione dei Browns che si trascina stancamente fino ad un record perdente, per OBJ succede la cosa peggiore: non si parla più di lui. La luce dei riflettori lo segue molto meno in campo e anche le polemiche - da una rissa con Marlon Humphrey al riscaldamento indossando un orologio da 200mila dollari - non catalizzano più l’attenzione come in passato.

Nella off-season che segue la sua deludente annata in Ohio, Odell sembra toccare il fondo della sua esperienza sportiva e umana. Incapace di far parlare di sé in campo, inizia a fare di tutto per mettersi di nuovo al centro dell’attenzione. A inizio gennaio torna in Louisiana per assistere alla finale di college della sua alma mater LSU. Durante la partita si infiltra in mezzo alla marching band, ruba il megafono ed inizia a intonare cori. Dopo la partita prima schiaffeggia sul sedere un poliziotto, guadagnandosi un mandato d’arresto, poi elargisce banconote a giocatori che, essendo formalmente ancora studenti, rischiano grosso a ricevere soldi. Quella sera OBJ mette in mostra uno spettacolo piuttosto imbarazzante, quello di una superstar mondiale incapace di starsene in disparte e disposta a rubare attenzioni a dei ragazzi di vent’anni o poco più. Quei video raffiguravano una persona completamente assorbita da sé stessa dalle luci dei riflettori. Il rischio era che OBJ facesse la fine di Antonio Brown, un altro talento divino affogato nelle sabbie mobili del suo ego. Fortunatamente, le cose sono andate in modo diverso.

Un nuovo OBJ

Per la prima volta nella sua carriera, Odell si è avvicinato a una stagione NFL senza essere l’epicentro di aspettative, critiche e attenzioni. Durante il lockdown aveva tenuto un profilo sospettosamente basso sui social network. Qualche video di work out e poco più. Niente polemiche, niente dichiarazioni al vetriolo. Quando gli hanno spedito le nuove divise dei Browns, Odell le ha scartate con poco entusiasmo. Sembrava che fosse disinteressato al football, impressione in qualche modo confermata dalla mansuetudine dimostrata in campo nelle prime giornate. Forse la suggestione del ritiro era diventata qualcosa di più. La prova del nove sembrava averla offerta il teaser di un’intervista rilasciata a Maverick Carter, il braccio destro di LeBron James. In quell’estratto OBJ sostanzialmente diceva che per lui la quarantena era stata una benedizione, perché gli aveva permesso di staccare la spina togliendo il football dall’equazione della sua vita.

Una volta uscita la versione integrale, è apparso chiaro che in realtà la quarantena per Odell ha avuto un effetto terapeutico, permettendogli di ritrovare la foundation che aveva smarrito per strada. Per prima cosa, Odell è apparso sereno come una persona che si sente a casa per la prima volta da tanto tempo. A questo ha contribuito la relazione con la sua nuova compagna, Lauren Wood. Lauren è riuscita a dargli un senso di pace e apprezzamento che non dipende da quanti palloni riceve o da quante copertine riesce a riempire. Allo stesso tempo Odell è sembrato più maturo: ha ammesso di non aver mai votato in vita sua, ma di aver realizzato che il momento era arrivato di spendersi in prima persona per cause sociali.

Nel riscaldamento della partita contro i Bengals ha indossato una maglia nera con la scritta “vote”.

Odell sta molto meglio con sé stesso, sembra aver smesso di guardarsi attraverso la lente distorta del giudizio degli altri. In passato, più cercava di farsi conoscere per quello che era, più si vedeva l'’etichetta di "bad guy" appiccicata addosso. Ogni tentativo di staccarsela di dosso non faceva altro che renderla più appiccicosa. In questi mesi ha imparato a conoscersi e ad accettarsi per quello che è. Un paio di settimane fa, una donna ha affermato di aver avuto rapporti con OBJ, svelando dei dettagli scabrosi - e palesemente inventati - sui suoi feticismi sessuali. Odell se n’è serenamente fregato. Ne ha parlato con Carter ridendoci sopra di gusto. Ha detto che cose del genere prima lo avrebbero turbato molto di più, ma che oggi il suo atteggiamento è un altro: «Non starò qui a cercare di dimostrarti chi sono. Sono quello che sono. Sono una brava persona. I’m a good dude».

Dopo anni passati a fare a pugni con la percezione che gli altri avevano di OBJ, Odell sembra essersi ritrovato. Mentalmente sembra essere in un posto più sereno che in passato, e finalmente domenica scorsa i risultati si sono visti anche in campo. Ci è voluto un po’, perché nelle prime tre giornate mentre l’attacco girava esclusivamente attorno al gioco di corse e ai ricevitori restavano le briciole. Qualche anno fa Odell avrebbe reagito prendendo a calci una rete o lamentandosi a mezzo stampa del suo impiego. Quest’anno invece ha aspettato con calma fino all’esplosione di Week 4 contro i Cowboys, la squadra del catch a una mano, che insieme alla fama gli ha portato parecchi problemi. È presto per dire se questo sarà il capitolo finale del romanzo di formazione o se, al contrario, la serenità di questo periodo sarà passeggera, e Odell ripiomberà nelle sabbie mobili in campo e fuori. In una strofa di Pound Cake Drake dice «Sai che è reale quando sei quello che pensi di essere». OBJ sembra averlo finalmente capito.

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