Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Antonio Moschella
Nuno Gomes ricorda
24 set 2015
24 set 2015
Intervista esclusiva all'ex attaccante di Portogallo e Fiorentina.
(di)
Antonio Moschella
(foto)
Dark mode
(ON)

 

All’interno del maestoso stadio Da Luz di Lisbona, casa del Benfica, Nuno Gomes parla al telefono mentre si muove da un lato all’altro della gradinata VIP. L’ex attaccante della Nazionale portoghese, della Fiorentina e del Benfica, di cui attualmente è dirigente sportivo dell’area internazionale, è un uomo occupato. Frequenta un corso serale di gestione manageriale sportiva dopo l’orario di ufficio, e si reca spesso nelle varie scuole calcio che il Benfica possiede in tutto il Portogallo.

 

L’ho incontrato quasi per caso e mi ha concesso un’intervista di venti minuti, che poi sono diventati molti di più, perché Nuno Gomes è anche un uomo che si emoziona quando parla di calcio. Sebbene abbia vissuto solo due anni in Italia, sfoggia un italiano sciolto: ricorda il periodo altalenante di Firenze, le delusioni in Nazionale, ma anche i momenti più belli della sua carriera.

 



L’inizio è stato duro, per fortuna i compagni di facoltà sono tutti molto simpatici e adesso ho trovato la metodologia adatta per studiare, anche se in realtà non ho tantissimo tempo, perché voglio anche godermi la vita accanto a mia moglie e ai miei due figli.

 



In effetti il primo giorno in cui sono andato a lezione gli altri studenti pensavano che fosse uno scherzo del professore o che mi fossi perso. Poi lo stupore ha lasciato spazio all’abitudine, trovo che quest’esperienza mi stia insegnando molto. Nella vita uno crede di essere preparato a tutto, ma non è così. Smettere di giocare è stato difficile, nonostante sapessi che quel giorno sarebbe arrivato. D’improvviso ti manca il campo, soprattutto nel quotidiano. Durante i primi mesi, quando ancora non lavoravo al Benfica, mi sentivo perso stando a casa da solo senza fare niente, mentre mia moglie lavorava e i miei figli andavano a scuola. Per fortuna sono riuscito a trovare il mio spazio nel mondo del calcio anche senza giocare.

 



Certo. Spesso vado a giocare a calcetto con Rui Costa, che lavora anche lui qui al Benfica, anche se ultimamente devo rinunciare per andare a scuola, non posso permettermi di fare assenze. A volte mi riunisco anche con degli amici il sabato mattina, ma è solamente la scusa per fare un po’ di movimento. Poi, in realtà, una volta in campo voglio vincere sempre, anche se in palio non c’è nessun trofeo, come quando ero professionista.

 



Sì, abbiamo giocato insieme a Firenze, in Nazionale e nel Benfica. Lui adesso è direttore sportivo e segue la squadra ovunque, non come me che mi muovo con il club solo in occasione delle partite di Champions League.

 



Credo che adesso soffriamo ancora di più per le sorti della nostra squadra di quanto lo facevamo quando scendevamo in campo. Perché ora ci sentiamo in qualche modo impotenti perché non possiamo dare una mano concretamente.

 



Anzitutto si tratta di tre persone stupende. Sono tra i migliori calciatori della loro generazione e io sono stato fortunato a giocare con loro. Rui Costa e Figo mi hanno fatto fare tanti gol col Portogallo, lasciandomi da fare praticamente metà del lavoro, cioè buttare la palla dentro. Cristiano è una macchina che ha costruito la sua carriera con molto impegno senza basarsi solo sul suo talento naturale. L’ho conosciuto quando aveva 18 anni e già vedevo che era un predestinato. Si tratta del giocatore più completo con il quale ho giocato.

 

https://www.youtube.com/watch?v=JYHG75FW9Vs

 



Credo proprio di sì, anche se in effetti partendo dalla fascia ha più spazio per risultare letale. Col passare degli anni, però, anche se dovesse perdere velocità risulterebbe molto efficace sotto porta, come ho detto prima: è un attaccante completo, fortissimo anche di testa.

 



Sì, anche se lui da solo difficilmente potrà vincere. Al Mondiale del 2018 avrà ormai 33 anni, quindi credo che il prossimo Europeo sarà la sua ultimissima occasione.

 



È un’ottima squadra, composta da elementi che possono assicurare la continuità nello sviluppo di un gruppo vincente anche in Nazionale maggiore.

 



Si tratta della manifestazione che ricordo con più affetto sia a livello personale sia per quanto fatto dalla squadra. Il centravanti titolare era Pauleta, ma era squalificato, Sa Pinto era il suo sostituto naturale, ma tre giorni prima dell’esordio si infortunò. Quindi mi ritrovai a giocare da centravanti titolare del Portogallo nel primo incontro con l’Inghilterra, che fu anche il mio debutto dal primo minuto. Humberto Coelho (l’allenatore del Portogallo di allora,

) mi disse che avrei giocato dall’inizio solo la mattina stessa dell’incontro.

 



Quel match resterà nella storia della Nazionale portoghese per la rimonta che abbiamo fatto. Inoltre, il gol del 3 a 2 finale fu il mio primo centro con la maglia della Nazionale: nessuno mi conosceva prima di quel momento. Dopo venti minuti eravamo già sotto di due gol e io speravo che arrivasse in fretta l’intervallo per paura che il primo tempo finisse quattro a zero. Poi dopo il primo gol di Figo il vento cambiò e riuscimmo a pareggiare con João Pinto. In quel momento iniziammo a credere che potevamo vincere. Il mio gol fu l’apoteosi di una partita fantastica e mi diede fiducia per il prosieguo della competizione, nella quale segnai in totale 4 reti.

 

https://www.youtube.com/watch?v=wLluusBo7hM

 



Molti. Non solo per la sconfitta, ma anche per quello che successe quando l’arbitro assegnò alla Francia il rigore decisivo trasformato da Zidane. Eravamo arrivati quasi in finale dopo aver giocato un ottimo Europeo e ci sentimmo inizialmente derubati. Ricordo come inveivo contro l’arbitro, accecato dalla rabbia e dalla reazione a caldo. Poi, quando tornai in hotel, rividi varie volte le immagini e mi resi conto che il rigore ci stava tutto, ma soprattutto che avevo fatto una figuraccia in mondovisione. Ero rammaricato perché era stato il mio gol, un colpo a sorpresa anche per Barthez, a darci l’illusione di una finale alla quale il Portogallo non aveva mai partecipato.

 



Fece il fenomeno come quasi sempre. La Francia aveva una grande squadra, ma lui era il fuoriclasse assoluto. Ho giocato dopo contro di lui in Italia e sono restato spesso estasiato dal suo modo di toccare la palla e danzare. Lui e Ronaldo il Fenomeno sono stati i due avversari più forti che mi sono trovato contro. Guardando Zidane giocare sembrava tutto facile, ma in realtà era lui a renderlo semplice.

 

https://www.youtube.com/watch?v=pYTBZnqI-9Q

 



Sportivamente parlando fu una tragedia. Giocavamo proprio qui, allo stadio Da Luz, la casa della mia squadra del cuore. Era il 4 luglio e il giorno dopo avrei festeggiato 28 anni. Fu dura, perché sembrava fatta da giorni. Avevamo già perso contro la Grecia nella prima partita e dopo Scolari cambiò la squadra inserendo Cristiano, Carvalho e Deco. Da quel momento in poi fu una cavalcata trionfante: vincemmo il match decisivo del girone contro la Spagna grazie a un gol mio e da lì prendemmo fiducia. Dopo aver sconfitto nell’ordine Spagna, Inghilterra e Olanda ci sentivamo fortissimi e forse fu l’eccessivo entusiasmo a tradirci. Il Portogallo tutto era in festa. Ricordo che durante gli spostamenti allo stadio l’autobus quasi non riusciva a transitare a causa della gente che occupava la strada aspettando che arrivassimo. Nessuno si aspettava una debacle del genere, ma bisogna dare merito alla Grecia per quello che hanno fatto: furono bravi a fare gol e poi a chiudersi. In realtà credo che anche se quella finale fosse durata tutta la notte non avremmo mai segnato.

 

https://www.youtube.com/watch?v=XLZZguAKv0s

 



Sì, perché vi giocavano alcuni elementi del suo Porto che poi furono decisivi. Scolari fu bravo a capire che calciatori come Ferreira, Maniche, Costinha, Carvalho e Deco, che pochi giorni prima avevano vinto la Champions League, potevano essere importanti. Dopo la sconfitta alla prima partita con la Grecia il tecnico cambiò formazione e questi calciatori risultarono decisivi.

 



Non poca. Mi avevano anche proposto di prendere la maglia numero 9 lasciata in eredità da lui. Ma rifiutai per due motivi: il primo era perché ho sempre giocato con il 21 e il secondo perché non volevo suscitare troppe aspettative prendendo il numero di un idolo come Batistuta. Bati era insostituibile e io non giocavo come lui, che aspettava il pallone in attacco, mentre io amavo spaziare, arretrare e partecipare alla manovra. Ma mi sarebbe piaciuto formare una coppia offensiva con lui.

 



È stato come passare dal cielo all’inferno. Il primo anno abbiamo vinto la Coppa Italia, mentre l’anno dopo con l’addio di Rui Costa e Toldo i meccanismi hanno iniziato a scricchiolare insieme alla società: in tanti mesi non abbiamo ricevuto lo stipendio e alla fine a soffrire siamo stati noi calciatori, ma soprattutto i tifosi. Cecchi Gori, il massimo responsabile, l’avrò visto due o tre volte in due anni. Credo che non sia stata soltanto colpa sua, perché lui viveva a Roma e i suoi uomini di fiducia al comando della società non avevano agito bene. Non mi è piaciuto come è finita la mia esperienza a Firenze, un posto dove torno spesso e dove ho lasciato tanti amici e ricordi importanti.

 



In campo, sicuramente la vittoria della Coppa Italia grazie a un mio gol nella partita di ritorno con il Parma. Dopo l’uno a zero dell’andata al Tardini stavamo perdendo con lo stesso risultato al Franchi. All’intervallo sono entrato e dopo venti minuti ho segnato il gol del pareggio che ci ha dato la coppa. Il più bel momento fuori dal campo è arrivato subito dopo: alla fine della partita volevo andare a casa a cambiarmi per iniziare i festeggiamenti, ma dato che abitavo in piazzale Michelangelo le vie d’accesso erano intasatissime. Ero in macchina con mio fratello e amici, i tifosi mi hanno riconosciuto e hanno bloccato il traffico per accompagnarmi a casa in pompa magna. Un’emozione indescrivibile.

 

https://www.youtube.com/watch?v=O8qFvl92Rng

 



Per me lui farà benissimo come tecnico. Si tratta di una persona che già quando giocava faceva da allenatore in campo. A volte non sempre l’essere stato un grande calciatore significa essere altrettanto bravo ad allenare, ma lui da sempre ha dimostrato di avere le stimmate del tecnico, un po’ come Paulo Bento, che ha allenato la Nazionale portoghese. Entrambi erano registi, come Pep Guardiola. Ho parlato con Paulo Sousa nel momento in cui ha firmato, lui è cosciente delle esigenze della tifoseria viola e sa che è difficile lottare per lo Scudetto, ma io sono fiducioso delle sue potenzialità e sono certo che farà bene a Firenze.

 
 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura