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Emanuele Atturo
Djokovic finge davvero i suoi infortuni?
26 gen 2023
26 gen 2023
Agli Australian Open si sta parlando molto dei suoi problemi fisici.
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Emanuele Atturo
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Novak Djokovic è arrivato a questi Australian Open infortunato. Così infortunato che si pensava non potesse partecipare. Poi il torneo è iniziato e Djokovic ha cominciato a vincere più o meno tutti i punti, tutti i game, tutti i set. Ne ha lasciato solo uno per strada finora, fino alla semifinale. Djokovic è tornato a Melbourne un anno dopo la sua deportazione e con attorno una certa aria di vendetta. Siamo forse noi a voler pensare che Djokovic voglia vendicarsi del trattamento ricevuto lo scorso anno; o che comunque questo torneo gli serva per dimostrare qualcosa. Siamo noi a proiettare queste cose sulla sua personalità, ma anche perché ormai abbiamo imparato a conoscerlo. Un atleta che prolifera nel conflitto, e che sembra essersi completamente fuso con la sua narrazione. ___STEADY_PAYWALL___ Pochi giorni prima del torneo stava giocando un set d’allenamento con Medvedev. Gli ha strappato il servizio nel game d’apertura e poi, sul 3-2, si è dovuto fermare per un dolore ai tendini del ginocchio sinistro. Tornato in campo, non ha vinto più un game e ha perso il set 6-2. «Ho giocato un set mi sono scusato con lui, che mi ha capito. Volevo evitare un grosso spavento prima degli Australian Open». Troppo tardi: lo spavento era già arrivato.

Non serve neanche dire che c’era grande attesa per il ritorno di Djokovic a questi Australian Open e le ragioni erano diverse. Perché gli Australian Open sono il suo giardino di casa, dove ha una percentuale di vittorie sopra al 90%, e dove vinceva da 34 partite consecutive. Ma c’erano ragioni più narrative. In che stato emotivo sarebbe tornato, tranquillo o arrabbiato? Il pubblico lo avrebbe applaudito come una leggenda locale, o fischiato come uno che un anno fa ha provato a eludere la legge? E poi c’erano i dubbi sulle sue condizioni fisiche, visto che negli ultimi dodici mesi aveva giocato pochi tornei, due soli Slam. Come lo avrebbero accolto i tifosi australiani? E lui, in che condizioni fisiche si sarebbe presentato, dopo un anno giocato a singhiozzo? Le leggende si sono sprecate. Chi diceva che la pausa gli aveva fatta bene, che biologicamente era retrocesso ai 25 anni. C’era invece chi sosteneva sarebbe arrivato appannato, pieno di acciacchi. E in effetti sembrava essersi materializzata questa possibilità. Due giorni dopo lo stop in allenamento fa una conferenza stampa in cui non ridimensiona le sue condizioni, ma anzi descrive un quadro in cui è difficile immaginarlo davvero competitivo nello Slam. «È da un po’ che ho a che fare con questo problema, almeno una settimana, a essere onesti. Ma spero non sia una cosa grossa. Finora sono stato in grado di allenarmi, competere, giocare punti e set. Insomma, segnali positivi». Djokovic ci sta dicendo che può giocare, può scendere in campo, ma essere competitivi, vincere grandi partite, è un altro discorso.Negli stessi giorni Rafael Nadal è sceso in campo malconcio, più del solito. Non è riuscito a giocare oltre la sua sofferenza fisica, a rompere la barriera del dolore per raggiungere quello stato di ascesi mistica in cui ha giocato lo scorso anno. Quella da santo cristiano, in cui il dolore pare acuirgli i sensi. Si è fatto eliminare alla seconda partita, triste, penitenziale, giocando il terzo set contro McDonald zoppo, muovendosi a malapena, tirando le caricature comiche dei propri colpi iconici. Ha detto che non poteva giocare, ma che non voleva ritirarsi dal campo da campione in carica. Djokovic si sarebbe aggiunto a lui?Sceso in campo contro Carballes Baena, con gli occhi del mondo addosso, ricoperto dai non scontati applausi del pubblico, si è mosso con l’elasticità sovrannaturale su cui ha costruito la sua carriera. Nel terzo set il suo tennis ha dilagato come nei momenti migliori. È passato come un camion sopra Carballes-Baena. E i suoi problemi fisici dove sono finiti, ha cominciato a domandarsi qualcuno; sembra tutto passato. Djokovic dice che la gamba non è in condizioni “ideali”, ma è ok. Certo, non è stato un test particolarmente stressante per il suo fisico.Nella seconda partita, contro Enzo Coucaud, la situazione peggiora. Sul 4 pari nel secondo set il match diventa improvvisamente teso. Sulla parità il francese tira una forte prima centrale, Djokovic prova a pararla sul suo lato sinistro con quel guizzo da portiere che gli abbiamo visto fare tante volte. Solo che la bocca gli si contorce come nel più estremo dipinto espressionista. Forse il ginocchio ha fatto un movimento sbagliato. Chiama subito l’intervento del medico e si avvicina alla sedia zoppicando. Un giocatore con problemi pregressi che fa un movimento sbagliato durante una partita accesa, le premesse ideali per un ritiro. Invece Djokovic torna in campo, prima impacciato, poi sempre più sciolto. Perde quel secondo set al tiebreak, ma poi lascia appena due game negli altri due. Dopo la partita dice che la gamba «Non va bene per niente» e che «Sta a Dio e al mio fisioterapista aiutarmi».

Al terzo turno c’è Grigor Dimitrov, la versione tennistica più vicina a Federer che possiamo permetterci di questi tempi. Dimitrov è nella fase minore di una carriera comunque deludente, ma quando si trova su questi palcoscenici, forse stuzzicato dall’idea di poter ancora dimostrare qualcosa, mostra versioni di sé spesso tirate a lucido. E anche contro Nole ha l’aria di una leggenda del cinema ritirato da anni che rientra in un film per un piccolo cameo di culto. Ne nasce una partita magnifica, con scambi lunghi e ipnotici. Con i rovesci in slice di Dimitrov che rappresentano delle brevi esperienze estetiche a sé stanti. La partita è molto equilibrata e probante per le condizioni di Djokovic. Verso la fine del primo set fa per arrivare su un servizio e sullo slancio si mette a zoppicare su una gamba. Un altro segno inquietante, che però non è l’anticamera di nessun ritiro, e nemmeno di una competitività ridotta. Djokovic chiude la partita in tre set, non proprio con semplicità, ma comunque senza nemmeno grandi affanni. Si limita a vincere i punti con cui il punteggio si decide. Si comincia a chiacchierare del suo infortunio, quanto è reale? Questi momenti in cui Djokovic sembra infortunato e vince partite con apparente facilità per noi rappresentano un cortocircuito percettivo. Se accettiamo che lo sport ai massimi livelli si giochi su margini di differenza molto esigui, come fa un atleta con un problema fisico - anche piccolo magari - ad avere la meglio facilmente su rivali così forti? La superiorità di Djokovic è talmente schiacciante che anche con una performatività menomata riesce ad avere la meglio su alcuni dei migliori tennisti al mondo? È la dimostrazione della sua capacità di giocare attraverso il dolore, superando i limiti impostigli dal suo stesso corpo? Oppure dice di essere infortunato come strategia per inquinare la tensione psicologica della partita, la relazione col suo avversario?Bisogna dire che non è la prima volta che Djokovic viene accusato di fingere degli infortuni. Ci sarebbe tutta una storia da ripercorrere. Agli US Open del 2005, appena 18 enne, ha affrontato l’altro 18 enne Gael Monfils. Durante la partita, lamentando problemi di ogni tipo, ha chiamato per cinque volte il medical timeout. Le interruzioni hanno mandato fuori ritmo Monfils, che alla fine ha perso. Djokovic ha ammesso: «I medical timeout mi hanno aiutato molto. Fisicamente era più preparato di me». Dall’altra parte del campo Monfils era confuso. Non solo perché la partita veniva interrotta, ma anche perché non sapeva bene chi aveva di fronte, un avversario sano o uno malconcio? È questa una delle maggiori difficoltà poste da un giocatore che si lamenta di problemi fisici. «Non sapevo proprio se stesse fingendo o no». Djokovic invece ha raccontato: «Dopo un punto lungo non riuscivo a respirare. Mi sono steso a terra in preda ai crampi». Djokovic aveva problemi pregressi di respirazione, e non si può chiamare il medical timeout per problemi medici pregressi alla partita. «Mi dispiace molto perché Gael è un mio buon amico, ma ho dovuto farlo».Djokovic comincia a costruirsi una brutta fama, ma i suoi problemi fisici, costanti, disseminati in tutta la stagione, sono indiscutibili. Durante la stagione americana deve chiedere il break per andare in bagno e vomitare. Nel 2008 vince gli Australian Open per la prima volta, ma continua a essere una figura fragile, ben lontano dall’atletismo Marvel che conosciamo. Lo stesso anno, agli US Open, sembra stare a malapena in piedi, tranne che vince partite difficili. Prima della loro sfida ai quarti di finale, Roddick scherza sui suoi problemi fisici: «Problema alla schiena, o all'anca? O forse un crampo, l'influenza aviaria o la SARS?». I due giocano una partita agguerrita, e quindi una partita che Nole vince. Ai microfoni, ancora in campo, Djokovic è livido, se la prende con Roddick e col pubblico. Negli spogliatoi Roddick lo attacca all’armadietto di uno spogliatoio (poi si frena, racconta, perché vede un gigante nello staff di Nole). È un periodo in cui nemmeno Federer crede ai suoi infortuni: «Djokovic è uno scherzo. Dice di essere infortunato, poi corre e salta come un coniglio».Djokovic soffre di problemi respiratori sin da bambino, «Una specie di asma che mi prende durante la notte da quando ho 7 anni». Prova diverse cose, si opera ai turbinati, ma non risolve nulla. Nel 2010, in seguito a una trasferta di Coppa Davis con la squadra serba, gli vengono diagnosticate diverse intolleranze. È quello il momento in cui Djokovic comincia a dedicare un’attenzione ossessiva alla sua dieta. Elimina il glutine e i latticini, poi anche la carne. La cosa a un certo punto gli scappa di mano, quando parte per sviluppare tutto il suo sistema di pensiero olistico, new age. In ogni caso il suo corpo smette di essere un fardello e diventa una macchina perfetta. La migliore macchina possibile nel circuito tennistico.Ogni tanto, però, Djokovic ha ancora qualche problema fisico, com’è normale per ogni atleta. E com’è normale che succeda più spesso a un atleta col suo chilometraggio. E ogni volta che succede nasce un piccolo dibattito. Al Roland Garros del 2020, per esempio. In un match contro Pablo Carreno-Busta, assume il linguaggio del corpo di una persona infortunata irrimediabilmente, poi via via recupera energia e vince. «È normale, no? Lo ha sempre fatto nel corso degli anni quando aveva qualche problema in campo. Forse è la pressione, o qualcosa che sente di dover fare. Comunque continua a giocare al solito livello». A Djokovic capita abbastanza spesso di ritirarsi, almeno in confronto a Federer e Nadal, celebri per giocare da infortunati. Federer addirittura non ha quasi mai chiamato in carriera il medical timeout e si dice abbia giocato diverse partite con dei problemi perfettamente dissimulati. Ma questi racconti dicono di più su questi tennisti o sull’immagine che abbiamo di loro? Quanto incide la brutta reputazione di Djokovic sulla tendenza a dubitare della veridicità dei suoi infortuni? Insomma, per metterla giù semplice: le persone non gli credono perché è antipatico?In realtà gli infortuni sono diventati un tema costante nel discorso tennistico, soprattutto per i big-3, che nella fase più crepuscolare del loro tramonto vivono (o hanno vissuto) ormai nella totale medicalizzazione. Atleti fragili come piccole statuette di vetro di Murano, esposti a tutte le intemperie e alla ruvidezza della competizione, ma al contempo resistenti, inscalfibili, quando si tratta di vincere. Andy Murray che si dimena e battaglia in campo per cinque ore con un’anca di metallo. Nadal che si presenta ai tornei quasi in stampelle, e poi vince. E durante questi tornei non si fa che chiedergli come stai? Come va il piede? A che percentuale del tuo gioco ti senti? Per questo le vittorie di Nadal si ammantano di un ulteriore eroismo. Il giocare nonostante il dolore, attraverso il dolore, è il segno peculiare della sua grandezza. In quest’epoca di eccellenza sportiva senza precedenti, in quest’epoca di record, è diventato comune per gli atleti fare a pezzi il proprio corpo per mostrarci un vertice di performance ancora inesplorato. Nel tennis però sta diventando pericolosamente frequente, gli atleti non stanno mai a posto, sono pieni di acciacchi. E cosa fare allora? Nascondere gli infortuni per nascondere una potenziale debolezza all’avversario, oppure parlarne e scrollarsi di dosso un po’ di tensione? Parliamo così tanto di infortuni perché tirano in causa tutta una dimensione morale di “sportività”. Gli infortuni possono essere usati per destabilizzare gli avversari, o per togliersi pressione psicologica. Quando Djokovic è infortunato non si sta esibendo in nessun atto eroico ma è un trucco, una finzione perpetrata a scopi anti-sportivi. È arrivato a lamentarsene lui stesso, dicendo «Solo i miei infortuni sono messi in dubbio. Quando gli altri sono infortunati sono vittime, quando lo sono io sto fingendo» ed è davvero difficile dargli torto. Djokovic chiaramente fa riferimento a Rafael Nadal, quando dice "gli altri". Toni, lo zio di Rafa, non aspettava altro e il giorno dopo ha risposto sulle pagine di El Pais. Ha scritto di credere che Nole fosse infortunato negli ultimi giorni, ma che d'altro canto è normale nutrire dei dubbi. «Per anni siamo stati in grado di vedere, sia nel caso di mio nipote che di altri giocatori, che gli infortuni hanno un effetto immediato sulle loro partite. Per questo Nole non dovrebbe essere sorpreso che le sue nette vittorie su Dimitrov e De Minaur, con una prova all'altezza di quelle di sempre, per spostamenti in campo e potenza dei colpi, desti sorpresa e qualche dubbio sull'effettiva gravità dei suoi infortuni». Agli ottavi di finale affronta Alex De Minar e tra i due esiste una certa tensione. Un anno fa De Minaur aveva commentato il caso Djokovic agli Australian Open con ruvidezza: «Siamo stufi di questo circo». Djokovic non si è limitato a batterlo, lo ha sbranato. Gli ha lasciato 5 game in totale. Dopo la partita Courier gli ha chiesto non come avesse fatto a batterlo così, ma perché. Djokovic, gelido, ha detto «Perché volevo farlo». A De Minaur hanno chiesto cosa pensasse dei problemi fisici di Djokovic, una domanda morbosa che lo ha messo in una posizione difficile; lui ha detto: «Oggi ero in campo con lui. Può essere che io non sia bravo abbastanza per esporre questi problemi, ma a me è sembrato star bene».Un’interpretazione interessante della vicenda l’ha data Taylor Fritz: «I giocatori devono sempre scendere a compromessi con qualche problema, problemi magari di gravità diverse. I media si concentrano sempre sui giocatori migliori quindi i loro problemi ricevono più attenzioni. Ci sono anche giocatori che parlano di più dei propri infortuni rispetto ad altri. Non penso che ci siano giocatori che fingono gli infortuni. Credo che ogni tanto alcuni giocatori esagerino la gravità dell’infortunio perché gli permette di togliersi pressione e di giocare meglio». Ha poi sottolineato che in questo non ci vede niente di male, fa parte del gioco.È interessante che a dirlo sia stato Taylor Fritz, che nella serie di Netflix Break Point abbiamo visto alle prese con un infortunio alla caviglia prima della finale contro Nadal. Dopo un movimento brusco in allenamento si è steso sul lettino dicendo «Non ho mai provato un dolore così forte». Poi si è fatto qualche infiltrazione e il giorno dopo, a Indian Wells, ha battuto Rafa Nadal. Fritz quindi stava esagerando il suo infortunio per alleggerirsi la testa prima della partita più importante della sua carriera? È possibile, ma in fondo quello che dovremmo chiederci è: è davvero importante? È possibile che Djokovic esageri un tantino i suoi problemi fisici per alleggerire l’enorme pressione che lo circonda in ogni Slam. E anche se fosse?Sono discorsi che parlano più di noi, di come parliamo di tennis, e soprattutto di come continuiamo a guardare Novak Djokovic. La storia degli infortuni è un altro esempio di un certo accanimento pubblico nei suoi confronti - davvero innegabile. D’altro canto è sempre interessante vedere come in queste situazioni, in cui il clima attorno diventa tossico, lui non faccia nulla per abbassare i toni, schivare i discorsi. Sembra anzi nutrirsi di questa energia per ingrossare il suo già abnorme spirito competitivo. Si sente trattato ingiustamente, e questo gli permette di infondere un significato più grande nelle sue partite.In questo Slam Djokovic sembra entrato nella sua versione evil definitiva. Ogni partita l’ha giocata come se dovesse dimostrare qualcosa. Non vince le partite, le domina. I suoi avversari escono dal campo con la faccia sgomenta di chi non è stato solo sconfitto, ma è stato sbriciolato, ha subito tre set di pura violenza psicologica. Dal lato del campo di Nole, dai suoi dritti e rovesci, sembra spandersi una nube di livore strana per una competizione sportiva, eppure c'è davvero qualcosa di grandioso.

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