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Non così lontani
08 mar 2017
08 mar 2017
Il Napoli esce dalla Champions League con la certezza che il suo gioco è al livello delle migliori d’Europa.
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Qualunque fosse il punto di vista scelto per guardare la sfida di ritorno tra Napoli e Real Madrid, le speranze di rimonta del Napoli avrebbero comunque dovuto basarsi anzitutto su una fiducia di tipo irrazionale. Fiducia in cosa, poi, esattamente? Che tipo di partita avrebbe dovuto preparare Maurizio Sarri? Puntare al risultato perfetto (ovvero il 2-0) oppure, come ha scritto Sandro Modeo sul Corriere della Sera, giocare a chi ne segna uno di più?

Una scelta quasi filosofica, con possibilità di riuscita minime in ogni caso, considerato l’avversario. Snaturarsi per giocare con maggiore prudenza, ma con la consapevolezza che prima o poi un gol il Madrid lo segna; oppure portare alle estreme conseguenze il proprio sistema e provare a segnare 4 o 5 gol ai “Merengues”?

Due scenari diversi, entrambi remoti, ai quali appigliarsi per dare quanto meno una forma al tentativo di rimonta. All’andata il Real Madrid aveva imposto il contesto della partita semplicemente facendo valere la propria superiorità, obbligando i giocatori del Napoli a salire a un livello che, banalmente, si è rivelato troppo alto. Il primo mattone della rimonta, quindi, non sarebbe stata la scelta di una strategia o dell’altra, ma la capacità di imporre il proprio piano al Real Madrid. E va da sé che sarebbe dovuto accadere qualcosa di eccezionale per ribaltare i rapporti di forza apparsi così chiari tre settimane fa. Per questo la fiducia di cui sopra sarebbe dovuta essere irrazionale.

Quando sembrava poter accadere l’impossibile

Il bello è che per 45 minuti qualcosa di eccezionale sembra accadere sul serio. Sarri ovviamente sceglie di non snaturare il Napoli, ma senza provare ad alzare l’asticella delle ambizioni con un atteggiamento spregiudicato: anzi, manda in campo a sorpresa Allan al posto di Zielinski e Rog. Una scelta che rinuncia a un po’ di qualità per aggiungere forza al centrocampo e migliorare uno dei punti critici della partita di Madrid, il recupero del pallone.

Il Napoli suona il solito spartito, accettando il rischio di compromettere la qualificazione a ogni controllo impreciso o passaggio sbagliato: stavolta le ripartenze del Madrid possono contare anche su Gareth Bale, assente all’andata.

L’inspiegabile passività della squadra di Zinédine Zidane a inizio gara è il primo fattore che incanala la partita nei binari voluti dal Napoli. Per un tempo i partenopei mettono a nudo i paradossi del Madrid, che ha bisogno di controllare il pallone, ma preferisce attaccare negli spazi; non può reggere fasi prolungate di difesa posizionale, ma non è nemmeno sostenuto da un pressing abbastanza organizzato da sabotare il possesso avversario.

La strana scelta di Zidane è di difendere il vantaggio costruito al Bernabéu con una squadra reattiva, ma che non sa bene come recuperare palla. Ad Albiol e Koulibaly viene concesso il palleggio, Diawara non ha problemi ad aggirare la schermatura di Benzema e lo spazio alle spalle di Modric, Kroos e Casemiro diventa immediatamente terreno di conquista per il Napoli.

Al solito, è la catena sinistra a creare i maggiori pericoli. Ghoulam non si preoccupa di Bale e si alza fin dalle prime fasi dell’azione, Insigne tiene bloccato Carvajal e Hamsík trova sempre il modo di smarcarsi alle spalle di Modric, costretto a sdoppiarsi per uscire su Koulibaly e Diawara e allo stesso tempo schermare lo slovacco. La varietà delle combinazioni e degli smarcamenti tra le linee consentono al Napoli di arrivare facilmente nella trequarti del Madrid e dopo una ventina di minuti di trovare il gol che riapre la qualificazione.

La superiorità del Napoli sul centro-sinistra è schiacciante: Koulibaly avanza indisturbato, mentre Ghoulam si alza senza essere seguito da nessuno; Carvajal è preso in mezzo da Insigne e Mertens; Hamsík si smarca alle spalle di Casemiro. La combinazione palla a terra è veloce e di grande qualità e permette a Mertens di incrociare sul secondo palo con il sinistro dopo uno splendido primo controllo con l’esterno destro.

Il possesso del Napoli ha la sola pecca di avere poche soluzioni in fase di rifinitura. I partenopei risalgono il campo facilmente, ma al momento dell’ultimo passaggio hanno bisogno di combinazioni di alto livello per sorprendere la difesa del Madrid. Mertens è costretto a muoversi dal centro per non scomparire tra Pepe e Sergio Ramos; Callejón viene tenuto d’occhio da Marcelo e anche la libertà di cui gode Ghoulam serve solo a favorire la ricezione tra le linee di Insigne e Hamsík: in area di rigore il Madrid è in netta superiorità fisica e accumulare cross avrebbe poco senso.

Il dominio territoriale, così, non si traduce in una quantità coerente di occasioni da gol e spesso il Napoli è costretto a tirare da lontano per chiudere l’azione – ben 7 delle 13 conclusioni totali arrivano infatti da fuori area.

Anche gli Expected Goals confermano le difficoltà del Napoli a creare pericoli.

Quando il Real Madrid ha riportato la norma

Proprio quando la qualificazione ai quarti sembra tornare in discussione, il Madrid decide di far valere la propria superiorità, iniziando ad aggredire il Napoli e a darsi così il tempo necessario a gestire il pallone e allontanare i partenopei dalla propria metà campo. Così come all’andata, la reazione dopo lo svantaggio è paziente, ma decisa. Il tempo guadagnato nella gestione del possesso non si traduce comunque in un effettivo controllo della partita col pallone. A dettare il contesto è il pressing del Napoli, decisamente più coraggioso e organizzato rispetto all’andata.

I princìpi offensivi della squadra di Zidane sono semplici: il tridente resta alto per allungare e allargare la linea difensiva napoletana; Ramos e Pepe non si fanno problemi a lanciare lungo se pressati, mentre quando non vengono aggrediti il Madrid si limita ad abbassare il numero di giocatori necessario (solitamente Casemiro e uno tra Kroos o Modric) a far uscire il pallone in maniera pulita dalla difesa e arrivare sulle fasce, preferibilmente quella sinistra, occupata da Marcelo, più portato di Carvajal ad abbandonare da subito la propria posizione per contribuire allo sviluppo della manovra.

Una volta che il pallone arriva sulla fascia, la giocata successiva è sempre in verticale: o lungolinea a cercare lo scatto in profondità di uno tra Benzema, Ronaldo e Bale oppure un cambio di gioco avendo sempre come riferimento un componente del trio offensivo. Il gioco del Madrid asseconda la verticalità del proprio tridente, puntando a risalire velocemente il campo e limitando le fasi di possesso consolidato nella metà campo avversaria.

Sarri, però, ha dimostrato di aver imparato la lezione della gara d’andata, preparando la squadra a gestire gli stratagemmi usati dal Madrid per evadere il pressing - in particolare la salita di Marcelo vicino a Benzema o Ronaldo (che come al solito hanno scambiato posizione frequentemente) - per guadagnare la superiorità numerica contro Hysaj. Da quel lato i ripiegamenti di Callejón sono decisamente più puntuali rispetto alla gara del Bernabéu e quando lo spagnolo si alza su Ramos, Hysaj scala in avanti su Marcelo, accettando il rischio di lasciare Ronaldo o Benzema nell’uno contro uno con Albiol in campo aperto. Dall’altro lato, invece, l’inaspettato dominio aereo di Ghoulam (6 duelli aerei vinti, record della partita) limita Bale.

Il Real Madrid così si fa pericoloso solo quando riesce a recuperare palla e ha campo per ripartire, come in occasione del palo colpito da Ronaldo (e pareggiato da Mertens pochi minuti dopo): un’azione molto bella gestita con grande intelligenza da Kroos, Modric e Benzema.

Alla lunga la perdita del pallone impedisce al Napoli di controllare la partita come nella prima mezz’ora e la chiave diventa, così, l’aggressività del Madrid, che pure è piuttosto lontana dall’idea di pressing organizzato. I tre davanti, infatti, si limitano a tenere la posizione o ad abbozzare una pressione sciatta quando il pallone è dalle loro parti, senza mai ostruire realmente il palleggio del Napoli. Il recupero della palla è affidato a Modric, Kroos e Casemiro, che hanno porzioni di campo enormi da coprire e devono dosare di volta in volta aggressività e attesa per accorciare sul portatore di palla senza creare ulteriori squilibri al blocco difensivo.

Il bello è che tutti e tre si trovano a loro agio e in ogni caso, quando vengono saltati, possono contare sulle uscite alle loro spalle di due difensori aggressivi come Pepe e Ramos (4 contrasti e 8 palloni intercettati, record della partita).

Come capitato al Bernabéu, il Madrid alza il livello della partita semplicemente salendo d’intensità e abbandonando l’inspiegabile passività della prima mezz’ora. Costretto ad alzare il livello delle scelte e delle giocate per restare in partita, il Napoli va in difficoltà ed è crudele che a commettere l’errore decisivo sia il giocatore simbolo e tra i migliori in campo fino a quel momento, Marek Hamsík.

Il Real si alza in maniera confusa per tentare di sabotare la costruzione dal basso dei napoletani e lo slovacco, forse preoccupato dall’accenno di pressione di Casemiro alle spalle, sbaglia il passaggio che permette ai “Merengues” di ripartire e conquistare il corner che dà a Sergio Ramos la possibilità di allungare la propria lista di gol decisivi segnati in carriera.

Si può discutere a lungo sulla scelta di Sarri di difendere a zona sui calci piazzati. Il punto è che non esiste un modo giusto di marcare e ogni allenatore decide in base alle proprie idee e alla rosa a disposizione. E quella del Napoli non regge il confronto con quella del Real Madrid dal punto di vista fisico. In occasione dei due gol, ai “Merengues” è bastato portare in area cinque giocatori: Pepe, Ramos e Ronaldo al centro e leggermente staccati per attaccare in corsa l’area piccola; Bale e Benzema a dividersi tra il primo e il secondo palo. Cinque specialisti a livello diverso, con il meno bravo (Benzema) che sfiora il metro e novanta. A prescindere dalla scelta di marcare a uomo o a zona, contrastare saltatori di questo calibro è davvero difficile, anche se ovviamente il Napoli avrebbe potuto difendere meglio, specie sul secondo gol di Ramos, che salta indisturbato perché Koulibaly attacca la palla in ritardo. Sul primo, invece, Albiol stacca forse con un secondo di ritardo, ma bisogna comunque rendere onore all’eccezionale elevazione di Ramos, che gli permette di anticipare l’ex compagno di squadra.

A qualificazione ormai decisa, il Madrid si è poi limitato a controllare il possesso del Napoli, sfiduciato e ancora più in difficoltà dopo i cambi. Usciti i principali creatori di superiorità alle spalle del centrocampo madridista, Hamsík e Insigne, il compito della squadra di Zidane, equilibrata dall’ingresso di Lucas Vázquez per Bale, è diventato più facile. Il gol nel recupero di Morata è servito soltanto a mantenere intatta l’aura di miglior panchinaro al mondo dell’ex Juve.

Cosa resta?

A questo punto è necessario chiedersi cosa resterà della prima Champions League del Napoli di Maurizio Sarri. Cosa abbiamo capito che non sapevamo già? Cosa può tornarci utile per il futuro?

Sicuramente oggi il Napoli ha la certezza di poter competere alla pari con quasi tutte le squadre grazie a un’organizzazione che ha pochi eguali in Europa: il Napoli ha vinto il girone per la prima volta nella sua storia e per un tempo è stato nettamente superiore al Real Madrid, rimettendo in discussione una qualificazione ai quarti che sembrava decisa con la partita passiva dell’andata.

Ma è anche vero, d’altra parte, che quando il Madrid ha alzato il livello, la differenza si è sentita. Il doppio confronto con i “Merengues” ha dimostrato che gli azzurri devono ancora compiere il salto di qualità fisico, tecnico e mentale per stare allo stesso tavolo con i migliori al mondo. Questa prima esperienza potrebbe essere l’inizio di un percorso molto interessante o una bella eccezione destinata a rimanere tale per mancanza di pazienza o, più banalmente, di risorse per rinforzare la rosa.

A De Laurentiis e Sarri il compito di scegliere quale delle due strade imboccare.

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