Quattro anni fa, uno dei più grandi corridori degli ultimi anni, diede addio al ciclismo con un trionfo di un certo spessore: la medaglia d'oro alle Olimpiadi. Era Londra 2012, e in un circuito disegnato soprattutto per i velocisti, totalmente diverso rispetto a quello di sabato scorso, Vinokurov riuscì a beffare negli ultimi metri un distratto Rigoberto Uran, aggiudicandosi la medaglia più ambita.
Da quel momento sono passati quattro anni, un arco di tempo non indifferente, ma troppo breve per immaginare un cambiamento così radicale dell'intero panorama del ciclismo. In questi quattro anni abbiamo assistito al dominio giallo di Chris Froome, ai trionfi di Nibali e poi all'affermazione di campioni inarrivabili come Peter Sagan, o al ritiro di vecchie glorie del passato: da Vinokurov appunto, ma anche Bradley Wiggins e quest'anno Fabian Cancellara.
Lo scatto finale di Alexander Vinokourov a Londra 2012.
Se in quattro anni abbiamo assistito a parecchi cambiamenti, almeno una cosa continua a resistere al trascorrere del tempo: il fascino delle Olimpiadi. La prova in linea di ciclismo su strada - categoria uomini - quest’anno aveva uno dei percorsi più duri di sempre: partenza da Fort Copacabana, circa 255 km di tracciato con un primo circuito da ripetere per quattro volte, un tratto intermedio di pianura, e gli ultimi terribili 80 km del circuito di Vista Chinesa con all'interno 8 km con pendenza media del 6% e punte che hanno raggiunto il 10%. Sei ore circa di gara per un percorso massacrante, a metà tra una classica e una tappa di montagna.
La prova delle Olimpiadi è caratterizzata da un elemento da non trascurare: l'assenza delle radioline. Senza contatti radio con le ammiraglie, i corridori sono costretti a prendere ogni decisione in prima persona, senza supporti diretti con i propri direttori sportivi. Come avveniva nel passato i corridori diventano così più artefici del proprio destino, rendendo le varie strategie di gara meno rigide. Questo restituisce alla competizione maggiore vivacità - o almeno dovrebbe - perché lo sviluppo tattico della corsa diventa in qualche modo meno artefatto, e per questo motivo anche più difficile da interpretare come pianificato inizialmente.
La prova dell’Italia
Nonostante l'assenza delle radioline, senza contatti diretti con il commissario tecnico, la Nazionale italiana è riuscita ad interpretare una buona, direi quasi ottima, corsa. Ogni azione è stata pianificata, voluta, creata e portata a termine quasi alla perfezione. Tutti gli uomini scelti da Davide Cassani - a eccezione di Diego Rosa che si è ritirato - si sono rivelati affidabili, in grado di portare a termine i propri compiti scompaginando la corsa e rovinando i piani delle altre Nazionali, sopratutto la Spagna e la Gran Bretagna.
Prima con De Marchi - sacrificato come pedina iniziale per controllare le fughe di giornate - poi con un ottimo Caruso, che ha centrato la fuga principale, e infine con Aru che ha saputo appoggiare da ultimo uomo il forcing finale del capitano Vincenzo Nibali. Sebbene possa suonare assurdo a guardare l’ordine finale di arrivo, l’Italia ha disputato un’ottima Olimpiade: tutte le azioni principali della corsa sono state volute e create dagli uomini di Davide Cassani.
Le altre squadre hanno più che altro subito le decisioni azzurre, costrette a rincorrere senza sosta sin dall'inizio. La Spagna è stata la maggiore delusione, soprattutto a causa della condizione negativa di Valverde, considerato come uno dei candidati principali per la medaglia d'oro, non ha mai rappresentato un serio pericolo per nessuno. Ma anche la Gran Bretagna non è stata da meno, con un Chris Froome troppo lento a reagire agli attacchi degli avversari, rimasto indietro e senza compagni di squadra, cosa a cui non è abituato. Infine la Francia: completamente anonima, salvata unicamente dalla prestazione di Alaphilippe che negli ultimi trenta km ha dato mostra di tutto il suo talento, senza tuttavia riuscire a fare la differenza.
Il momento decisivo della corsa è arrivato a circa trenta km dall'arrivo, nella discesa del secondo giro del circuito Aru e Nibali hanno attaccato insieme, costringendo gli altri corridori a uscire fuori dal gruppo, creando un piccolo plotone che si è trascinato per diversi km. Un’azione improvvisa che ha avuto il merito di mettere fuori dai giochi alcuni corridori temuti, come Froome e Valverde, e per diversi km anche Purito Rodriguez.
L'azione italiana ha permesso inizialmente di recuperare i battistrada, solo Yates, Majka e Fuglsang sono riusciti ad accodarsi. L’idea di Davide Cassani era di far risparmiare energie a Nibali, per portarlo ai piedi della salita finale con la forza necessaria per sferrare l'attacco decisivo. Un piano riuscito a metà. Nibali infatti, nonostante gli allunghi ripetuti sull'ultima parte della salita di Vista Chinesa, non è riuscito a scrollarsi di dosso gli ultimi due corridori rimasti: Henao e Maijka.
Consapevole dei propri limiti, a questo punto Nibali ha deciso di rischiare il tutto per tutto: attaccare ancora in discesa. Dopo aver scollinato la salita si è lanciato in un attacco deciso, molto rischioso per tentare di rimanere da solo nei km in pianura da affrontare successivamente. E poi è accaduto l’inevitabile (più o meno): una caduta che ha interrotto il sogno della medaglia proprio nel momento in cui aveva cominciato a sembrare possibile.
Dramma
Quindi ricapitolando: abbiamo creato tutte le azioni decisive, abbiamo costretto gli altri a rincorrere, abbiamo allontanato i corridori più temuti. Siamo stati belli, arroganti, e spavaldi. Ma torniamo a casa, ancora una volta, senza una medaglia. Come è stato possibile?
Se andiamo ad analizzare gli ultimi trenta km della corsa è difficile dare una risposta, forse è anche inutile razionalizzare la cosa tentando di dare un senso a quanto accaduto. Nella parte decisiva della corsa, quando Aru dopo aver lavorato fino all'ultimo per Nibali si è staccato dando spazio all'azione del siciliano, tutto è sembrato prendere il verso giusto. Gli allunghi del capitano azzurro, gli avversari che si allontano, e la strada spianata verso la vittoria. Almeno per un po’: quando Nibali non è riuscito a staccare del tutto i suoi avversari nella salita di Vista Chinesa le certezze hanno cominciato a essere minate.
Vincenzo Nibali è spesso accusato di essere un corridore sopravvalutato, che ha costruito tutte le sue più importanti vittorie grazie a una fortuna sfacciata. La conquista del Tour de France 2014 ancora oggi stenta ad essere riconosciuta come una vera impresa, e a due anni di distanza il siciliano è ancora accusato di aver conquistato il gradino più alto del podio di Parigi grazie alle cadute di Froome e Contador.
Anche quest’anno Nibali è accusato di aver conquistato la maglia rosa solo grazie alla caduta di Kruijwijk durante la discesa dal colle dell'agnello. Evitando di entrare nel merito della questione, dire che Nibali è un corridore sopravvalutato è un affermazione semplicemente senza senso. Quello che ci interessa fare qui è tentare - quantomeno per esorcizzare la cosa - di dare un senso a quanto accaduto durante questa Olimpiade.
Nibali è uno dei corridori più abili al mondo come discesista, uno che a 90 km orari riesce a saltare le buche con una facilità disarmante, che disegna traiettorie pulite e decise, mettendo quasi sempre in difficoltà i suoi avversari. Vederlo cadere a terra, in un terreno a lui ideale, è stato una cosa al tempo stesso assurda e deprimente.
Sarà stato il karma? Una specie di destino universale ha deciso di riprendersi con gli interessi la caduta di Kruijwijk durante il Giro d'Italia e quella di Froome e Contador al Tour de France di due anni fa?
Al termine della corsa, Davide Cassani ha dichiarato «sapevamo che l'ultima curva era pericolosa, credo sia scivolato, era stata una gara perfetta, tutti i ragazzi erano stati bravissimi e lui era in grande condizione». Dopo la caduta, a Nibali è stata diagnosticata la rottura della clavicola. Quindi, anche volendo, una partecipazione alla Vuelta è da escludere, e anche il Giro di Lombardia sembra compromesso.
Dopo la corsa, un Fabio Aru in lacrime ha espresso tutto il suo sconforto: «C’è una grandissima stima tra noi, è stato un piacere poterlo aiutare e dare un contributo alla nazionale. Non abbiamo raccolto quanto meritavamo ma abbiamo dato dimostrazione di compattezza, di unione».
Dopo la caduta Nibali si è seduto sul bordo del marciapiede, accovacciato senza una smorfia, né una reazione, una maschera di ferro.
Una delle teorie è che Nibali abbia preso il marciapiede eccessivamente alto che delimitava il percorso.
L'oro belga
Greg Van Avermaet è un corridore professionista quasi per caso, da giovane il suo futuro più che a macinare km in sella a una bicicletta, se lo immaginava tra i campi di calcio, precisamente tra i pali di una porta. Fin da bambino il suo sogno era diventare un calciatore professionista, e a 17 anni era già il secondo portiere del Bevern, squadra che militava in quel periodo nella massima serie belga.
È stato un brutto infortunio a tracciare il suo destino: in quel periodo, per recuperare la forma fisica, ha fatto tanta riabilitazione in sella ad una bicicletta. E da quel momento non si è più fermato. Sarà perché è belga, e in Belgio la tradizione e il seguito del ciclismo non hanno rivali con nessun altro sport, o forse perché era scritto nel suo dna: il nonno correva insieme a Fausto Coppi. O forse non c'è nessuna ragione, semplicemente Van Avermaet dopo l'infortunio ha scoperto di andare forte in bicicletta, ha iniziato anche a vincere, e ha deciso - per sua fortuna - di abbandonare il calcio per dedicarsi anima e corpo al ciclismo.
Van Avermaet ha vinto la medaglia d'oro con una delle sue tipiche azioni: quel misto di resistenza, forza e aggressività che lo rendono uno dei corridori più temuti nelle classiche più dure, come il Giro delle Fiandre, in cui bisogna superare i propri limiti, non andando mai in riserva di energia.
La sua vittoria è anche il frutto della doppia caduta di Nibali e Henao, ma anche qui si potrebbe aprire una discussione a parte. Il gruppo composto da dieci corridori - tra cui Van Avermat, Rodriguez, Aru e e Fuglsang - stava recuperando margine dai battistrada, ed è molto probabile che anche se Nibali ed Henao non fossero caduti, questi sarebbero rientrati senza problemi.
Negli ultimi duemila metri, dal gruppo rimasto indietro, Van Avermat e Fuglsang sono stati gli unici due che hanno fatto la differenza. In coppia, hanno staccato gli altri e sono riusciti a recuperare un esausto Majka. A quel punto la stoccata finale di Van Avermaet che sullo sprint ha allungato su Fuglsang conquistando la medaglia d'oro.
La vittoria più importante della sua carriera, dopo le gioie di quest'anno al Tour de France e la delusione del Giro delle Fiandre.