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Tommaso Giagni
N'Golo Kanté, ogni contrasto una questione personale
08 ago 2018
08 ago 2018
Ritratto di una delle persone più umili del calcio mondiale.
(di)
Tommaso Giagni
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Vedi in mezzo al campo questo martello, questo furioso imballo di energia dalla piccola statura, che aggredisce chiunque s'azzardi a tenere il pallone tra i piedi, ogni contrasto una questione personale. Lo vedi correre come se dubitasse che ci sarà ancora il mondo dopo il fischio finale. E quando davvero la partita si conclude, vedi N'Golo Kanté ritirarsi con la timidezza di chi pensa sia meglio filare. Si direbbe soffrire della sindrome dell'impostore, visto come fila, come un abusivo che non avrebbe le carte in regola per giocare a livelli professionistici.

 

È una fantasia, ma potrebbe non esserlo: forse Kanté non si capacita davvero di aver meritato il successo. Forse si è ritrovato troppo in fretta a essere considerato, e potersi riconoscere, un campione. A ventidue anni andava agli allenamenti e a fare la spesa con il monopattino, perché non poteva permettersi un'auto. Cinque anni dopo, aveva vinto due Premier League e una Coppa del Mondo da protagonista, e secondo Frank Lampard era “il miglior centrocampista al mondo”.

 

Poteva essere un contabile. Si è pure laureato in Accountancy, quando non era sicuro che il calcio potesse diventare il suo mestiere. Aveva già ventun anni e giocava con la squadra riserve del Boulogne (il club che lanciò Franck Ribéry) nella CFA2, la quarta divisione francese, non professionistica. La società non provvedeva ad alloggiare i suoi giocatori, allora N'Golo viveva nel dormitorio di una scuola professionale per meccanici ed elettricisti.

 





 



Esattamente dieci anni prima che Kanté nascesse, il 29 marzo 1991, la Francia viveva le frenetiche, ultime settimane prima delle elezioni presidenziali. La campagna del candidato Mitterrand si incentrava su uno slogan che suonava ossimorico: “La force tranquille”.

 

Appena prima di quelle elezioni, nel 1980, i genitori di Kanté erano arrivati a Rueil-Malmaison, nell'hinterland parigino. Venivano dal Mali, dove N'Golo è stato un paio di volte soltanto (la nazionale maliana ha provato più volte a convincerlo a scegliere la maglia delle Aquile). Cresce in un piccolo appartamento al primo piano, con i suoi fratelli e sorelle: in tutto sono otto, lui è il primogenito. A undici anni si ritrova a dover gestire un ruolo impegnativo, perché il padre muore e la madre non guadagna molto a fare le pulizie. Il suo nome viene da un re maliano del Settecento “che partì dal basso fino ad arrivare a conquistare un regno”, come spiega lo stesso Kanté: “Un po' si può paragonare a quello che è successo a me nel calcio”.

 

Dai dieci ai diciannove anni, ha giocato in una piccola squadra locale, il JS Suresnes (dove si sono formati anche Sylvain Distin e Armand Traoré), nel comune adiacente a quello dove Kanté viveva. Il suo allenatore, Piotr Wojtyna, lo schierava sempre in una formazione più debole, per riequilibrare le cose. Già allora Kanté era minuto rispetto agli altri, e non solo perché giocasse sotto-età: “Sembrava un bambino in mezzo a ragazzi” ha scritto Jayaditya Gupta di ESPN, “proprio come ora sembra un ragazzo in mezzo a uomini”. Verosimilmente è per questa differenza fisica che venne scartato da Rennes, Lorient, Sochaux, Beauvais e Amiens.

 


I festeggiamenti per la conquista della Premier League 2016/17.


 

A ventitré anni, dopo un passaggio nella prima squadra del Boulogne, gioca al Caen in Ligue 2. Un'altra città costiera della Francia settentrionale, dopo Boulogne-sur-Mer, a neanche cento chilometri dalla Le Havre dove iniziò la carriera di Lassana Diarra, il suo modello.

La stagione 2012/13 lo vede sempre impiegato e si conclude con la promozione nella massima serie. In prima squadra c'è anche un giovanissimo di talento, il diciassettenne Thomas Lemar. Nel secondo anno in Normandia, Kanté diventa il migliore di Francia per numero di tackle e palle intercettate. Il primo gol stagionale del Caen in Ligue 1 lo segna proprio lui. Ci si può vedere una premonizione. Nel futuro guarda di sicuro Franck Silvestre, quando in quel periodo annuncia: «Diventerà più forte di Makélelé».

 

La gara che consacra N'Golo è probabilmente quella contro l'OM di Bielsa al Vélodrome: il Caen è sotto 2-0 ma rimonta e vince 2-3, grazie a lui che si carica la squadra sulle spalle (“Da solo si è mangiato l'intero centrocampo del Marsiglia” racconterà Guillaume Laine di «Ouest France»).

 


A Caen, dicembre 2014.


 

Durante la seconda stagione a Caen, Kanté si sta facendo notare. Gli viene chiesta l'autorizzazione per un breve reportage sul suo percorso da calciatore: in prima battuta rifiuta, perché non capisce il motivo di un reportage su di lui.

 

In ritiro, a quei tempi, N'Golo chiese a un compagno di squadra se pregando in camera potesse infastidirlo. Nei minuti immediatamente successivi alla vittoria dei Mondiali in Russia, durante i caotici festeggiamenti dei francesi, è dovuto intervenire il compagno N'Zonzi perché la Coppa finisse tra le mani di Kanté in modo da fargliela stringere. Lui si vergognava di chiedere.

 


La differenza di taglia con Graziano Pellè.


 



Oggi l'attaccante Troy Deeney, da avversario, ha una continua “paura che lui possa arrivare”. Perché se fuori è straordinariamente quieto, sul terreno di gioco Kanté “si trasforma in un mostro” come ha spiegato l'ex compagno Cédric Fabien.

 

Un metro e sessantotto d'altezza e una fisicità piuttosto esile in assoluto. Figurarsi a centrocampo, figurarsi in Inghilterra. Se il calcio degli ultimi vent'anni sembra premiare inesorabilmente i corpi colossali dei Pogba e dei Milinkovic-Savic, la percussione del martello di Kanté si ostina a farsi udire da sotto lo strato di corpi minuti che la modernità ha sepolto.
Nelle prime settimane che lo allena, Claudio Ranieri dubita che il ragazzo possa reggere l'urto fisico della Premier League. Ma lo scout del Leicester che ha convinto il club a investirci, Steve Walsh, ogni volta che incrocia il tecnico al centro sportivo gli sussurra all'orecchio: «Kanté, Kanté...».

 

La spiegazione è l'ubiquità apparente. La capacità di coprire il terreno di gioco come pochi.
La prima impressione di Steve Walsh, quando lo visionò ai tempi di Caen, fu che di Kanté in campo “ce ne fossero due”. Phil Neville lo considera “un numero 6, e 8, e 10: è assolutamente ovunque. Ridefinisce quello che ci aspettiamo da un centrocampista”. Secondo il compagno Eden Hazard, giocare insieme a Kanté è come giocare con due gemelli. E ancora, Claudio Ranieri gli disse: “Un giorno ti vedrò crossare e andare tu stesso a concludere di testa”.

 

La percezione dell'ubiquità racconta di un'intelligenza tattica che va insieme a un'intelligenza tout court: la sola a poter rendere possibile che un mediano come lui riceva solo 18 ammonizioni in 129 gare da quando è in Inghilterra. Di più: in tutta la sua carriera professionistica, tra club e nazionale, Kanté è stato espulso una sola volta (a Caen, nel 2014) per doppia ammonizione.

 



 

Nelle East Midlands ci arriva nonostante il corteggiamento lusinghiero del Marsiglia, che però non ha voluto offrire più di 6 milioni. Kanté deve sostituire Cambiasso e l'investimento delle Foxes è piuttosto importante: 9 milioni di Euro. Una scommessa. Presto a Leicester si canta: «He came across the sea / to play for you and me». Perché non solo il Leicester vince quel campionato leggendario, ma Kanté è alla base del successo almeno quanto le stelle Mahrez e Vardy. Dopo una sola stagione il costo del suo cartellino è quadruplicato.

 

Anche per il Chelsea, a veder bene, ingaggiare Kanté è in qualche modo una scommessa. Puntare forte su un giocatore che ha un solo anno in Premier League, togliendolo da un contesto evidentemente speciale, dove tutto ha girato nella direzione giusta. Il ragazzo comunque si inserisce nella squadra di Conte in modo formidabile, da subito. Quei 35,8 milioni di Euro dell'acquisto si rivelano benedetti.

 

In due stagioni vince un campionato, per la seconda volta consecutiva, e una FA Cup lo scorso maggio. Sul trionfo della Premier 2016/17 il suo stampo è chiarissimo: quasi tutti lo salutano come il miglior giocatore del torneo. E se pure il Chelsea non va oltre gli Ottavi in Champions League, Kanté sul piano internazionale non deve dimostrare granché ormai, da luglio, se a qualcuno venisse voglia di criticarlo in questo senso.

 


Campione del mondo.


 

Per accorgersi a pieno delle sue abilità, è necessario passare del tempo a studiarlo, sostiene l'ex compagno Mark Schwarzer. In effetti la sua carriera ha virato bruscamente quando rischiava di essere tardi.

 

Non l'avevano voluto nella prestigiosa accademia di Clairefontaine. Non è mai stato convocato nelle nazionali giovanili francesi. La Francia non fa che rimediare ai propri errori, perciò, quando lo chiama a vestire la maglia bleue. L'esordio di Kanté arriva all'inizio della primavera 2016, un'amichevole ad Amsterdam contro l'Olanda. La settimana seguente c'è la prima da titolare, contro la Russia allo Stade de France. Quel giorno N'Golo gioca tutta la gara e segna un gol. È il giorno del suo venticinquesimo compleanno.

 

Deschamps lo inserisce gradualmente. Se agli Europei 2016 Kanté aveva ancora un ruolo di secondo piano (dagli Ottavi in poi raccolse appena 64 minuti in campo), i Mondiali diventano il primo grande appuntamento della sua carriera in nazionale. Ci arriva comprensibilmente turbato, poco lucido, per la morte recente di uno dei suoi fratelli.
Gioca per intero tutte le gare che portano la Francia in finale. Quel giorno però Kanté è malato, ha la gastroenterite. Va in campo lo stesso ma non è lui, va in difficoltà e si fa ammonire, viene sostituito dopo un'ora.

 


Maggio 2016. A Clairefontaine per preparare gli Europei con la nazionale francese, poche settimane aver esordito con i Bleus.


 

Delicato e taciturno fuori dal campo, il suo gioco corre funambolicamente sul confine dell'aggressività tra correttezza e scorrettezza. Assilla gli avversari, insegue le caviglie, spicca nelle statistiche per tackle e palle intercettate. Al tempo stesso è “un ragazzo gentile, con cui tutti ridono perché tutti gli vogliono bene” per usare le parole di Ranieri. Riservato, al punto che quando suo padre morì, nessuno a Suresnes lo venne a sapere.

 

L'onnipresenza e la quasi assenza. N'Golo Kanté è la dimostrazione che si può essere qualcosa in pubblico e qualcosa di opposto nella propria intimità. E che l'applicazione può rovesciare le dinamiche ostili di un contesto, fino a costringerlo ad adattarsi alla tua diversità. E ancora, è la prova che giocare a calcio può esprimere i bisogni profondi che non trovano la luce altrimenti.

 

La sua valutazione si è ulteriormente triplicata, da quando il Chelsea lo acquistò. Sulle tracce di N'Golo Kanté ci sono i maggiori club europei. In prima fila c'è il PSG, che ha il suo centro d'allenamento a Saint-Germain-en-Laye, dieci chilometri a ovest della strada dove N'Golo Kanté è venuto su. Avrebbero risparmiato un centinaio di milioni se si fossero accorti di lui in tempo, quando correva a Suresnes, quando dubitava di poter diventare un professionista perché i provini andavano male.

 

 

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