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Guida ufficiosa alla NFL 2020/21
08 set 2020
08 set 2020
I temi principali di una stagione particolare, che sta per iniziare.
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Aaron Rodgers e Green Bay Packers sono all’ultimo giro di giostra insieme?

Michele Serra

Che qualcosa si sia rotto tra Rodgers e i Packers è cosa nota, a maggior ragione dopo l’ultimo draft. La richiesta d’aiuto del quarterback, che chiedeva più armi a disposizione nel reparto ricevitori, è stata bellamente ignorata. Green Bay non ha approfittato di una delle classi di wide receiver più profonda del nuovo millennio, preferendo rafforzarsi in altre posizioni.

Anzi, quello che è emerso, più o meno implicitamente, è la volontà del coaching staff di cambiare approccio offensivo. L’arrivo di Matt LaFleur, la scorsa estate, era stato interpretato come un tentativo di modernizzare un attacco ormai appassito dopo le ultime stagioni con Mike McCarthy alla guida. Il piano è riuscito a metà; i Packers hanno concluso la stagione regolare 13-3, approfittando di un calendario nella media in quanto a difficoltà (la strenght of schedule, cioè il computo totale di vittorie-sconfitte delle avversarie dei Packers nel 2019, si collocava esattamente a metà classifica) e di una difesa che, pur non efficientissima, non si è mai spezzata: ha subito poco meno di 20 punti a partita, ottavo miglior dato, e ha generato molti recuperi (25, settimo miglior dato di Lega).

Nelle ultime due stagioni, l’efficienza di Rodgers è calata moltissimo. Il suo QBR – una statistica introdotta da ESPN che misura l’efficienza di un passatore – è stato mediocre, e lo ha visto precipitare in questa classifica: 16esimo nel 2018, 20esimo lo scorso anno.

Tornando al draft, le scelte del GM Gutekuns hanno fatto capire due cose: che Rodgers ha il fiato sul collo, come testimonia la scelta di Jordan Love, un passatore tanto acerbo quanto intrigante per caratteristiche e che i Packers quest’anno vogliono fare un passo oltre Rodgers anche sul campo: ecco il perché delle scelte di AJ Dillon, peraltro neanche il miglior running back a disposizione nel draft al momento della scelta dei Packers, del tight end Josh Deguara – principalmente un bloccante – e della guardia Joe Runyan, scelta al sesto giro ma di cui si parla un gran bene.

Visti gli eventi degli ultimi mesi, Rodgers ha già capito che il suo futuro sarà lontano da Green Bay, come ha fatto anche intendere in un’intervista.

Immaginare A-Rod lontano dal Lambeau Field è sempre stata fantascienza, ma ora la separazione tra le due parti sembra inevitabile, e alla dirigenza sembra stare bene così.


Sarà un matrimonio felice quello tra Bruce Arians e Tom Brady?

Manuel Tracia

La convivenza tra i due è meno automatico di quello che in tanti pensano, stampa compresa. Il possibile successo si regge sul delicato equilibrio tra la filosofia di Arians e l’attacco che Josh McDaniels aveva cucito addosso a Tom Brady, venendo incontro alle sue naturali inclinazioni.

Arians, come fatto vedere in carriera e confermato a Tampa lo scorso anno, vuole che il proprio quarterback lanci spesso e sul profondo. Dopo Palmer, Arians aveva trovato in Winston un giocatore senza via di mezzo, che ha chiuso la stagione con 33 touchdown e 30 intercetti. D’altronde con Chris Goodwin e Mike Evans da innescare era normale per l’attacco avere una filosofia prettamente verticale, che però si contrappone ai lanci corti per muovere la catena cari a Brady.

Non è solo questione di quantità, ma anche di efficienza: Brady nel 2019 è stato ben al di sotto della media NFL sulle tracce intermedie e profonde, che sono stati la chiave di Tampa. Tuttavia erano anni che Brady non aveva davanti a sé una batteria di ricevitori così talentuosa ed efficiente, basti pensare che Goodwin l’anno scorso ha raccolto il 95% dei passaggi ricevibili (1° nella lega).

Arians ha però già fatto sapere che l’attacco dei nuovi Bucs sarà comunque meno spregiudicato e partirà da una base 12-personnel (con “soli” 2 ricevitori schierati in campo) che aiuterà sia in fase di bloccaggio, potendo contare per esempio su un tight end eclettico come Gronk, sia nello sviluppo di giochi più vari e meno verticali. Curiosa in questo senso la presa di Fournette le cui caratteristiche da north to south runner e poco altro, mal si sposano con la flessibilità nel ruolo di cui spesso Brady ha usufruito (vedere alla voce: James White).

Arians e Brady hanno l’intelligenza e il talento per prendere il meglio da entrambi, ma non è un processo scontato, facile o veloce. E la NFC South quest’anno è una division da azzannare da week 1.


L’Opt Out per il Covid-19, l’opzione speciale introdotta dalla lega per esentare i giocatori che ne facevano richiesta a giocare questa stagione, è scaduta il lontano 6 agosto: giusto o sbagliato?

Michele

Fino ad alcune settimane fa, temevo molto per le sorti della stagione. Non ho grossa fiducia nei confronti della NFL come organizzazione, soprattutto quando si tratta di tematiche extra-campo per cui bisogna prendere decisioni chiare e tempestive. Ovviamente non ero positivo neanche quando si è trattato di trovare soluzioni per frenare l’avanzata della pandemia almeno nelle sedi dei singoli ritiri. Per quanto riguarda la data della deadline per gli opt out, credo che la Lega lo abbia fatto per tre motivi.

Per dare alle squadre il tempo per scandagliare il mercato dei free agent e sostituire gli eventuali “ammutinati”, permettere alle singole franchigie di impostare un training camp sapendo già su quali uomini contare, costringere i giocatori a prendere una decisione nel minor tempo possibile, evitando eventuali ripensamenti che potevano decimare le squadre. Probabilmente si è voluto mettere un freno alla capacità decisionale dei giocatori, rischiando di trovarsi a corto di talento, e quindi di appetibilità e competitività all’interno della Lega. Credo che le singole squadre abbiano creato degli ambienti sicuri all’interno dei propri training camp, ma il fatto che la NFL abbia dovuto muoversi solo dopo le insistenze dei giocatori sui social media, fa capire come la Lega di Goodell sia ad anni luce di distanza da altre, almeno a livello di sensibilità e di vicinanza ai giocatori.


Stefon Diggs basterà a far fare il salto definitivo a Josh Allen e i Buffalo Bills?

Manuel

La mossa di Buffalo è stata sorprendentemente precipitosa per una dirigenza che negli ultimi tempi si è mossa sempre con molta cautela. Forse la partenza di Tom Brady verso Tampa, e la possibilità di mettere finalmente le mani sulla AFC East, li ha convinti a provare il colpo e investire tutte quelle scelte per l’ex Minnesota.

Diggs è stato forse il ricevitore con il rapporto talento/palloni ricevuti peggiore della lega: ai Vikes, tra il pesante running game di Zimmer e la presenza di Adam Thielen, Stefon è stato tra i primi 25 ricevitori nella lega per lanci tentati nella sua direzione una sola volta nei suoi 5 anni in NFL, ma la sua produzione è stata comunque ben al di sopra dei palloni messi a lui disposizione.

Ai Bills diventerà indiscutibilmente il primo target di una squadra con chiare ambizioni, che era il suo obiettivo dichiarato dopo tutti quei mal di pancia mai celati a Minnesota nell’ultimo biennio. D’altronde Buffalo l’anno scorso si erano affidati a due giocatori di (ottimo) contorno come John Brown e Cole Beasley, e per far fare alla squadra un salto di qualità serviva un ricevitore #1 fatto e finito.

Diggs non solo è il ricevitore che meritano, ma anche quello di cui hanno disperato bisogno. Con la sua grande capacità di separazione, il suo route-running d’élite con un skill set che gli permette di essere una minaccia sul profondo, Diggs può colmare le lacune che lo scorso anno hanno colpito Josh Allen, tra gli ultimi 5 quarterback per precisione sui palloni profondi. Nonostante abbia uno dei bracci più potenti della lega, Allen continua a non averne davvero il controllo: i Bills allora sono andati in cerca di un giocatore capace di ricevere qualsiasi pallone lanciato verso di lui. Insomma Brandon Beane, l’ex Director of football operations dei Panthers e oggi GM di Buffalo, vuole fare di Diggs quello che Steve Smith fu per un giovane Cam Newton.

Il fit tra ricevitore e squadra è sulla carta perfetto ed è forse questo che ha fatto pendere la dirigenza verso la scelta di investire oggi su Diggs invece di far crescere uno dei tanti talentuosi ricevitori che arrivava dalla profonda classe di questo draft. Allora forse la domanda diventa: Diggs serve più ai Bills o alla carriera di Josh Allen?


Cam Newton e Bill Belichick: sodalizio vincente?

Michele

Sono un fan di Cam Newton, e anche della mossa che lo ha portato ai Patriots. È un caso – neanche troppo frequente – di low risk, high reward, almeno per la squadra di Belichick. Il contratto dato a Cam è ridicolo, un annuale a poco più di un milione. I problemi fisici hanno segnato un po’ tutta la sua carriera, ma è anche vero che le alternative per i Patriots non erano proprio entusiasmanti. Jarrett Stidham è praticamente un rookie, e lo scorso anno non ha neanche fatto vedere chissà quali grandi cose tali da giustificare ottimismo nei suoi confronti (un sack subito e un intercetto in quattro passaggi tentati). Dal canto suo, una volta rilasciato da Carolina, Newton si è tirato a lucido, pronto per una nuova occasione che certamente si sarebbe presentata; stiamo pur parlando di un ex MVP di 31 anni che è in grado di fare qualunque tipo di lancio e con la leadership sufficiente per guidare un attacco.Quello che più mi preoccupa non è tanto la sua fragilità fisica, quanto il contesto di squadra. I Patriots hanno perso elementi importanti in free agency e sono stati nettamente la squadra più colpita dai cosiddetti opt out per il covid (molti Patriots si sono tirati fuori dalla stagione 2020 per evidenti timori sanitari).

Il reparto ricevitori è povero come poche volte lo è stato da quando Belichick è sulla panchina; Edelman è un valido ricevitore, ma non è certamente il giocatore sulle cui spalle affidare un reparto, sperando che N’Keal Harry possa dare un po’ di verticalità e imprevedibilità a un attacco pieno di slot receiver e ricevitori monodimensionali. Occhio a Damiere Byrd, che ai Cardinals ha dimostrato di essere un valido route runner: chissà che in questa penuria di talento non possa ritagliarsi uno spazio significativo.

La linea offensiva è altrettanto problematica, soprattutto nei tackle: non il massimo per un giocatore con quel fisico e quei problemi pregressi di infortuni.Per concludere: mi fido di Cam e mi fido di Belichick, ma non mi fido del contorno.


Saranno gli Eagles o i Cowboys a salire sul tetto della NFC East?

Manuel

È dalla stagione 2004 che una squadra non vince almeno due volte consecutivamente la division: erano gli Eagles dei giovani Andy Reid e Donovan McNabb che avevano appena completato un poker di successi nella NFC East fino ad arrivare al Super Bowl, poi perso.

Dopo 16 anni niente sembra essere cambiato: ancora una volta non sono i detentori del titolo, ma i Cowboys. La squadra di Dallas arriva ai nastri di partenza di questa stagione con il presentimento, che potrebbe trasformarsi in consapevolezza strada facendo, di essere sulla strada giusta per qualcosa di grande. Ad un nucleo ormai maturo (da Prescott a Elliott, da Amari Cooper alla offensive line) si sono aggiunti innesti funzionali e già pronti a funzionare. E non parlo solo del grande draft fatto, con la scelta di CeeDee Lamb su tutti, ma anche della novità in panchina: dopo anni di underachievement sotto la discutibile gestione Garrett, Jerry Jones ha portato a Dallas un coach che potrebbe far fare un salto di qualità alla squadra.

Certo Mike McCharty era stato allontanato da Green Bay reo di non essere riuscito a stare al passo con i tempi, ma dalle ultime interviste pare aver imparato la lezione. E anche se il suo arrivo non avrà l'impatto che ci si aspettava, Dallas aveva comunque bisogno come l’ossigeno di un cambiare direzione e di presentarsi ai rivali divisionali con una nuova veste tutta da scoprire. Certo la difesa è un punto di domanda, e tante delle loro ambizioni passeranno da lì, ma subito dietro alle due potenze della conference ci sono i Cowboys pronti a sorprendere tutti.

Gli Eagles sulla carta non sarebbero da meno ma gli infortuni dell’oggetto del mistero Dillard e soprattutto della guardia Brandon Brooks minano la tenuta del reparto su cui ha costruito il suo successo Philadelphia. Se riusciranno a reagire ai molti infortuni (in week 1 ad esempio non ci saranno starter come Alshon Jeffrey, il rookie Jalen Reagor e il neo acquisto Hargrave) potrebbero provare a prendersi una wild card.


Che impatto avrà giocare in stadi deserti o capacità ridotta?

Michele

Sicuramente ne risentiranno le squadre che fanno del fattore campo un’arma in più: penso ad esempio ai New Orleans Saints, pressoché imbattibili nel loro Louisiana Superdome. Ovvio, andare a giocare a New Orleans non sarà una passeggiata per nessuno, ma meglio farlo in uno stadio vuoto che in uno occupato da 70mila tifosi urlanti.

Un altro risvolto interessante di questa situazione, che costituisce un territorio inesplorato, sarà l’utilizzo dell’hard count e degli schemi chiamati dai quarterback prima dello snap. Negli stadi più rumorosi questo è da sempre un problema: il quarterback deve sgolarsi per farsi sentire dai compagni e dal centro quando è il momento di “snappare” la palla. Quando non ci riesce, e il tempo scade senza che l’azione sia partita, il risultato è una false start.

Di contro, senza pubblico, il quarterback difficilmente dovrà preoccuparsi di farsi sentire senza urla di sottofondo, togliendo così un’arma importante alle squadre che giocano in stadi particolarmente roventi. Quest’anno noi tutti ci siamo dovuti adattare in tanti aspetti di questa nuova realtà temporanea, e le squadre NFL non fanno eccezione.


In AFC è davvero solo un affare tra Chiefs e Ravens?

Manuel

I Chiefs sono una delle squadre vincitrici del Super Bowl che meno si è disgregata negli ultimi anni, anzi il blocco fondamentale è stato ampiamente riconfermato, non vedo come non possano essere di nuovo a giocarsi qualcosa di importante a gennaio, stessa cosa dicasi per i Ravens un gruppo giovane che ha lavorato, come sempre, con innesti mirati.

Il vero giochino a questo punto sta nel trovare appunto un terzo incomodo. È dura scommettere contro Belichick ma come dicevi tu è difficile affidarsi a questi Patriots martoriati da opt-out e leggeri in più di un reparto. I Texans invece di fare il decisivo passaggio che li separava dalla élite si è sparata sui piedi con una offseason senza alcun senso (e Arizona ancora ringrazia). I Bills sono un bel progetto ma Allen deve dimostrarsi un quarterback più solido di così per fare strada. Ho ancora il dubbio che i Titans e Tannehill siano stati un grande one year wonder, ma sono pronto ad essere smentito.

Due nomi che potrebbero emergere dal gruppo delle inseguitrici sono i Colts, sperando in un ultimo colpo di coda di Rivers, e gli Steelers, che ritrovano un Ben Roethlisberger tirato a lucido e una squadra molto ben bilanciata a livello di talento. Immaginare che qualcuno riesca davvero ad impensierire Kansas City e Baltimore però è uno sforzo al momento troppo grande.


Baker Mayfield e i Cleveland Browns sono ad un bivio: successo o definitivo fallimento?

Michele

Nella stagione 2019 i Cleveland Browns sono stati prigionieri delle loro stesse aspettative. O, più semplicemente, ci si è resi conto troppo tardi di essersi affidati alle persone sbagliate. Freddie Kitchens e Baker Mayfield erano stati i salvatori della stagione 2018, conclusa senza playoff ma con un ottimismo che non si vedeva da molti anni. Ma i Brown sono tornati prepotentemente sulla terra la stagione scorsa, scoprendo che Kitchens non è un buon head coach NFL, perlomeno non ora, e Mayfield ha ancora diversi scalini da salire prima di diventare un grande quarterback.

Certo, è stato Kitchens a mettere in grossa difficoltà il suo quarterback con un gioco offensivo tanto spettacolare quanto inefficiente: la continua ricerca della big play, con conseguente necessità di aspettare molto tempo prima che la stessa prendesse forma tramite le tracce dei ricevitori, ha danneggiato Mayfield, che è apparso sempre meno sicuro dietro la sua offensive line. Lo scorso anno l’ex quarterback di Oklahoma è stato il terzo passatore più pressato della NFL (65 hurries), il quarto ad avere subito più blitz (211) e il quinto per sack subiti. Mayfield ha iniziato ad assumere la tendenza di scappare dalla tasca il prima possibile – anche perché spesso costretto – a discapito della precisione (penultimo per passaggi on target, davanti solo a Winston).

L’arrivo di Stefanski aiuterà a creare un gioco di corsa affidabile e su cui fondare l’attacco, in particolare attraverso la outside zone (il gioco di corsa sviluppato lateralmente, verso l’esterno): lo scorso anno i Vikings sono stati la terza squadra per percentuale di corse effettuate, 48%, con il 30% di esse in outside zone, uno dei dati più alti della Lega. Per quanto riguarda uno dei punti più deboli nel roster dei Browns, la linea offensiva è stata aggiustata nelle posizioni di tackle, con gli arrivi di Jack Conklin (right tackle, tramite free agency) e di Jedrick Willis (left tackle, decima scelta assoluta al draft).

La sensazione è che Mayfield abbia patito il più classico sophomore slump, accentuato dalla pessima situazione schematica in cui era inserito. Di sicuro, la stagione sua e di Cleveland rappresentano una delle storie più interessanti da seguire in questa nuova, assurda stagione.

Chi andrà ai playoff?

Michele

AFC: Bills, Ravens, Colts, Chiefs, Patriots, Texans, Steelers.

NFC: Cowboys, Vikings, Saints, 49ers, Seahawks, Buccaneers, Eagles.

Manuel

AFC: Chiefs, Ravens, Colts, Bills, Steelers, Patriots, Texans.

NFC: Cowboys, Saints, Vikings, 49ers, Seahawks, Packers, Bucs.

Michele Serra è autore, insieme ad Alberto Cantù, della guida tattica a questa stagione di NFL. Un libro che potete acquistare qui.


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