Arrivare alle finali di conference è un risultato tutt’altro che scontato in NBA. Solamente quattro squadre su trenta riescono a farcela e solitamente solo quelle che hanno i migliori giocatori possono ragionevolmente pensare di arrivarci ogni anno come risultato minimo, e per alcune nemmeno basta — come insegnano i Milwaukee Bucks dello scorso anno con l’MVP e Difensore dell’Anno in carica Giannis Antetokounmpo, fermati al secondo turno dai Miami Heat.
Arrivare alle finali di conference, però, porta anche con sé un carico di aspettative per l’anno successivo, specie se ad arrivarci è una squadra con due stelle giovani come i Denver Nuggets di Nikola Jokic e Jamal Murray. Insieme agli Heat, i Nuggets sono stati la “storia” dei playoff nella bolla, rimontando per due volte da 1-3 nelle serie contro Utah e Clippers per arrivare a giocarsela con i Los Angeles Lakers in una finale più combattuta di quanto possa dire il 4-1 conclusivo dei gialloviola. Lo stesso Jared Dudley nel suo libro sulla cavalcata nella bolla ha scritto che “quella serie è stata molto più difficile di quello che pensavamo entrandoci”, e i Nuggets sembravano pronti ad emergere come una candidata al titolo — nonostante il terzo posto in regular season li avesse già visti affermarsi come una realtà consolidata della Western Conference.
In questo primo mese e mezzo di regular season, però, il salto di qualità da “ottima squadra” a “contender” non è ancora arrivato. I Nuggets al momento hanno un record di 12 vittorie e 11 sconfitte, buono a malapena per l’ottavo posto nella Western Conference, e sono reduci da tre pesanti stop in fila contro Lakers, Kings e Bucks che hanno un po’ ridimensionato il buon momento precedente con cinque vittorie in sei gare. Soprattutto, i Nuggets sono rimasti a malapena a galla nonostante le prestazioni da MVP di Nikola Jokic, che in questo inizio di stagione sta giocando la miglior pallacanestro della sua carriera e ha anche sbloccato una “modalità realizzatore” che non gli era particolarmente riconosciuta prima di quest’anno. “The Joker” viaggia a 27.5 punti a partita scollinando ripetutamente sopra quota 30, come fatto in quattro delle ultime cinque partite registrando un massimo in carriera pareggiato (47 contro gli Utah Jazz) e poi ritoccato verso l’alto (50 contro Sacramento). Ma neanche il gigantesco talento di Jokic è riuscito del tutto a nascondere i problemi della squadra di coach Michael Malone.
Giocatori che possono permettersi di maltrattare così la miglior squadra NBA? Solo Nikola Jokic finora.
La rivoluzione estiva non riuscita
Pur essendo reduci dalle finali di conference e avendo i principali protagonisti ben saldamente al loro posto, da Jokic a Murray fino all’allenatore Michael Malone (al suo sesto anno sulla panchina), i Nuggets sottotraccia si sono ritrovati costretti a cambiare molto attorno ai margini del roster. La notizia della loro off-season è stata la sorprendente decisione di Jerami Grant di non rinnovare il suo contratto, preferendo — a quanto pare a parità di condizioni economiche — la sfida di andare a giocare da primo violino ai Detroit Pistons piuttosto che continuare a essere un membro del supporting cast di Denver. Una scommessa che individualmente ha vinto (anche se il record di squadra non lo supporta), ma che ha probabilmente colto di sorpresa i Nuggets, che si sono ritrovati con un “vuoto” nel ruolo di 3-4 titolare che non sono più riusciti a colmare, anche perché pure Torrey Craig — l’altro difensore perimetrale sugli esterni del roster — non è stato confermato, finendo ai Milwaukee Bucks con un contratto al minimo salariale.
La dirigenza di Denver ha probabilmente sottovalutato quello che i due riuscivano a dare nei quasi 45 minuti di media (saliti a 54 nei playoff, complice l’assenza di Will Barton) che assicuravano in campo e non sono riusciti a trovare delle alternative, specialmente per marcare le ali sovra-dimensionate che circolano in questo momento in NBA. Nella partita della scorsa settimana contro i Lakers, ad esempio, sono stati costretti a schierare un lungo come JaMychal Green nel ruolo di 3 per opporlo a LeBron James, cercando poi di mascherare i limiti della second unit con una zona 2-3 esasperata e Isaiah Hartenstein al centro. Ma sono soluzioni estemporanee, non sostenibili sul lungo periodo — specie con le mancanze che comunque la presenza di tre cattivi difensori come Murray, Porter e Jokic si portano dietro.
Lo scorso anno i Nuggets riuscivano quantomeno a mantenersi nella mediocrità difensiva concedendo 111.1 punti su 100 possessi agli avversari (dati Cleaning The Glass), buoni per il 16° posto nella lega; quest’anno sono peggiorati di tre punti su 100 possessi a 114.1, crollando al 23° posto in NBA. C’è un po’ di sfortuna nei dati dei Nuggets, che stanno vedendo gli avversari tirare molto meglio (+2.4%) rispetto a quello che dovrebbero in base alla posizione dei tiri che si prendono. Ma ci sono anche i limiti evidenti di una squadra che non è in grado di proteggere il ferro (gli avversari tirano col 70.5% quando ci arrivano: nessuno fa peggio di loro in NBA) e neanche di togliere le conclusioni da tre punti, con un’emorragia di triple dagli angoli.
Troppo spesso basta una sola penetrazione per mandare in tilt la difesa di Denver, creando un 2 contro 1 sul lato debole che è fin troppo facile da sfruttare per gli attacchi avversari.
Nel discorso attorno alla NBA si parla spesso di talento solamente in termini offensivi, ma non bisogna sottovalutare anche quanto talento difensivo debba esserci in una squadra per poter competere a certi livelli. Le partenze di Grant e Craig hanno diminuito enormemente quello difensivo dei Nuggets, tra i quali è difficile anche solo individuare un difensore che possa dare un apporto positivo alla squadra, visto che Gary Harris (ora infortunato) da un paio di stagioni non sembra né fisicamente né mentalmente quello di qualche anno fa e Paul Millsap ha pur sempre 35 anni.
Ovvio che per invertire la rotta sia necessario un impegno diverso da parte dei giocatori in campo e una preparazione migliore da parte del coaching staff, che negli scorsi playoff ha dimostrato di poter costruire una difesa ad hoc concentrandosi sui punti di forza dei singoli avversari e non un sistema in grado di avere successo continuativo in regular season. Ma anche la dirigenza, con ogni probabilità, dovrà mettere mano al roster per cercare di alzare il livello di talento difensivo a disposizione di coach Malone, anche se gli asset — tolte le scelte al Draft, quasi tutte in loro possesso tranne una 2023 destinata a OKC — al momento non abbondano.
Il salto di qualità mancato di Murray e Porter Jr.
Negli scorsi anni i Nuggets hanno sopperito alle loro mancanze difensive con la loro indiscutibile prolificità offensiva, piazzandosi stabilmente tra i primi sette attacchi della lega (pur senza mai entrare in top-3) e lasciando che il fattore campo della “Mile High City” facesse il resto per accumulare vittorie su vittorie. L’assenza del pubblico e il calendario con meno spostamenti hanno però tolto un po’ di fattore campo alla squadra: il record casalingo ora è di 5-6, inusuale per una squadra come loro che negli ultimi anni hanno vinto 91 delle 119 partite disputate a Denver, pari al 76%. Ma a mancare è stata soprattutto la crescita di due elementi chiave nella bolla come Jamal Murray e Michael Porter Jr.
Se sulle prestazioni di Jokic nessuno può azzardarsi a dire niente, fino a questo momento le altre due principali opzioni offensive della squadra non hanno confermato quanto fatto vedere a Disney World. Murray era atteso a una conferma ai livelli di eccellenza visti nei playoff (26.5 punti di media col 59% di percentuale effettiva), ma sta a malapena replicando le cifre realizzate nella scorsa regular season, peggiorando le percentuali tanto dal campo (solo il 50% effettivo, complice un alto volume dalla media distanza non convertito in maniera sostenibile) quanto sorprendentemente ai liberi (appena l’80%, lui che in carriera è sopra l’87%). Anche gesti di frustrazione come il colpo proibito a Tim Hardaway Jr. che gli è costato l’espulsione e 25.000 dollari di multa denotano una certa irrequietudine per le proprie prestazioni sottotono, e i Nuggets hanno assolutamente bisogno che lui giochi a livelli offensivi al di sopra di ogni ragionevole dubbio per poter competere nella Western Conference. Un Murray anche solo normale non basta: deve essere straordinario per far funzionare i delicati equilibri di questo gruppo — e finora straordinario non lo è stato, forse anche per qualche problema fisico che lo ha portato a saltare un paio di partite.
Dopo averlo solamente intravisto in regular season lo scorso anno e averlo visto esplodere nella bolla, anche da Michael Porter Jr. ci si aspettavano le fiamme — ma il suo rendimento è andato a sprazzi, anche per via della positività al COVID-19 che lo ha tenuto fuori per 10 partite a gennaio. Porter ha numeri offensivi eccellenti in termini di efficienza: i suoi 1.26 punti per tiro tentato lo posizionano nell’88° percentile tra le ali della lega, con dati eccellenti al tiro (61% effettivo, 43% da tre punti) e una presenza sottovalutata a rimbalzo (specie quello offensivo, in cui i Nuggets sono primi in NBA). Il problema semmai è sugli effetti che la presenza di Porter ha sul resto della squadra: a questo punto della sua carriera è un attaccante che gioca quasi esclusivamente per se stesso (sotto il 5% di percentuale di assist quando è in campo, tra i peggiori del suo ruolo) e difensivamente è pressoché insostenibile, peggiorando di quasi 5 punti su 100 possessi la già non irresistibile difesa dei Nuggets.
A questi numeri bisogna poi aggiungere l’atteggiamento in campo tipico di un 22enne con poca pallacanestro professionistica alle spalle. Dopo non aver toccato il pallone per qualche possesso, qui si prende un tiro totalmente fuori contesto con Jokic posizionato in post basso e Will Barton in angolo. Notate il linguaggio del corpo dei due compagni dopo l’errore, senza praticamente neanche spostarsi per cercare di recuperare il rimbalzo: sul ribaltamento di fronte Bobby Portis segnerà una tripla con immediato time out da parte di Malone.
Senza Jokic si spegne la luce
I Nuggets hanno anche bisogno di risolvere in fretta il problema dei minuti senza Jokic in campo, specialmente nella metà campo offensiva. Senza il centro sul parquet l’attacco precipita di 18 punti su 100 possessi, sostanzialmente la differenza tra il miglior attacco della lega e il peggiore, e il preventivabile miglioramento difensivo (+10 su 100 possessi) non è abbastanza per colmare quanto si perde senza Jokic in attacco. Ad acuire ulteriormente il problema c’è che lo staggering dei minuti di Jokic e Murray non sta funzionando, visto che i quintetti con il canadese senza il serbo in campo hanno un Net Rating di -3.5. E anche se quelli con Porter Jr. funzionano meglio (+4.7), la sua presenza insieme a quella di Jokic è pressoché insostenibile in difesa (121 punti concessi su 100 possessi quando ci sono due: per rendere l’idea, la peggior difesa in NBA — quella dei Sacramento Kings — non arriva a 117).
Trovare un’alchimia per mettere assieme 48 minuti continuativi in entrambe le metà campo non è per niente semplice, e fino a questo momento coach Malone sta cercando di risolvere il dilemma togliendo il problema alla base — cioè aumentando a dismisura i minuti di Jokic e puntare allo zero a zero quando non gioca. Complice una forma fisica smagliante e la mancanza di una riserva di livello accettabile (spesso è JaMychal Green a giocare da 5 di riserva), il candidato MVP gioca più di 36 minuti di media (in carriera non ha mai superato i 32.6) e anche Murray è sopra i 35, cercando di spremere il maggior numero di possessi dai loro pick and roll centrali per rimanere a contatto e provando a cavandosela quando riposano.
Il rendimento contro le squadre vincenti, però, è altamente deficitario. In questa stagione i Nuggets hanno un record di 5 vittorie e 10 sconfitte contro le squadre sopra il 50% di vittorie (7-1 il record contro quelle sotto), e anche in quelle poche vittorie ci sono vari asterischi: in quella contro Philadelphia mancavano praticamente tutti i Sixers per COVID (e fino a pochi minuti dalla palla a due sembrava potesse saltare del tutto); una è contro Golden State, a cui basta una sconfitta per tornare sotto il 50%; due sono arrivate contro Phoenix, ma sono serviti tre supplementari per portarle a casa; e infine quella contro Utah hanno sfruttato un primo tempo mai visto prima dall’arco, tirando 15/17 in un matinée in casa (e rischiando comunque di sprecare tutto nella ripresa).
In tutte le altre occasioni in cui hanno affrontato squadre di alto livello sono usciti sconfitti, spesso senza nemmeno giocarsela fino alla fine. Le ultime sconfitte contro i Lakers e i Bucks da questo punto di vista sono esemplificative: dopo dei primi tempi giocati sostanzialmente alla pari, in entrambe le occasioni i Nuggets sono via via spariti dal campo quando si è alzata l’intensità del match — dando l’impressione di non essere semplicemente allo stesso livello delle squadre che puntano al titolo, e questo nonostante uno Jokic che sta giocando a livelli celestiali. Anzi, proprio il fatto che il serbo sia “costretto” a segnare 40 o 50 punti per dare una chance ai suoi — lui che è un giocatore naturalmente portato all’assist piuttosto che a mettersi in proprio — ci dice che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe, e che anche i tentativi di nascondere i difetti sotto il tappeto del suo talento non stanno avendo successo.
Se lo scorso anno i Nuggets non fossero arrivati a giocarsi le finali di conference, sarebbe anche accettabile questo stadio della loro evoluzione. Jokic, Murray e Porter sono sotto tutti sotto i 25 anni e l’unico over-30 della rotazione è Millsap, che è anche l’unico giocatore in scadenza di contratto se Barton e Green dovessero esercitare le player option in loro favore per la prossima stagione. Guardando la “big picture”, insomma, i Nuggets sono in una situazione in cui tantissime altre squadre vorrebbero ritrovarsi. Eppure, guardandoli in campo, c’è sempre qualcosa che sembra mancare — e il salto di qualità che ci si sarebbe potuti aspettare dopo l’exploit nella bolla tarda non è ancora arrivato.