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(di)
Francesco Lisanti
Ne rimarrà solo una
30 giu 2015
30 giu 2015
Il racconto della semifinale vinta dal Cile contro il Perù e la presentazione della sfida difficile che attende l'Argentina contro il Paraguay.
(di)
Francesco Lisanti
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«Si claro ahora soy el malo de la película!».



 

Questa mattina, sulla costa del Sud America che si affaccia sull’Oceano Pacifico, per quanto molesto potesse suonare il tono della sveglia, per quanto indigesto potesse risultare il primo caffè, chiunque avrà pensato che poteva andare peggio, che ci si poteva svegliare

.

 

Il trittico di isteria che ha preceduto la sua espulsione al minuto 20 (mezza gomitata e successiva intimidazione a Vidal al minuto 4, trattenuta e poi sbracciata a buttare a terra Sánchez al minuto 6, quindi il calcio sulla schiena di Aránguiz in un bizzarro tentativo di rinvio) non è l’evento più significativo della partita ma è il più decisivo, perché come ha puntualizzato Guerrero a fine partita, evidentemente senza nessuna pretesa di originalità: «11 contro 11 sarebbe stata un’altra storia».

 


Il primo passaggio del trittico. Qui l’arbitro non sanziona nessuno, ma di avvisaglie di scarsa lucidità se ne scorgono tantissime.



 

Nel frattempo Zambrano è diventato il colpevole, il nemico pubblico, il Moacir Barbosa. Lo è diventato tramite il mezzo di certificazione dell’internet, che probabilmente i brasiliani inventarono nel 1950 ancor prima di internet stesso: i memes.

lo si vede spingere Aránguiz nel pozzo di Leonida in 300,

gli viene sovrapposto un detto popolare che lo identifica come nemico del Perù,

gli viene fatta indossare la maglia del Cile, iconizzandolo come il peggiore dei traditori. Per quanto fuori tono sia l’ostracismo per un errore in una semifinale di un torneo continentale, il rimorso è comprensibile perché il Perù stava giocando meglio del Cile.

 

L’anomalia per cui una squadra ossessivamente verticale è anche quella con la maggiore percentuale di possesso palla della competizione, inevitabilmente provoca degli squilibri. Il Cile non è stato perfetto, né nei primi venti minuti dove ha creato pochissimo, né successivamente, quando ha sofferto più di quanto ci si sarebbe aspettato. Ha vinto soprattutto per merito dei tre migliori interpreti possibili per il suo tipo di calcio: Aránguiz, Valdivia ed Edu Vargas.

 



Valdivia è il prodotto perfetto, il consumo calcistico ideale.

statuario, dal capello lungo, in levitazione sul terreno mentre le altre maglie rosse gli si fiondano alle spalle da ogni lato alla ricerca della profondità. Il suo senso della

appaga ogni senso dello spettacolo.

 

Dopo l’ennesima giocata imprevedibile, che il telecronista italiano si premura di sottolineare perché non passi inosservata, la spalla tecnica, Carlo Pizzigoni, replica con la migliore sintesi possibile: «Inosservata proprio no, siamo svegli solo per lui». Con le parole non si può fare di meglio, si potrebbe fare meglio con 100 gif della sua partita in loop costante, ma l’internet non è così veloce né così volenteroso. Ogni replay del supergol di Vargas inizia mentre Edu carica il destro, trascurando il dettaglio più importante: è un pallone recuperato dal Mago, che legge un controllo imperfetto di Guerrero prima che Guerrero controlli. Il suo feeling col pallone è una bellissima storia d’amore.

 

Aránguiz è semplicemente l’MVP, della partita o probabilmente di questa squadra in questo torneo. L’uomo giusto al momento giusto, con la squadra giusta e l’allenatore giusto. Difficile dire se le sue letture degli spazi a palla lontana siano esportabili, se la sua capacità di correre sempre, in profondità o perimetralmente se necessario, in organizzazioni di gioco differenti non risulterebbe vana, o peggio anarchica. È il vero

di questa squadra, sicuramente il più presente in area di rigore, ma contemporaneamente il più presente a centrocampo. Se poi riesce a provocare espulsioni senza ricorrere ai mezzi che sono costati

a Jara, pochi dubbi su chi faccia davvero la differenza nella Roja.

 



L’uomo copertina è però il capocannoniere del torneo, il miglior esempio di

, o meglio di attaccante-Sampaoli, che lo ha allenato nella Universidad de Chile, la squadra che ha guidato alla vittoria della Copa Sudamericana nel 2011, quella in cui giocavano Rojas, Díaz, Aránguiz e Mena, quella in cui era parso senza dubbio un

. La statistica del giorno è di semplice lettura: 11 gol in 75 partite in Europa (con Napoli, Valencia, QPR), 22 gol in 46 partite in Nazionale.

 

È il complementare di Sánchez, che preferisce abbassarsi e attirare la difesa, mentre Edu taglia nello spazio, con una frequenza e precisione tali che può concedersi di essere così impreciso, come quando vanifica un colpo di tacco del Mago (abbiamo bagnato i cuscini di lacrime per molto meno) calciando su Advíncula a un metro dalla porta, come anche quando colpisce malissimo in un doppio tentativo e in qualche modo riesce comunque a segnare l’1-0.

 


Non è l’1-0 ma ci assomiglia moltissimo, Sánchez riceve tra le linee e si inseriscono in 5 sui 4 difensori del Perù, incontenibili. Valdivia riceve e quasi segna.



 

Segna un altro gol bellissimo che gli viene annullato per fuorigioco che non c’era, dove bellissimo è anche il

a scavalcare la difesa di David Pizarro, entrato a fine primo tempo per Díaz.

 

Quindi segna il gol del 2-1 nel momento migliore, ovvero poco dopo l’autogol di Medel, poco prima che l’angoscia dei rigori senza supplementari calasse su Santiago. Il gol è indescrivibile, al punto che piuttosto che la traiettoria del pallone risulta più efficace raccontare la traiettoria che fa Gallese, il portiere del Perù, planando verso la sua destra e poi accasciandosi come schiacciato dalla gravità del corpo in rotazione, che termina la sua gittata perfettamente nell’angolo.

 

Tra i momenti migliori del post- partita, all’evitabile domanda su quale dei due gol avesse preferito, Edu sceglie quest’ultimo, poi precisa: «È da ieri che mi sto allenando sul tiro da fuori». Davvero Edu?!?! Davvero ci si allena per una cosa del genere? Che credibilità ti dai in scala da 1 a

?

 


Dubito possano saltar fuori filmati dell’allenamento in cui prova esattamente questa cosa qui, ma in ogni caso, che meraviglia.



 



Gareca l’aveva preparata bene. Fuori Pizarro, non più in grado di reggere i ritmi dell’aggressione cilena. Cueva portato al centro del campo, a impedire l’uscita del pallone attraverso Díaz, sulla sinistra Carrillo preferito per ragioni di esplosività a Joel Sánchez, a centrocampo ritornano Ballón e Lobatón, fuori per squalifica contro la Bolivia.

 

I raddoppi e le sovrapposizioni organizzati strategicamente da Sampaoli non hanno eliminato una componente di utopia bielsista. Per aumentare la pericolosità, ma soprattutto per non correre rischi, il Cile avrebbe bisogno di muovere meglio la palla, oltre che i giocatori nello spazio, e il Perù ha evidenziato tutti i limiti strutturali e i difetti tecnici della Roja, conquistando il controllo della partita.

 


Come il Perù si era preso la partita. Qui Díaz non ha soluzioni immediate di passaggio e cambia gioco su Albornoz, impreciso sul primo tocco. Il Perù recupera immediatamente e crea un 3 contro 2 pericolosissimo.



 

A ogni controllo sbagliato, a ogni incomprensione, il Perù ha recuperato il pallone e attaccato la porta. Per giocare così, però, serve avere Guerrero, altro

, uno dei migliori attaccanti alti un metro e ottantacinque in grado di giocare a un tocco, e contemporaneamente di dominare Medel e Rojas sulle palle alte. La partita del Bárbaro è stata una collezione di preziosissime giocate individuali (vedi il filtrante con cui lancia Advíncula sul gol del pareggio) e un disturbo costante sul possesso del Cile, forzato a commettere errori nonostante la superiorità.

 

L’altro calciatore esaltante è stato Advíncula, tesserato dell'Hoffenheim e il cui nome è quindi probabilmente su più taccuini oggi di quanto non lo fosse ieri. Dopo l’espulsione, Gareca ha schierato un 4-4-1, sacrificando Cueva, di grande talento ma scarso dinamismo, per un difensore centrale che sostituisse Zambrano. Il Perù si è trovato senza possibilità di costruzione offensiva, con una punta isolata e un centrocampo privo di qualità, e ha resistito alla pari per settanta minuti unicamente grazie alle capacità motorie di questo terzino destro, che ha letteralmente coperto due ruoli, permettendo all’ala destra, Farfán, di accentrarsi e supportare Guerrero davanti.

 


Il pareggio del Perù. Advíncula copre i dieci metri che lo separano dal pallone in sei passi, poi Medel pasticcia, più per il posizionamento iniziale che per il tentativo di intervento.



 



Dall’espulsione però si deve partire, non perché abbia particolarmente condizionato il piano di gioco del Perù, né perché ne abbia diminuito l’efficacia o la determinazione, ma perché ha permesso al Cile di fare molto meglio quello che aveva in mente di fare, concedendo però il sospetto che, al di là del ragionevole entusiasmo nel vedere una selezione nazionale così organizzata, così fluida, così unita, fosse poi l’unica cosa che il Cile sapesse davvero fare.

 

L’impressione che il Cile abbia controllo assoluto del tempo e degli spazi non è figlia dei suoi meccanismi di gioco, ma ne è la condizione necessaria, e il rapporto tra causa e conseguenza è approssimativamente la misura della distanza tra il calcio di Guardiola e quello di Sampaoli.

 

Se il calcio si giocasse dieci contro dieci, la Roja ne sarebbe la migliore espressione dato che, nell’equazione del moto perpetuo sampaolista, più spazi da occupare significano più scelte a disposizione, le quali aumentano il tempo di decisione. Regalare la superiorità numerica è stato un atto suicida.

 

Questa edizione di Copa América è forse seconda solo alla mitologia greca nel punire i comportamenti idioti. Il Perù ha pagato abbastanza banalmente quello di Zambrano, e che poi non ci si lamenti che i cattivi dei film muoiono sempre in maniera abbastanza banale.

 



 

A inizio torneo la finale attesa e pronosticata da tutti era quella tra Cile e Argentina, i padroni di casa contro la squadra più forte del torneo.

 

A partire da queste aspettative, qualsiasi cosa che non sia un approdo in finale verrà vissuto come un fallimento dall’Argentina, soprattutto perché da tempo la Nazionale non si presentava a una competizione con una rosa tanto ricca di talento in ogni reparto. Mai come quest’anno la squadra sembrava in grado di aiutare il giocatore più forte al mondo a realizzare quello che sembra diventato un macigno personale: l’assenza di trofei a livello di Nazionale maggiore.

 

Per realizzare il desiderio di molti tifosi neutrali l’Argentina deve battere questa notte il Paraguay, squadra con cui ha esordito nella competizione e uscita vincitrice dai rigori contro il Brasile. Se il cammino verso la semifinale sembra aver rafforzato le sicurezze del Paraguay, ha invece seminato incertezze nell’Albiceleste.

 

https://www.youtube.com/watch?v=mLMGdc0BOIw

La partita della prima giornata tra Argentina e Paraguay.



 



Tatticamente le due squadre sembrano una la nemesi dell’altra. Il Paraguay di Ramón Díaz è arrivato in semifinale giocando un calcio minimalista fino all’esasperazione. Partendo dal rifiuto del possesso, costruisce il proprio gioco sulla ripetizione semplici di due azioni: o si gioca la palla in modo diretto verso le punte Valdez, Bobadilla o l’eterno Santa Cruz, ricorrendo anche a lanci diretti dalla difesa; oppure, in alternativa, si gioca in pallone sull’esterno, dove le ali Derlis o Édgar Benítez provano ad arrivare sul fondo attraverso azioni personali.

 

I compiti in fase di possesso finiscono qui. Nessun’azione elaborata è richiesta oltre al gioco diretto. Non viene neanche sviluppata la fase di recupero del pallone: la squadra è ben felice di lasciarlo agli avversari per concentrare la massima attenzione sulla fase di difesa posizionale.

 

Come da tradizione del Paraguay, cavalcata persino dal Tata Martino nel Mondiale 2010, la base di partenza dei successi della squadra è la difesa posizionale che, pur non avendo a disposizione individualità rilevanti, riesce a creare un blocco difficilmente digeribile per le squadre avversarie. Il Paraguay rende la partita difficile per tutti: del resto non è mai semplice riuscire a trovare la porta contro una squadra che ha interesse solo nell’evitare che questo accada.

 

Più una squadra ha limiti in fase di definizione di gioco e più la difesa bloccata del Paraguay riesce a esaltarsi e a sembrare difficilmente superabile. La squadra di Ramón Díaz ha umiliato così il Brasile di Dunga che, privo di Neymar, ha mostrato una carenza di talento offensivo da far pensare a una vera crisi generazionale. Dunga, non riuscendo a dare un gioco credibile alla squadra, si è ritrovato a tentare di superare tramite duelli individuali la difesa del Paraguay, pronto a chiudere ogni tentativo di giocare tra le linee.

 

Quando una difesa organizzata incontra un attacco basato solo sulle individualità, a meno di fenomeni in campo, il risultato difficilmente sorride all’attacco. Una volta che il pallone finiva in controllo del Paraguay ecco che partiva il piano A o il piano B. Il piano A del pallone giocato in modo diretto alla punta ha funzionato benissimo, portando all’errore di Thiago Silva (una cosa che sta diventando una costante ad alti livelli) ed è molto probabile venga riproposto in modo speculare anche contro l’Argentina, visti i risultati della partita d’esordio, dove l’errore fu del portiere Romero (una cosa che è sempre stata una costante a qualsiasi livello).

 

https://www.youtube.com/watch?v=HnMHiCamsiQ

L’assurdo errore di Thiago Silva.



 

L’Argentina ha ben altro attacco rispetto al deprimente Brasile di Dunga, ma il Paraguay punterà a indirizzare la partita sugli stessi binari, invitando gli avversari a provare giocate individuali così da contenerli con l’organizzazione del reparto e bloccando il gioco tra le linee, per poi attendere l’errore degli avversari.

 



Se il Paraguay ha rafforzato la consapevolezza nei propri punti di forza nel corso del torneo, l’Argentina invece ha chiarito nel corso del torneo quali sono i difetti che deve correggere, mostrandoli in modo chiaro anche nella partita contro la Colombia.

 

Contro quella che possiamo definire la squadra delusione del torneo (dell’attacco stellare rimangono 0 gol e 6 tiri nello specchio in tutta la competizione) l’Argentina ha giocato una partita che poteva vincere, ma che ha chiuso solo ai calci di rigore. La scelta autolesionista della Colombia di giocarsi la partita abbandonando il 4-2-2-2 in favore di un 4-4-2 a rombo, unita alla marcatura a uomo sui giocatori ritenuti fonte di gioco della squadra avversaria (su tutti ovviamente Messi e Mascherano) ha provocato uno squilibrio tattico che ha annullato qualsiasi possibilità per la squadra di Pekerman di mantenere il pallone. L’Argentina si è trovata in difficoltà nell’iniziare l’azione senza Mascherano libero davanti ai centrali, non riuscendo mai a definire bene le azioni proposte. L’assenza di gol quindi va oltre l’ottima partita del portiere Ospina.

 

https://www.youtube.com/watch?v=n7q-uPhu92U

Ospina che comunque ci ha messo del suo a esaltare i difetti dell’Argentina.



 

La coppia Zapata-Murillo al centro ha tenuto quando attaccata frontalmente, aspetto che deve aver fatto piacere all’allenatore del Paraguay. L’Argentina non riesce a trovare una punta centrale. Con Di María ormai tornato ala e Messi che deve fungere praticamente da creatore unico di gioco, vista l’assenza di un regista (Banega scartato dopo l’esordio forse sarebbe stato più utile dell’ordinato Biglia, ma non è abbastanza mobile per rendersi utile senza palla) ha costretto la punta centrale a fare un lavoro che non si addice al Kun Agüero. L’attaccante del City, privo degli spazi presenti in Premier, gioca da solo nella fascia centrale e spesso spalle alla porta, dove non può sfruttare né l’esplosività e il controllo in corsa, né la precisione quando lanciato fronte alla porta. In questo contesto Agüero fatica a concludere e a essere incisivo. Tévez viene visto come arma a partita in corso e l’attuale stato fisico e mentale di Higuaín non fornisce al Kun alternative nel ruolo.

 

Forse è proprio nel tentativo di sopperire alla mancanza di gioco per vie centrali che Martino contro la Colombia ha chiesto a Pastore di giocare lontano da Messi. Da mezzala sinistra ha così assecondato maggiormente le sue caratteristiche di portatore di palla più che di giocatore associativo. Questo cambio di paradigma nel gioco del Flaco non ha sortito gli effetti sperati, finendo per togliere a Messi il compagno di giochi preferito e rendendo la circolazione di palla ancora più prevedibile: Messi o prova a cambiare gioco per Di María o si vede costretto a provare a saltare sempre l’uomo palla al piede, non avendo un compagno con cui dialogare, esattamente la stessa cosa che finisce per provare sempre Pastore. L’Argentina quindi fa circolare il pallone, ma attacca per vie centrali sempre e solo con azioni palla al piede, una cosa che ha esaltato i centrali Zapata e Murillo e che potrebbe succedere anche con la difesa organizzata del Paraguay.

 

https://www.youtube.com/watch?v=36N2Kc-YK-8

La partita di Messi contro il Paraguay.



 

Inoltre, come detto, gli avversari punteranno molto sul fatto che sia l’ottimo centrale Garay che il portiere Romero sono abituati a regalare qualcosa sul piano della concentrazione, un difetto strutturale su cui Martino può fare ben poco e che il deludente attacco della Colombia non è mai riuscito a sfruttare, ma che ha già premiato nella prima gara la squadra di Ramón Díaz, facendo segnare al Paraguay 2 gol in 30 minuti.

 

Con Messi creatore e non finalizzatore (nonostante provi più di 5 tiri a partita, sembra arrivare sempre stanco davanti alla porta) Agüero che gioca un calcio non suo e Di María nel ruolo ormai quasi innaturale di ala pura, l’Argentina di Martino rischia di portare all’esasperazione i problemi in fase di definizione e potrebbe mettersi nella condizione di andare avanti solo grazie al talento individuale.

 

Avendo a disposizione il miglior giocatore al mondo e la rosa più talentuosa degli ultimi anni le qualità individuali potrebbero bastare per arrivare in finale, ma certo ci si aspettava di più dalla squadra di Martino.

 
 

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